Foto: Videla Jorge generale golpista diventato Presidente argentino
di Gea Ceccarelli
L’Argentina reclama la verità.
Lo fa ad oltre trent’anni di distanza: un gruppo di parlamentari ha richiesto che venga al più presto istituita una Commissione d’inchiesta bicamerale atta ad indagare i rapporti politici e criminali che intercorsero tra l’Argentina e l’Italia tra il ’73 e l’83.
Un decennio scuro, quello. Necessario, per comprendere il tutto, sintetizzare il contesto politico che si era venuto a creare in quegli anni.
Il ’68 era ormai finito: gli spiriti “rivoluzionari” che l’avevano incitato, no. In tutto l’Occidente, si veniva a creare uno scenario più libero, un’aria più di sinistra di quella che, fino a quel momento, aveva impregnato i diversi paesi. In Italia, gli anni Settanta, sono ricordati come gli anni di Piombo: anni di bombe e attentati, di matrice terroristica. E’ chiaro, oggi, come ciascuno di essi facesse parte di un disegno più grande, atto a destabilizzare il Paese e spingere la popolazione a richiedere una guida più salda, sicura, lontana dagli spettri che il ’68 aveva portato con sé. Il terrorismo nero e quello rosso appaiono, oggi, come mere pedine sulla scacchiera dei potenti, la manovalanza a cui si appellarono poteri deviati in nome di una strategia globale. Tra questi, oltre che alla mafia e alla politica, anche la massoneria e i servizi segreti. Va tenuto a mente, com’è ovvio, che negli stessi anni, uomo chiave indiscusso del potere criminale era nient’altri che Licio Gelli, capo della P2, vicino a Cosa Nostra e all’eversione nera, da cui pure attingevano gli americani per rinfocolare le proprie fila all’interno dell’unità stay behind di Trapani, la famigerata Gladio, ufficialmente nata per “ostacolare l’avanzata comunista” e figura ricorrente nei più grandi misteri d’Italia.
E nel resto del mondo? In Cile, nel ’73, Salvador Allende fu vittima di un colpo di Stato, che portò al potere il generale fascista Pinochet. Per giungere al golpe, a lungo si era lavorato e molto si erano adoperati gli Stati Uniti, tanto più che, ebbe a dire il segretario di Stato americano Kissinger, “Non l’abbiamo fatto, ma ne abbiamo creato le basi”, mentre, già prima, il vice direttore delle operazioni della Cia di Santiago, Thomas Karamessines, scriveva in un documento destinato a restar segreto: “È politica ferma e in atto che Allende venga rovesciato da un golpe … è imperativo che queste operazioni vengano intraprese clandestinamente e in sicurezza, in modo tale che la mano americana e dell’USG [Governo degli Stati Uniti] rimanga ben nascosta.”
Così fu. Allende venne eliminato dai giochi, si suicidò quell’11 settembre del ’73, e il potere passò a Pinochet. La vicenda sollevò l’indignazione internazionale, il clamore fu incredibile. Non ugualmente andò in l’Argentina, dove la certo non rivoluzionaria Isabel Peron dovette fare i conti con il golpe di Videla. Deposta il 24 marzo 1976, venne sostituita da una giunta militare formata da Leopoldo Galtieri in rappresentanza dell’esercito, dall’ammiraglio Emilio Eduardo Massera per la marina e dal generale Orlando Ramón Agosti per l’aviazione. Cinque giorni dopo, il generale Videla divenne presidente.
Fu una dittatura brutale, proseguimento di quel regime repressivo che “Isabelita” aveva avviato, sospinta dai suoi consiglieri. Sotto Videla, i dissidenti vennero torturati e uccisi; spesso fatti precipitare ancora vivi da aerei. Legati, lanciati in acqua, affinché morissero affogati senza possibilità di salvezza. L’Esma divenne la rappresentazione dell’inferno, un centro di detenzione e tortura il cui responsabile era proprio l’ammiraglio Massera. La maggior parte di quanti vi entrarono, non ne uscirono mai. Intanto, Videla aveva dato ordine di uccidere quanti potevano rappresentare un pericolo per il suo “progetto di riorganizzazione nazionale”: il conto dei desaparecidos, delle vittime scomparse del regime, arriva a 40.000, a cui però è necessario aggiungere i 15.000 prigionieri politici fucilati secondo la legge marziale.
Uno sterminio. Che però contò complicità non solo nell’America, che vedeva nel golpe la realizzazione dei propri desideri e piani, non solo nella Chiesa Cattolica che riconosceva nel generale (cattolico praticante, tra l’altro) la soluzione al dilagare del comunismo, ma anche nell’Italia, che tacque totalmente o quasi quanto avveniva oltreoceano. I media stessi, relegarono il Colpo di Stato in Argentina a una notizia di poco conto, come se non vi vivessero migliaia di italiani migrati, come se quello stesso stravolgimento non potesse avere conseguenze mondiali.
Non sorprende, però: sulla tragedia pesavano gli interessi economici delle grandi aziende e società italiane in Argentina – Fiat, Pirelli, Eni, Magneti Marelli, Techint, Banco di Napoli, Bnl, il Banco ambrosiano di Calvi, il Corsera…-, nonché quelli della P2 che, con Buenos Aires, aveva sempre mantenuto strettissimi rapporti.
Nel ’72, infatti, il Gran Maestro Licio Gelli era riuscito, tramite Giancarlo Elia Valori, a incontrare il presidente Juan Domingo Peron che nel ’73 aderì alla P2. Nel ‘74, di contro, il Venerabile piduista venne nominato dipendente dell’Ambasciata Argentina a Roma senza nemmeno godere della cittadinanza sudamericana, che gli fu assegnata poi nello stesso anno. Inoltre, come rivelano i parlamentari argentini, a Gelli furono messi a disposizione 4 passaporti diplomatici, di cui uno rilasciato direttamente dall’Esma di Massera, anch’egli iscritto alla loggia massonica e solito giocare a tennis con il nunzio apostolico Pio Laghi, che pure sapeva chi fosse.
Ma non solo: tra coloro che, in quegli anni, si iscrissero alla P2, vi furono anche Celestino Rodrigo, Lopez Rega e Raul Lastiri; quest’ultimo, nello specifico, divenne capo di governo ad interim al posto di Héctor José Cámpora, prima dell’insediamento di Juan Peron, tra il luglio e l’ottobre del ’73. Egli sposò in terze nozze Isabel, la quale, dopo la sua morte, gli succedette al potere.
“Isabelita” si trovò improvvisamente a fare i conti con una situazione, per la sua inesperienza, ingovernabile. Subì così non poco l’influenza del suo segretario personale Rega, il quale, tra l’altro, utilizzò fondi pubblici per il finanziamento di un gruppo armato, conosciuto col nome di Alianza Anticomunista Argentina, la famigerata e temuta tripla A. Tale formazione paramilitare, sotto la sua direzione, avviò azioni di vessazioni delle personalità della sinistra argentina, che si tradussero in attentati, sequestri di persona, torture e assassini.
Intanto, l’atteggiamento del governo divenne sempre più repressivo, mentre l’economia precipitò. Nel ’76, vi fu una riunione tra la presidente e i rappresentanti delle tre armate: Videla, Massera e Agosti. Ad essa partecipò persino Gelli. In tale occasione, è probabile presumere che si invitasse la Peron a dimettersi: al suo rifiuto, si procedette con il golpe, del quale il Gran Maestro si complimentò successivamente in uno scambio epistolare con il militare Suarez Mason per essere stato condotto “secondo i piani stabiliti”.
“Sicuramente non si può pensare che Licio Gelli coordinasse tutto da solo”, ha però spiegato il sociologo dell’Univeristà di Roma Claudio Tognonato, fuggito dall’Argentina durante la dittatura e intervistato da Francesca Mondin. “La loggia P2 è vincolata innanzitutto al potere mafioso ed ha tutta una rete trasversale di connivenze legate sicuramente anche alla CIA. Ci sono diverse testimonianze, che vincolano Licio Gelli e Giancarlo Elia Valori alla CIA”.
“Ci sono diversi personaggi di primo ordine della P2”, ha aggiunto, “ad esempio Umberto Ortolani” -vero fondatore della loggia- “che prima di acquistare potere in Italia si fanno forti in America Latina. Il caso Ortolani è esemplare perché a fine anni ’60 crea un giornale in Brasile, uno in Uruguay e un altro in Argentina. A partire da questa posizione, diventa in Italia il capo della stampa estera e quindi acquista un potere di rilievo anche in Italia.”
I politici argentini che oggi richiedono verità, comunque, si sono spinti anche oltre e hanno riconosciuto, nei rapporti tra Argentina e Italia di quegli anni, interessi che si concretizzarono in tre macro aree: traffico di armi, energia e banche. Tanto più che, rivelano i parlamentari, nel 1980, le vendite complessive di armi tra Italia e Argentina superarono di sei volte quelle del 1969, mentre le operazioni commerciali furono gestite da banche controllate dalla P2 italiana.
Importante ricordare un ultimo particolare: tra il ’76 e il ’79, ossia nel periodo che va dal golpe argentino alle prime vere informazioni al riguardo che trapelarono in Italia, il presidente del Consiglio era Giulio Andreotti.
Fu lui a sostenere come “non ne sapesse nulla”.
Più facile, in questo senso, credere a Massera, che nell’82, smentiva il Divo e specificava: “Anche da voi si sapeva tutto”.
Dicembre 2014