Il collaboratore di giustizia ha riconosciuto in una foto Giovanni Aiello, l’ex poliziotto con la viso sfigurato accusato di essere il killer, con in tasca la tessera da 007, che avrebbe partecipato ad alcuni dei delitti più eclatanti di Cosa nostra. “Partecipava alle riunioni con gli altri capi delle famiglie palermitane a Fondo Pipitone”.
di Giuseppe Pipitone
E’ stato un riconoscimento netto, immediato. Anche per il neo pentito Vito Galatolo, Faccia da Mostro, il killer con il tesserino dei servizi in tasca, che si muoveva sullo sfondo delle stragi, ha un nome e cognome: quello dell’ex poliziotto Giovanni Aiello. “E’ lui, è l’uomo che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta veniva periodicamente a Fondo Pipitone, incontrava mio padre, partecipava alle riunioni con gli altri capi delle famiglie palermitane” ha detto Galatolo osservando una foto di Aiello. Una dichiarazione che fornisce uno straordinario riscontro alle rivelazioni già acquisite in passato dagli inquirenti: prima fra tutte quella di Giovanna Galatolo, sorella di Vito e pentita dal novembre 2013. Anche lei, nei mesi scorsi, ha riconosciuto Aiello, indicandolo come un abituale frequentatore dei summit nei quali il vecchio boss dell’Acquasanta Vincenzo Galatolo riuniva periodicamente i capimafia dei clan cittadini per pianificare gli omicidi eccellenti. “E’ lui – aveva detto a giugno scorso Giovanna Galatolo in un confronto all’americana – E’ l’uomo che veniva utilizzato come sicario in affari che dovevano restare riservati, tutti i miei parenti lo chiamavano lo sfregiato, sapevo che viaggiava sempre tra Palermo e Milano, si incontrava sempre in vicolo Pipitone, con mio padre, con mio cugino Angelo e con Francesco e Nino Madonia“.
Si riaccendono i riflettori, dunque, sul killer dal volto sfigurato da un colpo di fucile, con in tasca la tessera da 007, che avrebbe partecipato ad alcuni dei delitti più eclatanti di Cosa nostra, tra gli anni Ottanta e Novanta. Dirigente della polizia in servizio a Palermo negli anni Settanta, attualmente in pensione e residente nel comune di Montauro, in provincia di Catanzaro, per mesi è stato indagato da quattro procure: quella di Palermo, competente per il delitto del poliziotto Nino Agostino, quella di Caltanissetta per le stragi siciliane, quella di Catania per le accuse del pentito Giuseppe Maria Di Giacomo e infine quella di Reggio Calabria per i racconti, poi ritrattati dell’ex pentito Nino Lo Giudice.
Ora Galatolo racconta: “Quest’uomo veniva molto spesso a Fondo Pipitone, non so però cosa discutessero in quelle riunioni mio padre e gli altri capimafia”. E’ un fatto accertato che gli ordini di morte emanati da Cosa nostra negli anni Ottanta e Novanta partissero spesso da fondo Pipitone, la roccaforte dei Galatolo nel cuore della borgata marinara dell’Acquasanta. Riunioni che, a sentire il neo-pentito, erano aperte anche a personaggi esterni a Cosa nostra. Il riconoscimento di Vito Galatolo, secondo gli inquirenti, ha un valore probatorio più consistente rispetto a quello della sorella, perché all’epoca dei fatti lui era più anziano di Giovanna, ancora solo una ragazzina.
Nel caso di Faccia da mostro si tratta dell’ennesimo tassello di un quadro accusatorio che lo vede come sicario “speciale” affiancato ai killer di mafia negli omicidi più delicati. Ma Aiello non avrebbe agito da solo. Accanto a lui, come ha rivelato prima di ritrattare Nino Lo Giudice, detto “il Nano“, capo di una cosca calabrese ritenuta da sempre in contatto con i servizi, c’era spesso una donna, una certa Antonella, chiamata “la segretaria”. ‘’Tutti e due – aveva detto Lo Giudice – facevano parte dei servizi deviati dello Stato e la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi”. Versione confermata anche da Giuseppe Maria Di Giacomo, esperto killer del clan catanese dei Laudani, collaboratore di giustizia il cui nome figura nell’elenco degli otto mafiosi detenuti contenuto nell’appunto denominato “Farfalla“. Di Giacomo, insieme a boss di prima grandezza come lo stragista Fifetto Cannella, sarebbe stato il destinatario di un’offerta di denaro in cambio di informazioni riservate, nell’ambito del patto stilato nel 2003 tra il Sisde di Mario Mori e il Dap di Gianni Tinebra, oggetto del processo sulla Trattativa Stato-mafia.
Ora, verificando le sue dichiarazioni, gli inquirenti sono andati indietro nel tempo e tra le prime indagini avviate nella stagione delle bombe, hanno trovato l’identikit di una donna che venne notata a Firenze, nei luoghi della strage di via dei Georgofili poco prima dell’esplosione, il 27 maggio 1993, ma anche a Milano, nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea il 27 luglio dello stesso anno. Una donna, riportano i giornali dell’epoca, bionda e magra che era stata notata e descritta da più testimoni pochi attimi prima degli attentati.
24 gennaio 2015