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di Fosco Giannini
Corriere della Sera, sabato 16 luglio: lunga intervista a Grigorij Yavlinskij, fondatore del partito russo Yabloko. Cosa afferma Yavlinski? Che nella Russia di Putin, specie in questa fase, vi sarebbe una dura repressione contro coloro che sono all’opposizione di Putin e dell’intervento russo in Ucraina. Di cosa non parla Yavlinski? Del fatto che la Nato aveva accerchiato militarmente la Russia, che 250mila soldati ucraini, ben prima del 24 febbraio, erano dislocati lungo i confini russi, che l’obiettivo ormai vicino ad essere raggiunto dagli Usa, dalla Nato e dall’Ue era quello di trasformare subito l’Ucraina in un’ enorme Base Nato dotata di testate nucleari puntate contro Mosca, del fatto che nel Donbass da 8 anni vi fosse un massacro condotto dai nazifascisti del Battaglione Azov contro il popolo antifascista del Donbass, che il movimento politico nazifascista guidato dagli Usa guida a sua volta il governo Zelensky.
Quando Marco Imarisio, il giornalista del Corsera che intervista Yavlinskij chiede: “Perchè così tanti russi sono favorevoli alla guerra?”, Yavlinski risponde che, però, “il 20% dei russi non appoggia l’intervento militare”, non rendendosi conto che, dunque, l’80% appoggia l’Operazione Z. E magari l’appoggia perchè il popolo russo avverte il timore della spinta aggressiva della Nato contro il proprio Paese, perchè ha ritenuto insopportabile l’assassinio di massa perpetrato dal Battaglione Azov contro le popolazioni del Donbass. E magari perchè il popolo russo è profondamente antifascista e antinazista.
Ma che cosa è Yabloko, il partito di Yavlinskij?
Yabloko è un partito iperliberista, “thatcheriano,” filo imperialista e filo Nato, membro dell’Internazionale liberale e dell’ALDE (Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa al Parlamento europeo, gruppo al quale ha poi aderito anche La République En Marche di Emmanuel Macron).
Yabloko fu il partito che appoggiò pienamente le politiche ultraliberiste di Boris El’cin volte alla distruzione totale delle imprese pubbliche ex sovietiche per consegnarle sia alle forze economiche imperialiste, nordamericane ed europee, che ai lupi russi della nascente oligarchia.
Yavlinskij fu, e rimane, il leader di questo partito criminale, il leader che progettò e propose nei primi anni ’90, sostenuto da El’cin, il piano dei “500 giorni”, arco temporale nel quale, secondo il duo Yavlinskij – El’cin, tutto l’apparato statale, industriale, economico, bancario, energetico ex sovietico doveva essere svenduto al capitale straniero e messo in mano per quattro rubli (al fine di avviare il nuovo liberismo russo, la “terapia shock”) alla nuova mafia oligarchica russa.
Chi fermò, nei fatti e in misura sostanziale, questa spaventosa e tragica dissoluzione del titanico apparato pubblico ex sovietico che, se avesse preso storicamente corpo, avrebbe trasformato la Russia in un cimitero economico e sociale e in una Nuova Frontiera Americana nella quale tutto sarebbe stato permesso al neocapitalsimo selvaggio? (Già nel 1993, a soli 2 anni dallo scioglimento dell’URSS e sotto le politiche iperliberiste di El’cin, la Russia giunge improvvisamente al 30% di disocuppati, i quali, nel 1994-95, anche sotto la spinta ideologica della politica dei “500 giorni” di Yavlinskij, giungono al 48%. 11 milioni di senza lavoro a pochi anni dalla caduta di un Paese, l’URSS, che non sapeva più cosa fosse la disoccupazione).
Chi fermò, dunque, questa apocalittica rovina sociale di cui uno dei massimi architetti era, doveva essere, Grigorij Yavlinskij, l’uomo che oggi è uno dei massimi accusatori di Putin, per il fatto che Putin non lascia mano libera alla Nato e all’imperialsmo economico Usa?
La fermò Vladimir Putin.
Nel 1999 un El’cin malato e totalmente alcolizzato nomina Putin Primo Ministro e successivamente Presidente della Russia.
Dalla stessa fase in cui Putin diviene Primo Ministro e poi Presidente inizia a venir meno quella politica El’cin – Yavlinskij che si rivolgeva al capitale straniero e ai primi oligarchi (Berezovskij, Gusinskij, Khodorkvskij e altri e altri) con la parola d’ordine divenuta famosa “Fatevi sotto!”. Una spinta politico-ideologica al servizio degli spiriti animali capitalistici che lanciava un sistema senza più leggi, senza regole, senza sistema bancario e fiscale: il vecchio Far West americano.
E’ la fase, quella che precede Putin, passata alla storia russa come quella della “Grande Rapina”, entro la quale si costituisce il patto scellerato tra oligarchia e potere di El’cin: la nuova mafia economica, alla quale il trio El’cin- Gaidar – Yavlinskij permette di comprare con delle elemosine le grandi aziende pubbliche ex sovietiche, che ripaga poi con montagne di dollari quello stesso potere, ai fini della sua autoriproduzione.
Nel luglio 1996 El’cin viene rieletto Presidente della Federazione Russa in una campagna elettorale durissima che si chiude con la sua vittoria al ballottaggio (54,4%) contro il Presidente del Partito Comunista della Federazione Russa, Ghennady Zyuganov, che ottiene il 40,7%. Ma a nessuno sfugge che quella vittoria di El’cin giunge sulle basi di un immenso sostegno economico della nuova “classe” degli oligarchi, in lotta, innanzitutto, contro i comunisti.
Putin, dunque, si batterà subito contro tutto questo. Al contraio di quanto oggi è raccontato dai media occidentali, sarà Putin, con la testa e la coscienza ideologica e patriottica di un funzionario massimo del KGB prima, e di direttore nazionale dei Servzi Segreti russi post sovietici (FSB) poi, ad iniziare una lotta durissima contro gli oligarchi ed il loro immenso potere economico e politico in così poco tempo accumulato.
Nella guerra di Putin contro gli oligarchi (che non è una lotta comunista contro la proprietà privata e il liberismo, ma è, appunto, una lotta contro la degenerazione del nuovo potere oligarchico-mafioso-imperialista) famoso, ed emblematico, rimarrà per sempre l’assalto da lui ordinato, a 300 poliziotti delle Forze Speciali (è il 16 settembre 1999 e Putin è ancora solo Primo Ministro), alla sede centrale della Transneft, la compagnia che gestiva quasi come un monopolio gli oleodotti russi.
Putin aveva destituito dalla direzione della Transneft l’oligarca Dimitrij Savelev, che aveva in testa un progetto di svendita e “spacchettamento” per i privati (stranieri e russi) della grandissima azienda energetica e da quella postazione di immenso potere non voleva accettare la destituzione decisa da Putin. Che invece la impose con l’assalto dei 300 poliziotti.
Putin non è un comunista, e lo sappiamo, ed è per questo motivo che noi siamo a fianco del Partito Comunista della Federazione Russa, che non ha lesinato critiche alla politica sociale di Putin in tutti questi anni, anche se ora Zyuganov appoggia in pieno l’Operazione Z.
Ma ciò che riteniamo moralmente e politicamente insopportabile è che ora l’Occidente, demonizzando Putin, dia invece dignità a criminali sociali e storici come Grigorij Yavlinskij, che ha tentato di trasformare la Russia in un sanguinario Far West americano ed è stato tra i padri putativi dell’oligarchia mafiosa russa.
19 Luglio 2022