di Gianni Barbacetto
La sua ultima avventura è il Campo progressista. Giuliano Pisapia, finita l’esperienza di sindaco a Milano, poteva indossare i panni di “riserva della Repubblica” e aspettare una poltrona (di giudice costituzionale? di ministro?). Così dicono i suoi amici, che fanno capire che l’attesa sarebbe stata comunque operosa e confortevole, visto che il suo studio legale in via Fontana, a un passo dal Palazzo di giustizia milanese, fattura bene (gli ha fruttato 890 mila euro nel 2010, ultimo anno prima di diventare sindaco), infinitamente di più dei 4 mila euro al mese che portava a casa da primo cittadino (avendo scelto di autoridursi il compenso previsto).
Invece si è messo in gioco, continuano gli amici, per dare un contributo alla costruzione di una nuova sinistra. Così ieri era a Lecce, con Dario Stefano, Bruno Tabacci, Michele Emiliano e Massimo Zedda, a dar voce ai “Dialoghi democratici del Campo progressista”. È quanto basta a far inferocire i suoi (ex) compagni di Sel che stanno costruendo Sinistra italiana e lo accusano di lavorare a una formazione non autonoma dal Pd, ma subordinata e servente. Una stampella verniciata di rosso. “Maggiordomi di Renzi”, secondo il deputato Giovanni Paglia. Con uno sponsor di peso: Carlo De Benedetti, in stretto contatto con Pisapia fin da quando questi, da avvocato, gli fece recuperare una cifra milionaria da Silvio Berlusconi che si era mangiato la Mondadori con sentenze comprate e vendute.
Pisapia la racconta diversamente. Superato l’Italicum, il centrosinistra dovrà puntare a vincere le elezioni; sarà necessaria una coalizione, in cui il Pd sarà la forza principale, necessaria ma non sufficiente per trionfare: ci vorrà anche una componente di sinistra che dovrà aggiungere i voti indispensabili per arrivare primi.
Ecco il Campo progressista. Con vocazione di governo e senza voluttà d’opposizione. Diverso dal Pd, ma non contro il Pd. Pisapia potrebbe anche decidere di sfidare Renzi alle primarie del centrosinistra, per dare rappresentanza alla sinistra e per contare il suo peso. Unica condizione: fuori dalla coalizione Denis Verdini e Angelino Alfano: “Renzi deve decidere tra la sinistra e Alfano”, aveva detto a Repubblica subito dopo la sconfitta al referendum. Qualcuno è disposto a seguirlo, anche dentro il gruppo dirigente di Sinistra italiana. “Un gruppo minoritario di amministratori”, secondo Stefano Fassina, che ribadisce l’assoluta estraneità di Sinistra italiana al Campo progressista. “Noi vogliamo dare rappresentanza a una parte del popolo del No al referendum. Se invece avessimo voluto fare una corrente del Pd, saremmo rimasti dentro il Pd”.
Pisapia, secondo Fassina, si condanna non solo alla subalternità al Pd, ma anche all’irrilevanza politica. “Sarà seguito da un pezzo di ceto politico che si vuole salvare, ma non darà alcun contributo alla rifondazione della sinistra. Chi vuole votare Pd, vota Pd, non Pisapia. Serve discontinuità: non soltanto con la leadeship di Renzi, ma con trent’anni di storia della sinistra italiana ed europea che ha accettato il primato del mercato, una visione burocratica dell’Europa e dimenticato l’aumento delle disuguaglianze sociali”. Pisapia si è impegnato nel Campo progressista dopo la sostanziale sconfitta della sua strategia d’uscita da Palazzo Marino.
Ha annunciato troppo presto che non si sarebbe ricandidato sindaco, non ha tenuto insieme la sua giunta, che in buona parte lo ha abbandonato per passare al candidato scelto da Renzi, Giuseppe Sala. Ha estratto troppo tardi dal cappello il nome della candidata, Francesca Balzani, che avrebbe dovuto garantire la continuità del suo “modello Milano” (movimenti civici, sinistra e senza partito alleati – ma non subalterni – al Pd). Alle primarie milanesi non ha chiesto il ritiro (che pure era stato annunciato) di Pierfrancesco Majorino, che ha tolto voti a Balzani e garantito la vittoria di Sala. Ora il gioco si trasferisce dal piano amministrativo a quello politico, e da Milano allo scenario nazionale. Con Renzi che potrebbe trovare in Pisapia una copertura a sinistra, per rientrare in partita dopo la sonora sconfitta del referendum.
Il Fatto quotidiano, 17 gennaio 2017