Foto: © AFP 2015/ CHANTAL VALERY
Si dovrebbe inviare un ringraziamento ufficiale da parte dei cittadini europei al famoso legale amazza-colossi Quinn Emanuel, che ha rivitalizzato sui media continentali il caso Volkswagen.
Marco Fontana
Pare comunque che l’avvocato, esperto di class action, sia stato assoldato dal gruppo finanziario Bentham per approntare una maxi causa risarcitoria a favore di tutti gli azionisti della casa automobilistica tedesca. Grazie a questo scoop, alla fine il caso è tornato prepotentemente sulle pagine di cronaca dei principali quotidiani europei dopo alcune settimane nelle quali notizia era scemata d’interesse. Il silenziatore messo sugli sviluppi della vicenda pare assai anomalo; sarebbe interessante vedere se il medesimo trattamento verrebbe riservato anche a una azienda di qualsiasi altro Paese europeo che non sia la Germania. Ci dilettiamo poi a immaginare il chiasso che sentiremmo se quella casa automobilistica fosse italiana, ma è sufficiente notare la puntualità e l’accanimento con cui la stampa internazionale strilla qualunque notizia che vada a ledere l’immagine del Belpaese.
Ma a prescindere da quanta attenzione venga data dai network europei dell’informazione, dietro al caso (o caos) Volkswagen c’è molto di più: c’è l’idea arrogante ed egemonica di un Paese che vuole prevalicare sugli altri, e ci riesce, costi quel che costi. E non lo dimostra soltanto lo scandalo dei motori diesel truccati, ma anche le altre gatte da pelare che improvvisamente stanno scuotendo la credibilità della Germania.Si pensi alla Siemens, costretta ad ammettere di aver sborsato almeno 1,3 miliardi di euro per “incoraggiare” funzionari ellenici ad affidarle commesse e appalti legati alle Olimpiadi 2004. Si ricordi poi la Deutsche Bank, che proprio quest’anno ha dovuto pagare agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna 2,5 miliardi di dollari di multa per aver manipolato i tassi Libor, Euribor e Tibor.
Vi è poi l’incredibile scoop del settimanale tedesco Die Zeit, secondo il quale Berlino avrebbe “regalato” all’Arabia Saudita una nave carica di armi, in cambio del voto a favore sui mondiali di calcio del 2006. La donazione sarebbe avvenuta nel 2000: Die Zeit sostiene che l’Arabia Saudita, poco prima delle votazioni per decidere la nazione ospitante, avrebbe espresso le sue preferenze per il Marocco, ma poi da Berlino sarebbe partita una trattativa governativa per incamerare l’assenso dei sauditi. E a queste losche e torbide vicende se ne aggiungono molte altre ancora, che a partire dall’entrata in vigore dell’euro hanno coinvolto giganti germanici come Deutsche Post, Bayer e Lufthansa.Termini come corruzione, falsificazione, elusione fiscale, spesso scagliati dai politici tedeshi contro gli altri Paesi europei per sminuirne il potere decisionale in senso all’UE, ormai fanno parte anche del loro vocabolario manageriale.
Insomma, il re è nudo anche in Germania, o meglio la regina: e in molti lo dicono con un sospiro di sollievo o di soddisfazione, in particolare quei PIGS che sono additati come i Paesi tra i più corrotti nelle statistiche dell’Ocse. Peccato però che queste classifiche non tengano adeguatamente in conto proprio gli scandali sopraccitati; è chiaro infatti che se fossero capitati altrove due casi come quelli di Volkswagen e Deutsche Bank avrebbero annientato la credibilità della nazione coinvolta, ed è in questo che risiede la debolezza del sistema sanzionatorio europeo, sbilanciato verso un Paese che ha occupato tutti i posti chiave del potere decisionale con una puntigliosità quasi militare. In una situazione del genere è praticamente impossibile che vi sia parità di trattamento tra i vari membri dell’Unione Europee, perché dominerà sempre un primus inter pares.
Vi è però anche un aspetto meno appariscente, che dovrebbe comunque accendere qualche allarme nell’opinione pubblica europea: il fatto che diversi di questi scandali partano da una denuncia che proviene dagli Stati Uniti. Forse non è fantapolitica il leggere queste vicende scabrose come un avviso americano rivolto alla Germania di non interferire nelle loro decisioni in ambito geopolitico. E sullo scacchiere internazionale le brame degli Usa non sono mai state così acute come oggi, con i fronti di Siria e Ucraina messi in grave difficoltà dall’azione bellica e diplomatica della Federazione Russa. E non sarebbe il primo caso di dossieraggio che arriva da oltreoceano. Naturalmente è giusto che il marcio esca allo scoperto, ma che al mondo non esistano santi è cosa risaputa: e allora lo scoppio di scandali ad orologeria potrebbe essere diventata la nuova battaglia nel conflitto globale del XXI secolo. Altro che Guerra Fredda: là si sapeva chi era l’avversario, qui invece è un tutti contro tutti in cui vince chi ha dalla sua parte i media e i gruppi finanziari più potenti.