Csm verso la riforma?
di Giorgio Bongiovanni
Domenica mattina, presso la sede dell’Associazione nazionale magistrati, in vista delle elezioni suppletive dei due nuovi togati che dovranno essere eletti al Consiglio superiore della magistratura dopo le dimissioni di Luigi Spina (Unicost) e Antonio Lepre (Mi) susseguite agli scandali emersi nell’inchiesta di Perugia sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara (accusato di corruzione), si sono tenute le audizioni dei sedici magistrati candidati consiglieri. Ognuno di loro ha presentato la propria “visione” su quelli che dovrebbero essere i compiti dell’organo superiore della magistratura, ma anche evidenziando ciò che fin qui non è stato fatto. Tra questi vi era anche il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo. Nel suo discorso di quindici minuti vi sono idee di rinnovamento, pensieri, spunti ma anche analisi critiche su un sistema che, purtroppo, ha presentato evidenti degenerazioni rispetto al ruolo sancito dalla Costituzione. E proprio quelle critiche, per aspetti diversi, sono andate di traverso ad alcuni magistrati, politici ed ex membri del Csm stesso. Ieri abbiamo letto dalle agenzie di stampa assurde lamentele, ipocrite giustificazioni e considerazioni sbilenche negli interventi del deputato di Forza Italia Pierantonio Zanettin (ex membro laico del Csm), di Mariarosaria Guglielmi, Segretaria generale di Magistratura democratica e dell’ex magistrato ed ex senatore, Antonio Di Pietro. Ma quale è stata la “pietra dello scandalo? La denuncia, da parte di Di Matteo, sulla degenerazione del correntismo “laddove l’appartenenza a correnti o cordate è diventata l’unica possibilità di sviluppo di carriera e di tutela in momenti di difficoltà e di pericolo. E questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso”. Una denuncia che era inserita all’interno di un discorso più ampio dove si evidenziavano anche altre criticità come la “burocratizzazione legata ad una logica perversa delle carte a posto dei numeri e delle statistiche; la gerarchizzazione degli uffici; il collateralismo politico che si manifesta nel privilegiare scelte di opportunità piuttosto che di doverosità”. Di Pietro, invitato a commentare su Radio Cusano Campus la considerazione sulla correnti della magistratura, ha affermato: “Non facciamo di tutta l’erba un fascio. In tutte le categorie degli esseri umani possono esserci delle mele marce, ma buttare via tutto il cesto mi pare una semplificazione troppo azzardata. Non vorrei che per combattere questo tipo di lobby si faccia un’altra lobby uguale e contraria. Vanno modificate le modalità di composizione del CSM, io sono per il sorteggio”. In primo luogo ci chiediamo se l’ex magistrato ha sentito o letto l’intero intervento di Di Matteo, perché a ben vedere neanche lo stesso pm di punta del processo trattativa Stato-mafia ha fatto di tutta l’erba un fascio. Poi invitiamo a riflettere sulla reale necessità del sorteggio come soluzione ai mali che si sono manifestati. Sappiamo perfettamente che non è l’unico a ritenere valida una tale soluzione, seppur con qualche accorgimento, anche tra i membri della stessa corrente che sostiene Di Matteo nella corsa al Csm. Da semplici cronisti che si occupano ormai da diversi anni di cronaca giudiziaria riteniamo abbastanza illogico, se non addirittura assurdo, relegare il destino, o il futuro di un magistrato alla “dea bendata”. Di fronte ad una Costituzione che legittima il magistrato nel prendere una decisione sul futuro di tanti cittadini, che può condannare all’ergastolo o a svariati anni di carcere, che può decidere su confische e sequestri di beni (e di errori in questo campo non sono mancati, ndr), se togliere la potestà ai genitori su un figlio sancendone l’affidamento, è ridicolo che non si abbia il discernimento per eleggere i propri membri senza accettare raccomandazioni, giochi di carriera, o episodi di corruzione, ma semplicemente scegliendo valutando nel merito i vari candidati. Le carriere di ogni magistrato testimoniano il reale valore e la reale capacità. Anche perché chi entra al Csm avrà poi il compito di valutare a sua volta, con il medesimo criterio, le candidature per dirigere i vari Uffici di Procura, valutando anche ogni singola richiesta di avanzamento di carriera. Oggi in una nota anche AreaDG è intervenuta sulle parole di Di Matteo (“C’è chi è arrivato ad equiparare il consenso elettorale a quello mafioso. Ne siamo colpiti. Da magistrati sappiamo che evocare a sproposito la criminalità organizzata significa minimizzarne la gravità”). Ma chi ha ascoltato interamente l’intervento del sostituto procuratore nazionale può rendersi conto che non c’è stata alcuna minimizzazione della criminalità organizzata, né l’evocazione è stata spropositata. Ben più gravi le parole della segretaria generale di Magistratura democratica, Mariarosaria Guglielmi. A suo dire “le dichiarazioni, ampiamente riportate dalla stampa, del dottor Di Matteo su correnti in magistratura e ‘metodi mafiosi’ rischiano di proporre di fatto all’opinione pubblica una inaccettabile equiparazione fra la scelta di appartenenza dei singoli magistrati ai gruppi associativi dell’Anm e l’affiliazione ad organizzazioni criminali mafiose”. E poi ancora: “Dichiarazioni generiche ‘ad effetto’, che nulla hanno a che vedere con la critica argomentata e con l’adoperarsi in concreto per combattere le degenerazioni correntizie sono destinate solo a produrre gravissimo sconcerto fra i cittadini e la pubblica opinione, lasciando aperti inquietanti interrogativi sul livello etico di una magistratura che si muoverebbe al suo interno con logiche mafiose”. La Gugliemi ha detto che Md è “sempre stata consapevole della necessità di vigilanza critica ed autocritica sui rischi di degenerazione verso logiche di mera appartenenza” ma dimentica la storia. Ci sono fatti che non possono essere dimenticati a prescindere dal dato che vi sono stati, e vi sono ancora oggi, magistrati validi e fortemente impegnati nella lotta contro mafia e corruzione, che aderiscono a questa corrente. Altri membri, purtroppo, non hanno mai chiesto scusa per quanto avvenne nel 1988. Quando Caponnetto lasciò l’incarico del Pool antimafia per ragioni di salute e per raggiunti limiti di età, alla sua sostituzione vennero candidati Falcone e Antonino Meli. Il 19 gennaio, dopo una discussa votazione, il Consiglio Superiore della Magistratura nominò Meli. E proprio Magistratura Democratica, con l’eccezione di Gian Carlo Caselli che votò a favore di Falcone, votò a favore di Meli. E tempo dopo, quando Falcone accettò l’incarico al ministro di Grazia e Giustizia che fu proposto da Martelli, sempre altri membri di Magistratura dissero che Falcone si era “venduto al potere politico”. Noi non dimentichiamo. Così come non possiamo scordare le parole di Paolo Borsellino dette presso la Biblioteca Comunale, dopo la strage di Capaci. “Nel gennaio del 1988 – disse quella sera di giugno – quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. (…) Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli”. Il Csm di allora, complice anche Md, ostacolò e umiliò all’inverosimile la carriera di Giovanni Falcone, così come fece ogni qualvolta bocciò la sua candidatura ad incarichi superiori. Le correnti, dunque, hanno sempre condotto scambi e trattative, partecipando a giochi di potere ed intessendo stretti legami con la stessa politica. Evidentemente è da questi fatti storici, a cui si aggiunge quanto emerge dall’inchiesta di Perugia, che Di Matteo ha tratto spunto per le sue considerazioni. Considerazioni che non sono affatto estreme. La Gugliemi dovrebbe prendere atto che già da tempo i cittadini hanno perso fiducia nella magistratura, non certo per le dure parole espresse dal dottor Di Matteo. I cittadini sono delusi dalle invidie, dalle gelosie, dall’assenza di verità e giustizia, e dalle logiche di opportunismo che la magistratura (fortunatamente non tutta) spesso conduce e manifesta. Ben vengano candidati, da qualsiasi parte, che, con la forza delle idee, mostrano la volontà di riformare un organo che negli ultimi anni ha vestito i panni di un Sinedrio e che in passato, isolando e delegittimando magistrati come Falcone e Borsellino, ha di fatto condannato a morte i propri martiri della giustizia. Siano considerati quegli allarmi e quegli appelli per una riforma profonda del Csm da parte di tanti magistrati e consiglieri togati come Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita. Infine abbiamo letto le dichiarazioni del deputato di Forza Italia, Zanettin. Addirittura ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per “valutare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio di iniziative di carattere disciplinare nei confronti del dott. Di Matteo”. Nell’interrogazione “svela” anche il “diktat” politico nel momento in cui afferma di reputare “la mafia un fenomeno del nostro paese troppo serio e troppo tragico, che non dovrebbe essere evocato a sproposito, soprattutto a fini elettorali”. Forse è per questo che il tema mafia scompare sempre ad ogni campagna elettorale? Probabilmente non ci si poteva aspettare altro da un politico che evidentemente non prova vergogna ad essere membro di quel partito che è stato fondato da un condannato a sette anni in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa (Marcello Dell’Utri) e che ha come leader un soggetto come Silvio Berlusconi che, lo dicono le sentenze, versava nelle casse di Cosa nostra ingenti somme di denaro. Questione di gusti. Ma forse Zanettin interviene anche da ex membro laico del Csm. Più volte in questo giornale abbiamo ricordato gli errori e gli orrori del Consiglio superiore della magistratura. E in diverse occasioni abbiamo espresso la nostra idea di riforma del Csm, fin qui nefasto ed obsoleto. Una riforma costituzionale che preveda l’abolizione dei membri laici provenienti dal parlamento e designi i togati con una valutazione meritocratica, anziché seguendo le logiche delle correnti. Correnti che a loro volta andrebbero abolite in quanto rinsaldano il legame tra politica e magistrato. Se non si avrà il coraggio di effettuare un cambiamento simile ad essere a rischio non sarà solo l’autonomia e l’indipendenza ma anche la libertà dei cittadini. Nella consapevolezza che solo una magistratura sganciata dalla politica potrà essere veramente vigile e terza rispetto ad un potere che mira solo ai propri interessi e che non vuole verità e giustizia.
17 Settembre 2019