di Antonio Gramsci *
La lotta di classe internazionale è culminata nella vittoria degli operai e contadini di due proletariati internazionali. In Russia e in Ungheria gli operai e i contadini hanno instaurato la dittatura proletaria e tanto in Russia che in Ungheria la dittatura dovette sostenere un’aspra battaglia non solo contro la classe borghese, ma anche contro i sindacati: il conflitto tra la dittatura e i sindacati fu anzi una delle cause della caduta del Soviet ungherese, poiché i sindacati, se mai apertamente tentarono di rovesciare la dittatura, operarono sempre come organismi “disfattisti” della rivoluzione e incessantemente seminarono lo sconforto e la vigliaccheria tra gli operai e i soldati rossi.
Un esame anche rapido, delle ragioni e delle condizioni di questo conflitto non può non essere utile all’educazione rivoluzionaria delle masse, le quali, se devono convincersi che il sindacato è forse l’organismo proletario più importante della rivoluzione comunista, perché su di esso deve fondarsi la socializzazione dell’industria, perché esso deve creare le condizioni in cui l’impresa privata sparisce e non può più rinascere, devono anche convincersi della necessità di creare, prima della rivoluzione, le condizioni psicologiche e obiettive nelle quali sia impossibile ogni conflitto e ogni dualismo di potere tra i vari organismi in cui si incarni la lotta della classe proletaria contro il capitalismo.
La lotta di classe ha assunto in tutti i paesi d’Europa e del mondo un carattere nettamente rivoluzionario. La concezione, che è propria della III Internazionale, secondo la quale la lotta di classe deve essere rivolta all’instaurazione della dittatura proletaria, ha il sopravvento sulla ideologia democratica e si diffonde irresistibilmente nelle masse. I Partiti socialisti aderiscono alla III Internazionale o almeno si atteggiano secondo i principi fondamentali elaborati al Congresso di Mosca; i sindacati invece sono rimasti fedeli alla “vera democrazia” e non trascurano nessuna occasione per indurre o costringere gli operai a dichiararsi avversari della dittatura e non attuare manifestazioni di solidarietà con la Russia dei Soviet.
Questo atteggiamento dei sindacati fu rapidamente superato in Russia, poiché allo sviluppo delle organizzazioni di mestiere e d’industria si accompagnò parallelamente e con ritmo più accelerato lo sviluppo dei Consigli d’officina; esso ha invece eroso la base del potere proletario in Ungheria, ha determinato in Germania immani carneficine di operai comunisti e la nascita del fenomeno Noske, ha determinato in Francia il fallimento dello sciopero generale del 20-21 luglio e il consolidarsi del regime di Clemenceau, ha impedito finora ogni intervento diretto degli operai inglesi nella lotta politica e minaccia di scindere profondamente e pericolosamente le forze proletarie in tutti i paesi.
I Partiti Socialisti acquistano sempre più un profilo nettamente rivoluzionario e internazionalista; i sindacati invece tendono a incarnare la teoria (!) e la tattica dell’opportunismo riformista e a diventare organismi meramente nazionali. Ne nasce uno stato di cose insostenibile, una condizione di confusione permanente e di debolezza cronica per la classe lavoratrice, che aumentano lo squilibrio generale della società e favoriscono il pullulare dei fermenti di disgregazione morale e di imbarbarimento.
I sindacati hanno organizzato gli operai secondo i principi della lotta di classe e sono stati essi stessi le prime forme organiche di questa lotta. Gli organizzatori hanno sempre detto che solo la lotta di classe può condurre il proletariato alla sua emancipazione e che l’organizzazione sindacale ha precisamente il fine di sopprimere il profitto individuale e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, poiché essa si propone di eliminare il capitalista (il proprietario privato) dal processo industriale di produzione e di eliminare quindi le classi.
Ma i sindacati non potevano attuare immediatamente questo fine e pertanto essi rivolsero tutta la loro forza al fine immediato di migliorare le condizioni di vita del proletariato, domandando più alti salari, diminuiti orari di lavoro, un corpo di legislazione sociale. I movimenti successero ai movimenti, gli scioperi agli scioperi, la condizione di vita dei lavoratori divenne relativamente migliore. Ma tutti i risultati, tutte le vittorie dell’azione sindacale si fondano sulle basi antiche: il principio della proprietà privata resta intatto e forte, l’ordine della produzione capitalistica e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo restano intatti e anzi si complicano in forme nuove. La giornata di otto ore, l’aumento del salario, i benefici della legislazione sociale non toccano il profitto; gli squilibri che immediatamente l’azione sindacale determina nel saggio del profitto si compongono e trovano una sistemazione nuova nel gioco della libera concorrenza per le nazioni a economia mondiale come l’Inghilterra e la Germania, nel protezionismo per le nazioni a economia limitata come la Francia e l’Italia.
Il capitalismo cioè riversa o sulle masse amorfe nazionali o sulle masse coloniali le accresciute spese generali della produzione industriale. L’azione sindacale si rivela così assolutamente incapace a superare nel suo dominio e con i suoi mezzi, la società capitalista, si rivela incapace a condurre il proletariato alla sua emancipazione, a condurre il proletariato all’attuazione del fine alto e universale che si era inizialmente proposto. Secondo le dottrine sindacaliste, i sindacati avrebbero dovuto servire a educare gli operai alla gestione della produzione. Poiché i sindacati di industria, si disse, sono un riflesso integrale di una determinata industria, essi diventeranno i quadri della competenza operaia per la gestione di quella determinata industria; le cariche sindacali serviranno a rendere possibile una scelta degli operai migliori, dei più studiosi, dei più intelligenti, dei più atti a impadronirsi del complesso meccanismo della produzione e degli scambi. I leaders operai dell’industria del cuoio saranno i più capaci a gestire questa industria, e così per l’industria metallurgica, per l’industria del libro, ecc. Illusione colossale.
La scelta dei leaders sindacali non avvenne mai per criteri di competenza industriale, ma di competenza meramente giuridica, burocratica o demagogica. E quanto più le organizzazioni andarono ingrandendosi, quanto più frequente fu il loro intervento nella lotta di classe, quanto più diffusa e profonda la loro azione, e tanto più divenne necessario ridurre l’ufficio dirigente a ufficio puramente amministrativo e contabile, tanto più la capacità tecnica industriale divenne un non valore ed ebbe il sopravvento la capacità burocratica e commerciale. Si venne così costituendo una vera e propria casta di funzionari e giornalisti sindacali, con una psicologia di corpo assolutamente in contrasto con la psicologia degli operai, la quale ha finito con l’assumere in confronto alla massa operaia la stessa posizione della burocrazia governativa in confronto dello Stato parlamentare: è la burocrazia che regna e governa. La dittatura proletaria vuole sopprimere l’ordine della produzione capitalistica, vuole sopprimere la proprietà privata, perché solo così può essere soppresso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
La dittatura proletaria vuole sopprimere la differenza delle classi, vuole sopprimere la lotta delle classi, perché solo così può essere completa l’emancipazione sociale della classe lavoratrice. Per ottenere questo fine il Partito comunista educa il proletariato a organizzare la sua potenza di classe, a servirsi di questa potenza armata per dominare la classe borghese e determinare le condizioni in cui la classe sfruttatrice sia soppressa e non possa rinascere.
Il compito del Partito comunista nella dittatura è dunque questo: organizzare potentemente e definitivamente la classe degli operai e contadini in classe dominante, controllare che tutti gli organismi del nuovo Stato svolgano realmente opera rivoluzionaria, e rompere i diritti e i rapporti antichi inerenti al principio della proprietà privata. Ma quest’azione distruttiva e di controllo deve essere immediatamente accompagnata da un’opera positiva di creazione di produzione. Se quest’opera non riesce, è vana la forza politica, la dittatura non può reggersi: nessuna società può reggersi senza la produzione, e tanto meno la dittatura che, attuandosi nelle condizioni di sfacelo economico prodotto da cinque anni di guerra esasperata e da mesi e mesi di terrorismo armato borghese, ha bisogno anzi di una intensa produzione.
Ed ecco il vasto e magnifico compito che dovrebbe aprirsi all’attività dei sindacati d’industria. Essi appunto dovranno attuare la socializzazione, essi dovranno iniziare un ordine nuovo di produzione, in cui l’impresa sia basata non sulla volontà di lucro del proprietario, ma sull’interesse solidale della comunità sociale che per ogni branca industriale esce dall’indistinto generico e si concreta nel sindacato operaio corrispondente. Nel Soviet ungherese i sindacati si sono astenuti da ogni lavoro creatore. Politicamente i funzionari sindacali suscitarono continui ostacoli alla dittatura, costituendo uno Stato nello Stato, economicamente rimasero inerti: più di una volta le fabbriche dovettero essere socializzate contro la volontà dei sindacati.
Ma i leaders delle organizzazioni ungheresi erano limitati spiritualmente, avevano una psicologia burocratico-riformista, e temevano continuamente di perdere il potere che avevano fino ad allora esercitato sugli operai. Poiché la funzione per cui il sindacato si era sviluppato fino alla dittatura era inerente al predominio della classe borghese, e poiché i funzionari non avevano una capacità tecnica industriale, essi sostenevano l’immaturità della classe proletaria alla gestione diretta della produzione, essi sostenevano la “vera” democrazia, cioè la conservazione della borghesia nelle sue posizioni principali di classe proletaria, essi volevano perpetuare ed esasperare l’era dei concordati, dei contratti di lavoro, della legislazione sociale, per essere in grado di far valere la loro competenza.
Essi volevano che si attendesse la… rivoluzione internazionale, non potendo comprendere che la rivoluzione internazionale si manifestava appunto in Ungheria con la rivoluzione ungherese, in Russia con la rivoluzione russa, in tutta l’Europa con gli scioperi generali, con i pronunciamenti militari, con le condizioni di vita rese impossibili alla classe lavoratrice dalle conseguenze della guerra.
* “L’Ordine Nuovo”, 25 ottobre 1919