R.C.
La storia della famiglia Agnelli è controversa, per certi versi oscura, ciò a causa di connessioni con massoneria, servizi segreti e poteri più o meno occulti, perlomeno da quando, nel 1906, il senatore Giovanni Agnelli, capostitipite della dinastia, divenne azionista di maggioranza di Fiat.
Due anni più tardi, Agnelli venne denunciato per illecita coalizione, aggiotaggio e falso in bilancio, indicato nei rapporti degli investigatori della Questura di Torino, come il responsabile delle manovre fraudolente che avevano pesantemente turbato il mercato. Agnelli aveva provocato ingiustificati aumenti del valore di azioni Fiat per poi mettere in liquidazione l’azienda e ricostituirla immediatamente dopo. Non senza prima aver distribuito dividendi estrapolati da una fabbrica sull’orlo del fallimento.
Ma i principi di Torino avevano santi in Paradiso, lo stesso primo ministro Giolitti aveva conferito a Giovanni Agnelli la croce di cavaliere al merito del lavoro e il ministro della Giustizia, Orlando, intervenne pesantemente nei confronti della magistratura torinese affermando che “un’azione penale nei confronti di Agnelli avrebbe avuto conseguenze negative sulla nascente industria nazionale, in particolare piemontese”: regione d’origine del primo ministro Giolitti.
Ma i magistrati torinesi non cedettero e provarono il reato di aggiotaggio, con la conseguenza che Agnelli venne rinviato a giudizio nel 1909 e assolto nel 1912, un trionfo per il collegio della difesa, guidato dall’ex ministro della Giustizia Orlando.
Anche la Seconda Guerra Mondiale, si rivelò un buon affare per Fiat, che, favorita dal governo fascista, beneficiò di moltissime commesse militari, inoltre Agnelli ottenne che Torino venisse dichiarata zona di guerra gli operai militarizzati senza tutele sindacali né diritto di sciopero. La Fiat diventava una grande industria a livello europeo e la famiglia Agnelli ne deteneva saldamente il comando e la maggioranza delle azioni.
Nonostante si ritenga il contrario, Giovanni Agnelli era un ammiratore di Benito Mussolini, il quale lo nominò senatore e benemerito del regime, premiato personalmente dal Duce con il Laticlavio.
Mussolini si convertì al liberismo, essendo convinto che lo Stato dovesse occuparsi di forze dell’ordine, di giustizia e di forze armate, tutto il resto, compresa la scuola e ovviamente le banche “deve rientrare nell’attività privata dell’individuo”.
Se pentirà amaramente. Durante la Grande Crisi del 1929, Comit e Banco di Roma, privatizzate, vennero dichiarate insolventi, gli amministratori avevano finanziato con i soldi dei risparmiatori l’acquisto di azioni proprie, con il risultato che le banche erano proprietarie di loro stesse, con un capitale fittizio. Il default si concretizzò e costò allo Stato circa 3 mila miliardi di allora, una somma spaventosa.
Dopo la caduta del fascismo, venne nominata una commissione d’inchiesta che accertò “le responsabilità delle perdite non vennero messe in luce, né i responsabili furono inquisiti”. Semplice il motivo: i consigli di amministrazione della banche erano formati dai maggiori sostenitori del regime di Mussolini, quasi tutti senatori nominati dal Duce, presidenti anche delle più grandi industrie, tra i quali spiccava il nome di Giovanni Agnelli, presidente della Fiat.
L’inchiesta accertò che i capitani d’industria, avevano finanziato il capitale azionario delle loro aziende con i soldi dei risparmiatori, non rischiando un centesimo dei loro capitali. Il fascismo non solo li scagionò ma, accollandosi le perdite, lasciò intatti i loro patrimoni personali.
Nel 1952 vide la luce il Bilderberg Group, fondato da un certo Retinger, un club riservatissimo, finanziato dalla Cia, che doveva raggruppare gli uoni più influenti di Europa e Stati Uniti. Primo presidente fu Bernardo d’Olanda, massone implicato nello scandalo Lockeed nel 1976, coadiuvato da Paul Van Zeeland, ministro degli esteri belga (Nato) e Paul Rijkens, presidente della Unilever.
Del comitato promotore del Bildelberg fecero parte anche Gattskele, De Gasperi, Guy Mollet, Rinay e l’ambasciatore italiano negli Usa Pietro Quaroni. Negli Usa i promotori furono Walter Bedell Smith, direttore della Cia e della sezione Usa del Bildelberg, Arthur Dean, Henry Heinz e Joseph Johnson della fondazione Cervage, messa sotto inchiesta per i finanziamenti avuti dalla Cia.
I componenti italiani del Bildelberg erano Giovanni Agnelli, Vittorio Valletta, Manlio Brosio, Guido Carli, Alighiero De Michelis, Amintore Fanfani, Ettore Lolli, Imbriani Longo, Giovanni Malagodi, Giuseppe Petrilli, Pietro Quaroni e Pasquale Saraceno.
La sola elencazione degli ordini del giorno è illuminante sulla natura del Bildelberg, i cui componenti hanno anche la caratteristica di essere in gran parte massoni.
Ecco alcuni degli ordini del giorno:
1954 – Olanda – “Difesa dell’Europa dal pericolo del comunismo e dell’Urss”.
1955 – Francia – “Infiltrazione comunista in Occidente”.
1955 – Germania – “Stato della Nato, energia nucleare, riunificazione della Germania”.
1956 – Danimarca – “Blocchi antioccidente, la Cina, la sovversione comunista in Asia”.
1957 – Italia – “Armi moderne e sicurezza dell’occidente, strategie della Nato”.
1958 – Gran Bretagna – “Il futuro della Nato e il ruolo dell’Urss”.
1961 – Canada – “Iniziative per la nuova leadership occidentale, la Nato e le armi atomiche”.
1964 – Usa – “Alleanza atlantica e suoi mutamenti, lo stato dell’Urss, la Cina e Cuba”.
1965 – Italia – “La situazione della Nato”.
1966 – Germania (per la realizzazione di questo incontro venne incaricato Giovanni Agnelli) – “Riorganizzazione della Nato e sviluppo dell’Europa in rapporto al Terzo mondo”.
1967 – Gran Bretagna – “Il gap tecnologico con gli Usa e i nuovi problemi della Nato”.
1971 – Usa – “Il cambiamento di ruolo degli Usa nel mondo”.
1972 – Belgio – “Europa e Nato”.
1974-Francia- “La situazione dell’Europa dal punto di vista politico e militare”.
Nel 1973 Giovanni Agnelli e David Rockfeller si fecero promotori di una sorta di nuovo Bildelberg, meno clandestino e questa volta allargato al Giappone, usando ancora i canali massonici e dei servizi segreti.
Nacque in questo modo la famosa Trilateral, con una veste formalmente meno arcigna e clandestina, ma con funzioni analoghe a quelle del Bildelberg, i cui componenti erano comunque gli stessi, così come gli obiettivi: influenzare e manipolare la politica interna degli Stati sovrani.
Intanto Fiat rappresentava sempre più l’industria italiana nel mondo, chiaro che volesse cautelarsi da brutte sorprese. A seguito di una vertenza per il licenziamento di un dipendente, Caterino Ceresa, l’allora pretore d’assalto Raffaele Guariniello scoprì una colossale attività di schedature, l’azienda controllava il privato dei propri dipendenti.
Curiosa la tipologia degli assunti, dovevano essere apolitici, ad esclusioni dei simpatizzanti democristiani, monarchici e missini. L’ideatore di questo sistema fu l’allora presidente Fiat, il massone Vittorio Valletta. Uno spionaggio capillare, per il quale venivano usati indifferentemente i servizi segreti, piuttosto che i vigili urbani o i parroci di paese.
A capo di questa Cia formato Fiat, un ex colonnello dell’aviazione e dei servizi, nonché pilota personale di Giovanni Agnelli, che coordinava un manipolo di ex carabinieri. I dirigenti Fiat avevano libero accesso alle banche dato di questure e comandi dell’Arma.
La perquisizione del pretore Guariniello colse di sorpresa Agnelli, che si trovava in vacanza. Rientrato precipitosamente, Agnelli si incontrò col presidente Saragat e col procuratore generale Colli. Quest’ultimo avocò a sé l’inchiesta, la tenne nei cassetti per un mese e successivamente la spedì alla Corte di cassazione a Roma, sostenendo che per motivi di ordine pubblico l’inchiesta non poteva essere fatta a Torino.
La Cassazione accettò la tesi di Colli e il processo venne trasferito a Napoli dove fu insabbiato. Venne apposto anche il segreto di stato per i rapporti con la Nato di alcune produzioni Fiat.