Prima di affrettarsi a scegliere su come schierarsi sulla legge che liberalizzerà la cannabis, e che approderà in Parlamento a settembre, è meglio sapere cosa sia e chi ha interessi nel merito.
Per questo motivo vi chiediamo di leggere con attenzione questi altri due post pubblicati tempo fa Matteo Renzi regali alla Philip Morris, Spacciatori di capitalismo… e, poi, valutare quali possano essere le ricadute sulle future generazioni e chi, realmente, se ne avvantaggerebbe con tale legge.
Dopodiché si vada a leggere il dottorato di ricerca di Valentina Giugliano, Effetto nell’auto-somministrazione dell’agonista sintetico del recettore cannabinoide CB1, WIN 55, 212-2, nel modello animale di depressione della bulbectomia olfattoria (OBX) dove si sostiene che “Oggi in Europa circa il 30-50% dei pazienti psichiatrici soffre non solo di disturbi mentali, ma anche di quelli derivanti dal consumo di diverse sostanze, principalmente alcool, sedativi o cannabis (Bakken et al., 2003) […] Negli Stati Uniti, una indagine epidemiologica nazionale su abuso di alcool e condizioni ad esso associate ha stabilito una netta correlazione tra disturbi dovuti al consumo di droghe e disturbi della personalità, e circa la metà dei consumatori di droghe manifesta almeno un disturbo della personalità (Berglund et al., 2003).”
E, ancora, “La cannabis è la sostanza illecita più ampiamente utilizzata nel mondo. In Europa, più di 62 milioni di persone hanno assunto cannabis almeno una volta nella vita (più del 20% della popolazione adulta) e circa 3 milioni di adolescenti, soprattutto maschi, ne fanno uso quotidianamente o quasi (McGee et al., 2000). A causa di un suo così elevato utilizzo, negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per le possibili conseguenze dell’uso della cannabis sulla salute, con particolare riguardo alla sua relazione con i disturbi mentali. Il rapporto tra consumo di marijuana e depressione è divenuto recentemente oggetto di diverse ricerche, volte a indagare l’entità della loro associazione e le possibili spiegazioni dei motivi che da una parte spingono gli individui depressi a fumare marijuana e dall’altra favoriscono l’insorgenza di sintomi depressivo-simili nei fumatori di cannabis (Horwood et al., 2012; Lev-Ran et al., 2013).”
Senza fare allarmismi ma i recenti episodi terroristi accaduti in Europa sono stati fatti da persone che con le droghe avevano a che fare… Sarà stato solo un caso fortuito, oppure…
Non ci sono bastati gli istupidimenti con “la caccia a Pokemon“?
MOWA
Il consumo protratto nel tempo di questa sostanza induce una diminuzione del volume di un’area della corteccia cerebrale. Lo ha dimostrato uno studio basato su immagini ottenute con diverse tecniche di risonanza magnetica su consumatori abituali e su soggetti non consumatori (red)
Una diminuzione di volume della corteccia orbitofrontale, associata a una variazione del numero di connessioni neuronali nella stessa regione cerebrale: è questo il segno più evidente lasciato dal consumo di marijuana sul cervello, secondo un nuovo studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS)”. A evidenziare per la prima volta in modo non ambiguo le anomalie della struttura e della funzionalità cerebrale in seguito all’uso prolungato di marijuana sono diverse tecniche di risonanza magnetica nucleare usate da ricercatori del Center for BrainHealth dell’Università del Texas a Dallas guidati da Francesca Filbey.
Filbey e colleghi hanno studiato 48 soggetti adulti che consumano marijuana in media tre volte al giorno e 62 soggetti di controllo, equivalenti per genere, età ed etnia. Le analisi delle scansioni di risonanza magnetica mostrano innanzitutto una variazione di volume della materia grigia della regione orbitofrontale, e in particolare del giro orbitofrontale su entrambi i lati.
Inoltre, le analisi evidenziano chiaramente la parabola delle variazioni della connettività funzionale e strutturale del cervello: all’inizio l’uso regolare di marijuana induce un incremento deciso di entrambe, proporzionale al consumo di sostanza; dopo 6-8 anni di uso continuato, tuttavia, la connettività strutturale inizia a diminuire, anche se la connettività di tipo funzionale rimane più intensa rispetto ai non consumatori. Questo fatto, secondo gli autori, spiegherebbe perché i consumatori cronici e assidui sembrano non avere problemi nonostante un volume orbitofrontale ridotto.
Queste variazioni sono interpretate come una risposta adattativa del cervello, che cerca di far fronte con nuove circuitazioni cerebrali alla diminuzione di volume indotta dalla sostanza.
“L’unicità di questo studio è legata al fatto che combina tre differenti tecniche di risonanza magnetica per valutare le differenti caratteristiche del cervello”, spiega Sina Aslan, coautore dell’articolo. “I risultati indicano un incremento del livello di connettività, sia strutturale sia funzionale, che può compensare le perdite di materia grigia: infine, anche la connettività strutturale, cioè l’insieme delle circuitazioni cerebrali, inizia a degradare con l’uso prolungato della marijuana”.
Dai test cognitivi è risultato inoltre che i soggetti che consumano marijuana hanno un quoziente d’intelligenza più basso rispetto ai controlli, ma le differenze non sembrano essere correlate direttamente con la variazione del volume della corteccia orbitofrontale.
“Negli Stati Uniti dal 2007 è assistito a un costante incremento del consumo di marijuana, la legislazione è cambiata e il dibattito sull’argomento continua; tuttavia, le ricerche sui possibili effetti a lungo termine sulle strutture cerebrali del consumo invece sono ancora scarsi e non sono arrivati a conclusioni non definitive a causa di carenze metodologiche”, conclude Francesca Filbey, che ha cooordinato la ricerca. “Il nostro studio non dimostra in modo definitivo che i cambiamenti siano una diretta conseguenza dell’uso della marijuana, ma gli effetti rilevati sono correlati con l’età dell’inizio del consumo e con la sua durata”.
12 novembre 2014