di Jacopo Rosatelli
«Se riusciamo a integrare in fretta i profughi nel mondo del lavoro, risolviamo uno dei maggiori problemi per il futuro economico del nostro paese: la mancanza di personale qualificato». Nelle parole del vicecancelliere e ministro dell’Industria Sigmar Gabriel, pronunciate ieri di fronte al Bundestag, c’è l’importante risvolto economico dell’accoglienza dei richiedenti asilo: i migranti possono fornire alla Germania quei circa 6 milioni di lavoratori che mancheranno entro il 2030. La popolazione invecchia, il tasso di natalità è basso, e senza il contributo della persone che arrivano “da fuori”, «è in pericolo non solo il sistema delle imprese, ma anche il benessere generale della società», sostiene il leader del partito socialdemocratico.
A preoccupare sono, in particolare, le proiezioni sulla parte orientale del Paese: tra quindici anni nei Länder della ex Repubblica democratica tedesca un terzo degli abitanti sarà oltre i 64 anni, contro l’attuale 24%. Nel 2060 la popolazione complessiva dell’Est si sarà ridotta di un quarto rispetto ad oggi: da 12,5 a 8,7 milioni. All’Ovest le variazioni sono inferiori, ma il trend è lo stesso: più anziani in una popolazione che nel suo insieme decresce. Risultato: se oggi il 66% dei tedeschi è in età da lavoro, tra vent’anni lo sarà soltanto il 58%. L’istituto dell’economia tedesca (Institut der deutschen Wirtschaft), centro di ricerche di area confindustriale con sede a Colonia, calcola che già nel prossimo decennio potrebbero mancare al sistema produttivo fino a 390mila ingegneri.
Il ministro dell’Industria Gabriel prende sul serio questi rischi e si erge a paladino del matrimonio d’interessi fra richiedenti asilo e datori di lavoro. Quella del leader Spd è una posizione pragmatica, di buon senso, che contribuisce a favorire il clima di accoglienza. Concentrandosi sull’«utilità» dei profughi per l’economia tedesca, però, Gabriel perde di vista un elemento fondamentale: i siriani che in questi giorni arrivano nel suo paese sono persone che fuggono da una guerra. E la Germania è fra i maggiori esportatori mondiali di armi: nella prima metà di quest’anno il volume d’affari è di circa 6,5 miliardi. Lo ha ricordato, ieri nell’aula del Bundestag, Roland Claus della Linke, che ha sottolineato come l’export di armi sia autorizzato dal ministero che guida lo stesso Gabriel: «C’è un modo per contrastare davvero le cause delle fughe di massa, e cioè negare quelle autorizzazioni».
Anche la capogruppo in pectore della Linke, Sahra Wagenknecht, allarga lo sguardo: «Perché nessuno dice il motivo che costringe le persone a lasciare la propria terra? In Medioriente non c’è alcuna catastrofe naturale: all’origine dell’esodo c’è una politica di guerra e destabilizzazione di cui sono responsabili la Germania, l’Europa e soprattutto gli Stati Uniti». Le risorse per l’emergenza andrebbero dunque chieste anche a Washington: «Mi piacerebbe che il governo tedesco avesse il coraggio di farlo», afferma Wagenknecht. Assai improbabile che Angela Merkel ascolti il consiglio dell’esponente dell’opposizione. Piuttosto la cancelliera, che ieri ha visitato un centro di accoglienza a Berlino e si è concessa anche per qualche selfie, continua nella sua «operazione-ottimismo» all’insegna dello slogan «la Germania ce la farà». Incurante delle grida d’allarme che si levano da più parti: i 6 miliardi messi a disposizione dal governo federale sono troppo pochi.
11.09.2015