A cura di Enrico Vigna Forum Belgrado Italia/CIVG
Il 24 giugno 2020, il Tribunale speciale per il Kosovo all’Aia, ha accusato il presidente kosovaro e alcuni altri comandanti dell’UCK, di una serie di crimini di guerra e contro l’umanità. Assieme a Thaci, sono stati incriminati l’ex presidente del parlamento kosovaro Kadri Veselj, anch’egli come Thaci, ex comandante dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), e oltre un centinaio di altri imputati, tutti accusati di crimini di guerra e contro l’umanità, compresi rapimenti, torture, persecuzioni e di un centinaio di omicidi identificati. Le vittime furono serbi, kosovari di etnia albanese, rom, compresi anche oppositori politici, così ha stabilito il Tribunale speciale dell’Aia nella convocazione degli indagati.
Thaci presidente del Kosovo dal 2016, è accusato di dieci capi d’imputazione, al pari di Veselj, attualmente leader del Partito democratico del Kosovo (Pdk).
Il Tribunale, ha ritenuto di rendere pubblico un comunicato sulle accuse formulate, a causa dei ripetuti tentativi di Thaci e Veselj di ostacolare e sabotare il lavoro della Corte. Si ritiene infatti che Thaci e Veselj abbiano avviato in segreto una campagna con l’obiettivo di abrogare la legge sull’istituzione del Tribunale Speciale dell’Aia, in modo da sottrarsi alla giustizia. Ciò facendo, sottolinea il comunicato, i due hanno posto i loro interessi personali “al di sopra delle vittime dei loro crimini, dei principi dello Stato di diritto e dell’intero popolo del Kosovo”.
Thaci, che doveva recarsi a Washington per un incontro di discussione sulla situazione del Kosovo, presente anche il presidente serbo A. Vucic, ha annullato il viaggio e si è recato all’Aja per l’interrogatorio.
Per Thaci, comunque vadano gli aspetti legali, questa imputazione è una pesantissima tegola che si abbatte sulla sua già tetra reputazione. Il governo e le istituzioni kosovare hanno diramato un comunicato in cui si parla di “calunnie infondate e diffamatorie”, annunciando che verrà compiuto “ogni passo necessario per respingerle, anche attraverso mezzi legali e politici”. Certamente la partita sarà determinata dalle scelte e dagli obiettivi strategici della politica statunitense, legata allo scenario balcanico, che vede la Serbia unico e ultimo paese non ancora (…per ora…) completamente assoggettato ai voleri USA e NATO e con la questione Kosovo aperta, che ha nel ruolo della Russia, ma anche della Cina, un terreno di confronto e scontro di interessi strategici, ma anche economici con i paesi occidentali a guida NATO. Ma non stupirebbe se questo fosse un ennesimo atto di scaricamento di pedine che sono state utili nel passato, ma che poi diventano inutili o gravose nei nuovi scenari. La vecchia logica dell’uso politico di “carne da cannone”, illusa di essere protagonista, in realtà semplici idioti illusi o avidi di protagonismo
In ogni caso con queste accuse formulate da una “parte esterna” alle due parti in lotta in Kosovo, viene rimesso in gioco il “mito fondatore” dello stato fantoccio, cioè che è stato un processo di liberazione di popolo per l’indipendenza; una visione dove l’UCK ha condotto una guerra giusta e pulita: dove i serbi erano i colpevoli e gli albanesi le vittime.
Il principale compito del prossimo governo di Pristina, quello cioè, come è già stato finora, di rafforzare e consolidare il paese a livello internazionale, realizzando per esso una immagine edulcorata di paese democratico e moderno, diventa ora molto più difficile.
Forse è il caso di “rammentare” ai mass media nostrani distratti, che questa convocazione non è un fulmine improvviso, ma ha radici di almeno 10 anni, grazie al documentato e approfondito lavoro investigativo dall’ex parlamentare federale svizzero Dick Marty e del suo staff, che fu presentato e portato a conoscenza del Consiglio d’Europa già nel 2010. In una Risoluzione dello stesso CoE nel gennaio 2011, veniva approvata una richiesta di approfondimento nelle sedi competenti.
L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa approvò a maggioranza la risoluzione di Marty, con 169 voti a favore, 8 contrari e 14 astenuti.
Il Tribunale speciale è stato poi istituito nel 2015, sulla base del rapporto stesso.
In questo rapporto, di 55 pagine, Marty, denunciava con prove e testimonianze il traffico di armi, droga e organi umani attuato tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 in Kosovo. I responsabili, vengono indicati centinaia di nomi tutti componenti dell’UCK, tra cui H. Thaci in primis, avrebbero rapito, deportato, detenuto clandestinamente e poi assassinato efferatamente centinaia di persone.
A oltre 300 prigionieri, per la maggior parte serbi, furono prelevati gli organi ad uno ad uno, in stanze fatiscenti che funzionavano da sale operatorie sbrigative, questi venivano poi venduti nel mercato illegale occidentale dei trapianti, per finanziare l’UCK. Il famoso scandalo della “casa gialla” in Albania, su cui ha testimoniato anche l’ex Procuratore svizzero Carla Del Ponte in un suo libro del 2008 “La caccia” poi fatto sparire dalla circolazione. La casa gialla era un edificio nella località di Burrelj, in Albania a pochi km dal confine con il Kosovo.
Questa attività criminale si è svolta, secondo il rapporto Marty, grazie “ad un gruppo ristretto, ma incredibilmente potente, di personalità dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK)”. Tra i capi di questo gruppo vi era proprio Hashim Thaci, che si rappresentava come “Drenica”, perché operava appunto nella valle della Drenica, uno dei luoghi dove lo scontro tra l’Esercito Jugoslavo e i terroristi è stato tra i più feroci e cruenti.
E’ un quadro inquietante quello che documenta il rapporto del ex senatore svizzero: la guerriglia UCK viene dominata dal “gruppo della Drenica”, che, con la violenza e i proventi dei traffici illeciti conquista la supremazia sugli altri. Hasim Thaci, che del gruppo è il leader, “deve indubbiamente la sua ascesa personale all’essersi assicurato un sostegno politico e diplomatico degli Stati Uniti e degli occidentali come partner locale preferito del loro progetto di politica estera”. Lo stesso Thaci viene descritto nei rapporti di intelligence citati da Marty come “il più pericoloso dei boss criminali dell’UCK”.
Sullo specifico del traffico di organi le affermazioni più pesanti del rapporto, riguardano il cardiologo Shaip Muja, consigliere di Thaci per i problemi della sanità. “Abbiamo scoperto numerose indicazioni convergenti del ruolo centrale di Muja per oltre un decennio in reti internazionali per niente meritevoli, compresi i traffici di esseri umani, le procedure chirurgiche illecite e il crimine organizzato”.
*Su questo crimine disumano, al fondo potete leggere quanto documentato in un mio articolo nel…2008.
Attualmente ogni azione è impaludata in sede ONU perché gli Stati Uniti e i loro alleati si oppongono, a che l’indagine sia proseguita da un organismo imparziale della stessa ONU.
Sempre per “rammentare” che non c’è nulla di nuovo sui crimini UCK, occorre ricordare che nel 2007, il giornalista David Binder, del New York Times, aveva scritto su una dettagliata inchiesta commissionata dalla Bundeswehr, l’esercito Tedesco, sulla situazione nel Kosovo. In questo rapporto si documentava che l’attuale Kosovo è una “società da guerra civile”, dove “…le persone sono inclini alla violenza, senza grande istruzione e facilmente influenzabili, dove è possibile fare enormi salti sociali nell’ambito di una soldataglia raccogliticcia su due piedi. Ci si trova in presenza di una società mafiosa, che poggia sull’occupazione dello Stato da parte di elementi criminali… le attività criminali in Kosovo sono gestite da organizzazioni messe in piedi a colpi di pacchetti di milioni di euro, che sono dotate di esperienza di guerriglia e di capacità esecutive in campo spionistico.” Nel rapporto si cita anche un altro rapporto dei Servizi di Intelligence Tedeschi in cui si prendeva atto dei “collegamenti molto stretti fra i dirigenti di punta della classe politica e quelli della classe criminale, con Ramush Haradinaj, Hashim Thaci e Xhavit Haliti come dirigenti implicati, protetti sul piano interno dall’immunità parlamentare e su quello estero dalle legislazioni internazionali”.
Dopo che Binder pubblicò questi articoli venne espulso come giornalista indesiderato…potere della democrazia.
In una intervista del 2011 alla TV Euronews, la giornalista Audrey Tilve chiedeva a Marty:
“Lei indica Hashim Tachi come padrino della rete mafiosa kosovara. Pensa che basteranno le prove in suo possesso per portarlo in tribunale?”. Marty rispose: “ Sono ormai quindici anni che il signor Thaci è citato in tutti i rapporti delle polizie e dei servizi segreti. Bisognerebbe chiederci perché fino ad ora non ci sia mai stata una vera indagine, perché si tollerano i dubbi. Non è solo una questione giuridica o penale: ci sono degli impegni politici da rispettare che non si possono eludere”.
Jerry Seper del “Washington Post” aveva scritto il 3 maggio 1999:
“…l’UCK, che l’amministrazione Clinton ha abbracciato e alcuni membri del Congresso vogliono armare come parte della campagna di bombardamenti della NATO, è un’organizzazione terroristica che ha finanziato gran parte del suo sforzo di guerra con i profitti derivanti dalla vendita di eroina. Documenti di “intelligence” ottenuti di recente dimostrano che le agenzie antidroga di cinque Paesi, tra cui gli Stati Uniti, ritengono che l’UCK è alleato con una vasta rete criminale organizzata con base in Albania, che contrabbanda eroina e cocaina agli acquirenti in tutta l’Europa occidentale e, in misura minore, negli Stati Uniti. I documenti legano i membri della mafia albanese ad un cartello del traffico di droga, con base nella capitale della provincia del Kosovo, Pristina. Il cartello è gestito da albanesi etnici che sono membri del Fronte nazionale del Kosovo, il cui braccio armato è l’UCK. I documenti mostrano anch,e che questa è una delle più potenti organizzazioni di contrabbando di eroina nel mondo…”.
Seper, ricordava poi che “nel 1998, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha elencato l’UCK, come organizzazione terroristica internazionale, dicendo che finanziava le sue operazioni con i proventi del commercio internazionale di eroina e con prestiti ottenuti da noti terroristi come Osama bin Laden… “Erano terroristi nel 1998 e ora, a causa della politica, sono combattenti per la libertà “, ha detto un alto funzionario della droga, che ha chiesto di non essere identificato…” scriveva ancora Seper.
Il 29 luglio 2014, il Procuratore speciale di EULEX, l’ambasciatore USA Clint Williamson, ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles, che le indagini condotte nei passati tre anni, hanno sostanzialmente confermato gli accertamenti del Rapporto Marty.
Comunque oggi, il leader dell’UCK e padre della patria in Kosovo, Hashim Thaci, «viene chiamato a rispondere e accusato di guidare un clan politico-criminale nato alla vigilia della guerra» e responsabile del traffico non solo di armi, eroina ma anche di organi umani. Di crimini contro l’umanità.
Chi è Hashim Thaci
Hashim Thaçi è nato il 24 aprile 1968 nel comune di Srbica/Skënderaj, nell’allora Provincia Socialista Autonoma del Kosovo. All’università di Pristina ha studiato storia e filosofia. Durante gli anni universitari Thaçi fu il leader e il primo studente Presidente della Università Albanese non riconosciuta di Pristina, che si era auto costituita nel 1989 nella lotta contro la Jugoslavia.
Nel 1993 emigrato in Svizzera, , Thaçi entrò nei gruppi politici albanesi separatisti, proseguendo anche gli studi post-laurea in storia e relazioni internazionali all’Università di Zurigo, con quali soldi non è dato sapere, visto che veniva da un villaggio considerato tra i più poveri del Kosovo. Fu uno dei fondatori del Movimento Popolare del Kosovo (LPK), ispirato al nazionalismo albanese. Subito dopo divenne membro dell’Esercito di Liberazione del Kosovo. Thaçi, il cui nome di battaglia era “Gjarpëri, Serpente” era responsabile per la raccolta dei mezzi finanziari, gli armamenti e le reclute da addestrare in Albania e spostare poi in Kosovo. Nel 1997 venne processato e condannato in contumacia dalle autoritàjugoslave a Pristina per atti di terrorismo associati alla sua attività nell’UCK.
Nel marzo 1999 partecipò ai negoziati di Rambouillet come uno leader dei kosovari albanesi. Ma egli rappresentava la fazione più forte e potente all’interno dell’UCK, che era formata da varie bande, spesso in lotta tra loro. Durante la Guerra del Kosovo fu uno dei più importanti comandanti della formazione terrorista albanese. Dopo il conflitto si mosse rapidamente per consolidare il suo potere, autonominandosi subito, unilateralmente, Primo ministro di un governo provvisorio, appropriandosi poi di tutte le leve del potere, da Ministro degli esteri a Presidente, leader del PDK, sempre in combutta con alcuni altri comandanti UCK, tutti descritti e indicati nei Tribunali jugoslavi e non solo, come terroristi e criminali.
Il suo nome di battaglia, “Serpente”, si rifà a un detto popolare albanese della regione, che dice: ”Il serpente ha le zampe ma non le puoi vedere, ti dà la sua parola ma non ci puoi credere”. Forse quando lo scelse conosceva molto bene sé stesso e i suoi obiettivi futuri.
Un dato è certo, la sua abilità a muoversi nei “corridoi” degli ambiti internazionali e delle stanze che contano. La sua è stata una continua ricerca e assoggettamento alle forze atlantiche, sia USA che della NATO, come costante bussola di dove c’è il potere reale, per le sue scelte tattiche e aumentare la sua influenza in loco.
Ma ha lavorato anche verso Israele, ribadendo in molte occasioni pubbliche la necessità fondamentale per lo stato del Kosovo di costruire stabili e profonde relazioni bilaterali con lo Stato di Israele.
I suoi figli hanno frequentato le scuole private turche, anche qui probabilmente per lasciare sponde aperte per nuove scelte.
Tutte scelte abili in previsione di eventi, come quelli ora attivati all’Aja, che avrebbero potuto destabilizzare la sua carriera e il suo potere in Kosovo. Ma ora la fine del suo gioco, pare sia abbastanza vicina. Ora si capirà se tutte le sue connessioni internazionali si riveleranno utili per superare indenne questo passaggio, o semplicemente per avere tempo a disposizione per ritirarsi in qualche terra nascosta, godendosi i frutti economici delle sue attività criminali.
Oppure finirà in una cella a pagare per i suoi crimini
C’è anche una vecchia pagina oscura e obliata, nella carriera criminale del “padre della patria” kosovara ed è quella denunciata da un giornalista sul portale albanese “IN/Insajder”, relativa all’assassinio di un giovane giornalista albanese, Ali Uka, vicino ma critico all’UCK, negli anni iniziali.
Ali Uka era un giornalista di “Gazeta Shqiptare“ durante gli anni ’90 in Albania. Scriveva soprattutto sul Kosovo. Con l’avvicinarsi della guerra era molto attivo nel sostenere l’UCK, arrivando persino a definirsi come portavoce dell’UCK. Era un sostenitore del movimento per l’indipendenza. Ad un certo punto Uka, nei suoi articoli cominciò a criticare Xhavit Haliti, uno dei fedelissimi di Thaci ancora oggi, in quegli anni egli era compagno di stanza a Tirana, con Hashim Thaçi e Bashkim Thaçi, a quel tempo uno dei leader dell’UCK.
Una mattina presto, nel luglio 1997, Ali Uka fu trovato massacrato nel suo appartamento. Aveva la faccia sfregiata con un cacciavite e il fondo di una bottiglia rotta.
Documenti segreti della NATO, pubblicati sul quotidiano britannico “The Guardian” misero in dubbio che Uka fosse stato ucciso a causa di controversie con Xhavit Haliti. Però, secondo questi documenti, le indagini accusavano Hashim Thaçi, che fu arrestato e successivamente rilasciato con l’intervento di Xhavit Haliti e dei servizi segreti albanesi. Thaçi non ha mai voluto parlare dell’omicidio di Ali Uka.
Haliti, fornì una versione che non corrispondeva ai documenti della NATO pubblicati su noti quotidiani internazionali. Haliti incolpò il figlio dello zio di Uka, Selman Uka, per l’omicidio, descrivendolo come un ubriacone violento. Testimoniò che Selman fu processato ma non condannato, poi mandato in un ospedale psichiatrico in Albania, da dove in seguito fuggì durante le rivolte. Con questa dichiarazione salvò Thaçi dall’accusa dell’omicidio.
Un collaboratore di Haliti e Thaçi, Ibrahim Kelmendi, accusò direttamente Thaçi per l’omicidio di Ali Uka. Kelmendi era uno dei fondatori del Movimento Popolare del Kosovo, di cui Haliti e Thaçi facevano parte, parlò dell’omicidio di Uka nel 1998: “…nel marzo 1998 ho incontrato per caso il padre di Ali Uka a Tirana…Dato che indossava una camicia bianca, gli chiesi chi fosse e da dove venisse. Mi disse il motivo per cui era venuto lì, partecipare al processo per l’omicidio di suo figlio. Per curiosità, l’ho accompagnato a quel processo“, ha detto Kelmendi. Il quale aveva in precedenza scritto un lungo articolo sullo scandalo di quella pseudo-sentenza, sul giornale “Zeri i Kosovës“.
“… la mia convinzione, allora come oggi, è che Ali Uka è stato ucciso perché era diventato noto come “portavoce dell’UCK“. È così che la stampa di Tirana lo presentava. E da allora ho sospettato che la notorietà di Ali ostacolava Hashim e Xhavit. Fu poi detto che Ali e Hashim erano amici. Tuttavia, avevo già l’opinione che Hashim uccidesse anche i suoi compagni, se lo ostacolavano nel suo cammino … “, ha scritto Kelmendi.
In ogni caso, il caso dell’omicidio di Ali Uka non è mai stato riaperto. Le tracce del suo omicidio non furono seguite nemmeno da quei giornalisti albanesi decorati da Thaçi. Ali Uka, stranamente non è mai stato menzionato dal presidente del Kosovo, né è stato mai decorato come eroe della causa. Nonostante i sospetti che la stampa internazionale e i servizi segreti della NATO lanciano a Thaçi per l’assassinio di Ali Uka, il presidente non si distingue per la libertà dei media e dei giornalisti. È un ipocrita, scrive IN/Insajder
Link del Rapporto Marty del 7 gennaio 2011 in diverse lingue:
Français — English – – Deutsch (ufficiosa) – Albanese (ufficiosa)
Segnalo anche il video della trasmissione di RAI TRE “ La guerra infinita”, visibile anche sul sito del CIVG.IT, curata da Riccardo Iacona, a cui ho collaborato, che in questi anni ha avuto oltre 5 milioni e mezzo di lettori.
LA FOTO DELLA VERGOGNA dell’occidente: Hashim Thaci, leader dell’UCK; Bernard Kouchner Amministratore dell’ONU, Sir Mike Jackson Comandante della KFOR, Agim Ceku, comandante dell’UCK, Wesley Clark, comandante della NATO. ottobre 1999
Preoccupato il nostro eroe?
Una delle azioni eroiche dei liberatori del Kosovo
A cura di Enrico Vigna, Forum Belgrado Italia/CIVG – 20 luglio 2020
*Orrore nel Kosovo “liberato” dalla NATO. Estate 1999: 300 serbi rapiti e seviziati dai secessionisti albanesi dell’UCK Enrico Vigna – 07/04/2008
Una montagna di cadaveri, queste le basi fondanti il nuovo stato fantoccio del Kosovo, riconosciuto dal governo Prodi.
In questi giorni è venuta alla luce, una delle pagine più oscure ed orribili dai tempi del Terzo Reich ad oggi: il rapimento e l’assassinio di oltre 300 prigionieri serbo kosovari, avvenuto nell’estate del 1999, subito dopo l’occupazione del Kosovo da parte della Nato, con la presenza nella provincia serba di decine di migliaia di soldati della Nato, della KFOR, di rappresentanti internazionali dei diritti umani, giornalisti, pacifisti, ecc. ecc….evidentemente tutti molto distratti o troppo impegnati a raccogliere interviste e informazioni sulle presunte violenze e persecuzioni perpetrate dai serbi.
Questi uomini dopo essere stati rapiti venivano deportati in campi dell’orrore in Albania, dove gli venivano espiantati uno ad uno i vari organi del corpo, per poi immetterli nel traffico internazionale d’organi diretto verso l’occidente e finanziare così le attività dell’UCK (forse solo i nazisti erano giunti a tanto).
Questo è quanto è emerso dalle pagine del libro “ La caccia” in uscita in Italia nel mese di Aprile, un’autobiografia dell’ex procuratrice Carla Del Ponte del Tribunale Internazionale dell’Aja per la ex Jugoslavia, che ha perseguito per anni, soprattutto i leaders serbi, per le varie guerre balcaniche.
I rapiti, furono prima rinchiusi in campi a Kukesh e Trpoje, poi, dopo essere stati esaminati da dottori albanesi per poter verificare quali fossero i più sani e robusti, venivano portati a Burel e dintorni, nell’Albania centrale, dove erano ben rifocillati, curati e non torturati, in modo da essere pronti per la mutilazione degli organi.
La Del Ponte ha detto che una parte di questi era rinchiusa in una casa gialla, situata a circa 20 chilometri a sud della cittadina albanese di Burel, in una stanza vi era una specie di infermeria, dove venivano esportati gli organi ai prigionieri. Poi questi venivano spediti attraverso l’aeroporto Madre Teresa di Tirana, verso le destinazioni occidentali che avevano pagato per poter effettuare i trapianti. In questi campi vi erano anche molte donne provenienti dalle province kosovare, dalle repubbliche ex jugoslave, dall’Albania, dalla Russia e altri paesi, anche a loro furono poi estratti gli organi prima di essere uccise.
La Del Ponte, oggi ambasciatrice svizzera in Argentina, con queste rivelazioni postume, ha causato, in numerosi ambienti politici, giuridici e giornalistici, sia in Serbia che a livello internazionale, durissime reazione anche diplomatiche.
L’ex procuratrice conosceva l’esistenza di questi lager sin dal 2003, quando un testimone diretto, ex combattente dell’UCK, rese una deposizione all’Aja, sotto copertura di protezione per la sua sicurezza con la sigla “K 144”, in cui dichiarò di aver partecipato personalmente a questa operazione e che essa era stata condotta sotto la diretta supervisione di Hasim Thaci allora uno dei comandanti generali dell’UCK, attualmente primo ministro del narcostato Kosovo, autoproclamatosi “indipendente” sotto la protezione della NATO.
La Del Ponte ha dichiarato che, dopo aver avuto queste segnalazioni circa questi campi dell’orrore, fece un sopraluogo nel 2003 con un gruppo di investigatori dell’Aja ed un procuratore del Tribunale di Tirana e visitarono proprio la famigerata “casa gialla” vicino Burel.
“…Quando la visitammo era diventata bianca, ma vi erano evidenti tracce di pittura gialla scrostata, era evidente che era stata ridipinta…”. Nelle vicinanza della casa furono rinvenuti garze, medicamenti, siringhe usate, flaconi del sangue e vuoti, tracce di medicinali anestetizzanti e medicine rilassanti i muscoli, tipiche per le operazioni chirurgiche.
All’interno della casa furono anche scoperte tracce di sangue essiccato, una stanza di uno dei piani era molto pulita quasi fosse stata in precedenza disinfettata e sterilizzata, una specie di camera operatoria di fortuna. Ma in accordo con gli investigatori, pur ritenendo probabili le dichiarazioni dei testimoni circa la casa degli orrori, fu ritenuta “impossibile” l’apertura di una indagine che ricostruisse l’intera vicenda, ha dichiarato l’ex procuratrice.
Parla un testimone diretto, il teste K 144
Il testimone dichiarò che questa operazione di traffico d’organi era “…Un ben organizzato e molto redditizio business per le casse dell’UCK. Esso era controllato dai comandanti e con il beneplacito dello stato albanese… Nel corso di questa azione furono espiantati circa trecento reni e oltre cento altri organi a questi prigionieri, in alcuni casi anche il cuore… e poi venduti attraverso l’Italia. Io so che il valore di un rene era tra i 10.000 e i 50.000 marchi tedeschi. Si diceva che quest’operazione aveva fruttato oltre quattro milioni di marchi tedeschi. Esisteva una precisa documentazione, tutti gli organi estratti erano registrati con accanto l’ammontare di quanto ricavato; i rapporti venivano consegnati ai comandanti locali, che li davano poi a Thaci in persona. Il comando UCK teneva l’80% del ricavato ed il resto veniva diviso tra gli uomini che avevano organizzato l’espianto ed il trasporto degli organi…”.
Così il testimone dell’Aja aveva descritto questa mostruosa operazione, nella sua deposizione.
Secondo lui nel 1999 esistevano, nel nord dell’Albania, più campi di prigionia per questo traffico d’organi, dove venivano portati i serbi rapiti nel Kosovo.
I nuovi Mengele: “…Era un sistema ben congeniato. Alcuni dottori visitavano i prigionieri, facevano una cartella sanitaria di ciascuno, quando arrivava dall’Italia la richiesta di quali organi servivano, essi indicavano chi andava preso per l’espianto; venivano poi anestetizzati, i loro organi estratti e poi lasciati morire…Nel caso fossero giovani e sani, dopo aver levato un organo, venivano ricuciti e curati, in attesa di levargli altri organi. Ma tornando essi tra gli altri prigionieri, questo creava panico e terrore tra gli altri, così venivano isolati…”, ha dichiarato il teste K144. Egli ha aggiunto che i corpi venivano poi sepolti in fosse comuni lì vicino.
“…La fossa comune più grossa, con circa cento corpi di serbi, era situata a Burel nell’Albania centrale: io ho partecipato personalmente all’opera di seppellimento di alcuni serbi in quel luogo. Quando vi fu sentore di indagini e pericolo di scoperta di questa fossa, fu riaperta ed i corpi sparsi in un’altra dozzina di luoghi lì attorno…”.Questo testimone ha inoltre dichiarato che c’erano anche alcune dozzine di prostitute prigioniere, le quali dopo essere state usate per il piacere, furono poi, dopo esami medici, anche loro mutilate dei loro organi vitali prima di essere uccise. “…Erano donne russe, romene, moldave, quando io chiesi una volta che fine avessero fatto, mi fu risposto che avevano terminato di fare il loro lavoro…”.
Questi i fatti finora documentati, ora si stanno aprendo procedimenti e denunce contro la Del Ponte, da parte di Associazioni serbe dei rapiti, da parte della Corte di Belgrado e del governo serbo che hanno chiesto di vedere il libro per poter decidere cosa fare; di Corti internazionali; di Associazioni internazionali dei diritti umani (…quelle non finanziate o supine alla Nato); di cancellerie di alcuni paesi e anche associazioni di medici e altri.
Nel frattempo il governo svizzero ha chiesto alla Del Ponte di non partecipare a presentazioni pubbliche del suo libro e di rientrare al più presto in Argentina, in quanto non è accettabile che un esponente ufficiale della Svizzera, quale è lei, divulghi quel tipo di informazioni.
Si badi bene, non si contesta la veridicità delle cose, ma semplicemente l’opportunità di dirle!
Certo è un pochino imbarazzante per la Svizzera, avendo proprio nei giorni scorsi aperto l’ambasciata a Pristina, come riconoscimento ufficiale del nuovo Kosovo.
Una cosa è certa, la verità, come sempre nella storia, a fatica, tra mille ostacoli, poco alla volta, come fili d’erba che si conquistano la luce attraverso il cemento/armato, rovesciato sulle terre jugoslave dalla NATO e dall’occidente, sta affiorando: ci sarà ancora molta strada da percorrere, ma le prime macroscopiche crepe cominciano a delinearsi anche per la tragedia del Kosovo; dalle fosse comuni mai ritrovate (dati OSCE, KFOR, FBI, UNMIK), dalle stragi mai avvenute (Racak per esempio), al genocidio mai avvenuto, alla pulizia etnica, questa sì avvenuta, ma cominciata nel giugno ’99 contro tutte le minoranze non albanesi, alla “libertà/indipendenza” conquistate… mediante la costituzione di un narcostato fantoccio, sotto l’egida NATO. E così via.
Ma è solo con la verità storica, che forse un giorno vi potrà essere anche giustizia per tutti i popoli del Kosovo Metohija, a partire dal popolo serbo, aggredito, additato, umiliato ma non ancora vinto. Nonostante tutto ancora in piedi a battersi per la verità, la giustizia, la propria dignità e identità nazionali oggi violentate e calpestate.
Allora torneranno giustizia, convivenza e multietnicità, come è ancora oggi nella Serbia multietnica e multireligiosa, dove, nonostante difficoltà e rabbie, tutte le minoranze possono ancora vivere con parità di diritti, compresa la numerosa comunità albanese, al di là di ogni etnicità.
20 luglio 2020