Foto: Giacchino Genchi © Giorgio Barbagallo
Dopo sospensioni e destituzioni al perito informatico viene resa giustizia
di Aaron Pettinari
“L’amministrazione di polizia ha mostrato una eccezionale pervicacia a procedere disciplinarmente nei confronti del proprio dipendente, facendo seguire con una scansione logica precisa gli atti utili ad addivenire alla irrogazione delle sanzioni, le quali poi hanno costituito la base per il successivo provvedimento di destituzione, al quale sembra invero essere stata preordinata l’intera azione amministrativa”.
Così il Tar di Palermo, nel luglio 2014, aveva ordinato l’annullamento della destituzione e di tutti i provvedimenti disciplinari e cautelari adottato nei confronti del vice questore Gioacchino Genchi. Un provvedimento che ora viene ribadito anche dal Consiglio di giustizia amministrativa, l’organo di appello del tribunale amministrativo regionale in Sicilia. In base alla sentenza Genchi dovrà essere reintegrato nella polizia di Stato dopo la destituzione avvenuta per vicende che definire assurda e paradossali è davvero poco. Un provvedimento che giunse dopo le sospensioni giunte per tre dichiarazioni quando gli stessi giudici del Tar hanno evidenziato come “l’Amministrazione non ha mai applicato un tale provvedimento neppure nei confronti di dipendenti macchiatisi di delitti oltremodo gravi”.
Tutto ha inizio tra il 2008 ed il 2009 quando il perito informatico, oggi avvocato, aveva espresso critiche su alcune vicende e polemiche che si erano sviluppate con l’inchiesta Why not, condotta dall’allora sostituto procuratore Luigi De Magistris. Su quelle indagini si stava consumando lo scontro tra Procure – Catanzaro e Salerno- tra avocazioni e revoche delle consulenze. Allora come oggi il tema delle intercettazioni telefoniche era particolarmente caldo e il premier di allora, Silvio Berlusconi, pubblicamente attaccò Genchi dicendo: “Sta per uscire uno scandalo che sarà il più grande della storia della Repubblica. Un signore ha messo sotto controllo 350mila persone”.
Sia Genchi che De Magistris sono stati condannati in primo grado dal Tribunale di Roma a un anno e tre mesi con l’accusa di abuso d’ufficio per aver acquisito utenze telefoniche di alcuni parlamentari. La difesa però sostiene che all’epoca si indagasse su utenze delle quali non si potevano sapere a priori le intestazioni dal momento che le utenze, spesso, erano intestate a società e persone terze. Di conseguenza, secondo gli avvocati difensori, i tabulati erano stati acquisiti da Genchi senza sapere chi utilizzasse quei telefoni. Questa condanna, però, arriva solo nel 2014, quando già sospensioni e destituzioni erano state abbondantemente applicate.
A colpi di provvedimenti
La prima sospensione arrivò dopo una concitata conversazione su Facebook tra Genchi e il noto giornalista Gianluigi Nuzzi, all’epoca a Panorama, che gli aveva dato del bugiardo. La seconda sospensione è stata applicata dopo un’intervista su Left.
La terza è arrivata nel 2010, quando l’ex questore si apprestava a rientrare, per le dichiarazioni rese al congresso dell’Italia dei Valori, in cui aveva parlato di Silvio Berlusconi e della statuetta lanciata da Massimo Tartaglia.
“Dopo l’outing della moglie di Berlusconi e il fuorionda (riferito a Fini a Pescara, ndr) provvidenziale è arrivata quella statuetta che miracolosamente ha salvato Berlusconi dalle dimissioni che sarebbero state imminenti” aveva commentato. Parole che gli costarono la destituzione per aver offeso “l’onore e il prestigio del Presidente del consiglio”, come recitava il provvedimento.
Adesso però per Genchi è arrivato il momento della giustizia con il Cga che, nonostante l’opposizione tentata dal Ministro Alfano, ha confermato quanto deciso in primo grado dal Tar ovvero che “si palesa nel provvedimento sanzionatorio addirittura un intento persecutorio nei confronti del ricorrente, laddove si usa l’avverbio ‘pervicacemente’ rispetto ad una condotta nemmeno ascrivibile con certezza al funzionario; ad avviso del Collegio, è invece l’Amministrazione che ha mostrato una eccezionale pervicacia a procedere disciplinarmente nei confronti del proprio dipendente”.
Secondo i giudici “risulta erronea l’affermazione dell’Amministrazione secondo cui l’apprezzamento della gravità delle dichiarazioni rese da un soggetto rientri tra le valutazioni discrezionali dell’amministrazione”. Ciò significa che Genchi ha semplicemente espresso una propria opinione. Genchi, intervistato dal Fatto Quotidiano, ha così commentato la sentenza: “Se al Viminale hanno rispetto del giudicato della magistratura dovrebbero riammettermi in servizio nelle prossime 24 ore. Così potrò finalmente rientrare al lavoro, anche se ho già maturato l’età pensionabile. In molti nelle Istituzioni dovrebbero chiedermi scusa. Voglio augurarmi che questo governo sappia riconoscere gli errori della precedenti amministrazioni. Conoscere il passato è fondamentale.
Io dopo sei anni ho avuto giustizia, le vittime della strage di via D’Amelio e i loro familiari ancora attendono giustizia per una strage che ha indubbiamente avuto un movente politico e coinvolgimenti istituzionali, anche nei depistaggi”.
18 luglio 2015