Zochrot, gruppo israeliano per i diritti umani, pubblica mappe dettagliate in ebraico per mostrare alla propria società civile cosa è stata la catastrofe del ’48
di Jillian Kestler-D’Amours – IPS Service
Tel Aviv, 19 aprile 2013, Nena News – I fuochi d’artificio hanno lasciato il cielo di Tel Aviv, dopo una settimana in cui migliaia di bandiere israeliane hanno celebrato il 65esimo anniversario della fondazione del Paese. Allo stesso tempo, un piccolo gruppo di attivisti israeliani ha esplorato l’altro lato – per lo più ignorato – della creazione di Israele: il trasferimento forzato di centinaia di migliaia di palestinesi.
Il gruppo israeliano Zochrot (“Ricordare” in ebraico) ha pubblicato le prime mappe in lingua ebraica, dove ha indicato centinaia di villaggi palestinesi distrutti in tutta la Palestina storica dall’inizio del movimento sionista fino alla guerra del 1967. La mappa include anche i villaggi siriani e ebraici distrutti alla fine dell’Ottocento.
Ogni ex villaggio o città è indicato con un punto – rosso, blu, giallo, rosa, porpora o verde – per indicarne il tipo e dove e come i suoi residenti sono stati cacciati. Sono indicati anche i nomi delle comunità israeliane costruite sopra le macerie di quelle palestinesi. “Questione di tempo, no?”, dice sorridendo il fondatore di Zochrot, Eitan Bronstein, in merito alla decisione di pubblicare mappe della Nakba in ebraico.
“Per noi è molto importante non solo mostrare la distruzione, ma anche mostrarla come background di quanto accade oggi. È fondamentale comprendere che i luoghi in cui viviamo oggi sono vicini a ex città palestinesi o addirittura sono costruiti sopra”, spiega Bronstein a IPS.
La parola Nakba (“Catastrofe” in arabo) indica l’espulsione forzata di 750mila palestinesi che hanno dovuto lasciare le proprie case e i propri villaggi prima e durante la fondazione dello Stato di Israele, tra il 1947 e il 1948. Le forze israeliano hanno spopolato e distrutto oltre 500 villaggi palestinesi in questo periodo e negli anni a seguire. Ai rifugiati palestinesi viene impedito di ritornare nelle loro case, ancora oggi: i palestinesi costituiscono la più numerosa popolazione di rifugiati del mondo e molti vivono ancora nei campi profughi in Cisgiordania, Gaza, Giordania, Siria e Libano.
Il 52enne Hanna Farah è originario del villaggio palestinese di Kufr Bir’im, non lontano dal confine con il Libano, nella regione della Galilea a Nord di Israele. La sua famiglia è stata cacciata con la forza nel 1948 e Hannah è cresciuto come rifugiato interno nel villaggio di sua madre, Jesh. “Io sarò sempre di Kufr Bir’im, per sempre”. Farah, che oggi vive a Jaffa, dice di sperare che avere una mappa in ebraico possa finalmente aprire gli occhi degli israeliani sulla loro storia e aiutarli a comprendere la Nakba: “Quando vanno al parco per fare un barbecue, si siederanno su pietre delle case palestinesi. Forse questa mappa sarà come un piccolo elettroshock. Molti di loro chiudono gli occhi. Non vogliono vedere perché sanno quanto è terribile. Forse ora saranno più aperti ai problemi reali e ne discuteranno concretamente”.
L’attivista israeliana Rivka Vitenberg sottolinea l’importanza della discussione sulla Nakba, specialmente in una società dove solo la narrativa israeliana viene insegnata nelle scuole, mentre l’esperienza palestinese è ignorata. “Mentre crescevo, per tutto il tempo i miei insegnanti mi dicevano che noi avevamo un solo Stato e gli arabi ne avevano 22. Quando ho cominciato a conoscere il punto di vista palestinese, ho capito: c’erano persone che vivevano qui. Voglio che la gente ricordi la Nakba. È una parte importante della storia. Dobbiamo conoscerla”.
A febbraio, uno studio del Consiglio degli Istituti Religiosi della Terra Santa ha presentato un’analisi in cui mostrava che sia i libri di testo israeliani che quelli palestinesi davano “narrative nazionali unilaterali” e eventi storici – come la Nakba palestinese o, come è nota agli israeliani, la guerra di indipendenza – sono “presentati selettivamente per rafforzare la propria narrativa di comunità”.
Eppure, secondo Eitan Bronstein, c’è stato un graduale spostamento verso l’apertura da parte della società israeliana in merito alla Nakba, grazia anche alla crescente visibilità del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi e degli sforzi del governo israeliano di negarlo.
Nel 2011 Israele ha approvato una controversa legge – nota come Legge della Nakba – che vieta alle istituzioni che ricevono finanziamenti statali di organizzare eventi per commemorare la Catastrofe. Un’originale e peggiore versione della legge andrebbe a definire la commemorazione della Nakba come un’offesa criminale punibile fino a tre anni di prigione.
“Dieci anni fa la gente ci avrebbe chiesto ‘Che cos’è questo?’ Non sapevano cosa significasse tale parola. Oggi, di sicuro, sempre più persone vogliono conoscere la Nakba“, dice Bronstein. “Distribuiremo la mappa ai professori universitari, agli insegnanti delle scuole superiori, ai presidi, alle librerie, ai giornalisti. Spero davvero che questo aprirà spazio per la discussione”.
19 aprile 2013