di Giorgio Bongiovanni
Il 3 settembre 1982, in via Isidoro Carini, alle 21.15 di sera 30 proiettili trafissero il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro trucidando i loro corpi, mentre poco più indietro l’agente di scorta Domenico Russo giaceva esangue nella sua Alfetta colpito a morte dai micidiali colpi di un kalashnikov AK-47. Fu un vero e proprio massacro. Un agguato messo a punto dagli spietati killer di Cosa Nostra: Antonio Madonia, Calogero Ganci, Giuseppe Greco, detto “Scarpuzzedda” e Giuseppe Lucchese per ordine di Salvatore Riina e di tutta la cupola.
Un omicidio terribile che scosse duramente tutta quella Palermo che nel generale aveva riposto la speranza di una vera lotta alla mafia. E che invece giovò a tutti quei poteri politici che all’epoca si appoggiavano e trattavano con la mafia.
Sia gli uomini onesti che la mafia sapevano che il generale dalla Chiesa, con i poteri promessogli dal ministro Rognoni, avrebbe senza dubbio sconfitto Cosa Nostra.
Con l’esercito di militari che avrebbe avuto a disposizione a suon di intrusioni, perquisizioni, sequestri, arresti preventivi e quant’altro avrebbe scovato e messo in carcere latitanti e boss mafiosi indebolendo pesantemente i legami esistenti tra Cosa Nostra, lo Stato e gli altri poteri occulti.
Avrebbe scoperchiato quelle sette massoniche ancora oggi presenti in Sicilia e sicuramente avrebbe ripulito il marcio che si annida all’interno delle forze dell’ordine e dei servizi segreti. E molto probabilmente si sarebbero evitate le stragi del ’92 e del ’93.
Ma quanti veramente volevano la sconfitta della mafia? Quanti invece hanno gioito e brindato sulla bara del generale?
Basti pensare che in quel periodo in Italia la mafia aveva il monopolio mondiale del traffico dell’eroina ed era una superpotenza economica e militare che fruttava migliaia di miliardi di vecchie lire, garantendo quindi un certo giro di soldi che permetteva a banche e imprenditori di tutta Italia di investire enormi quantità di denaro.
Inoltre in piena guerra fredda una potenza militare e sociale come Cosa Nostra da utilizzare in funzione anticomunista poteva senza dubbio tornare utile sia al governo Italiano che alle forze del patto atlantico.
Ecco dunque perché il generale dalla Chiesa, padre della patria, che già aveva dimostrato le sue grandi capacità nella lotta contro il terrorismo rosso, andava eliminato prima che ricevesse i poteri speciali promessigli con i quali avrebbe messo a rischio interessi di mafiosi, banche, politici, imprenditori, servizi segreti italiani e americani.
Ad oggi ancora non conosciamo i nomi dei mandanti esterni dell’omicidio dalla Chiesa ma per certo sappiamo che qualcuno chiese a Cosa Nostra di far fuori Carlo Alberto dalla Chiesa.
Durante un’intercettazione telefonica delle forze dell’ordine a casa del dottor Giuseppe Guttadauro, capo mandamento del quartiere Brancaccio, in sostituzione dei fratelli Graviano in carcere, si sente il boss parlare con un politico ospite a casa sua dell’omicidio del generale dalla Chiesa:
“Salvatore…ma tu partici dall’ottantadue, invece… ma chi cazzo se ne fotteva di ammazzare a Dalla Chiesa… andiamo parliamo chiaro…”. “E che perché glielo dovevamo fare qua questo favore…”.
Chi aveva chiesto quindi questo favore a Cosa Nostra? Nando dalla Chiesa, il figlio del generale, già nel 1984 con il libro “Delitto imperfetto” accusava, senza prove fisiche ma con i primi indizi e deduzioni, la corrente andreottiana della democristiana di essere stata tra i mandanti dell’assassinio di suo padre.
Il generale Dalla Chiesa, nel suo diario personale, aveva comunque già raccontato di un colloquio che ebbe con l’onorevole Andreotti il 5 aprile 1982, poco tempo prima di insediarsi come prefetto di Palermo, al quale disse chiaramente che non avrebbe guardato in faccia nessuno e che avrebbe perseguito chiunque fosse stato legato a Cosa Nostra, anche se democristiano.
A lui fu negata la possibilità di svolgere il suo lavoro ma nei 30 anni che seguirono la sua uccisione quelle parole si dimostrarono profetiche: Andreotti è ritenuto responsabile di associazione esterna con Cosa Nostra fino agli anni 80, benché prescritto, Lima fu ucciso dai corleonesi per non aver rispettato i patti mafiosi, Vito Ciancimino, sindaco di Palermo e uomo della corrente andreottiana fu anch’esso condannato per associazione mafiosa e corruzione e molti altri protagonisti di quel tempo hanno concluso la propria carriera nelle patrie galere. L’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa ha soddisfatto plurimi interessi, non vi è dubbio, a nostro avviso che sia stato voluto e richiesto da poteri in forza in quegli anni, palesi e occulti, un assassinio di cui i soliti servizi segreti deviati cercarono di depistare e insabbiare le indagini come avvenne poi successivamente in tutte le stragi di Stato che hanno insanguinato il nostro paese.
La stessa notte della strage di via Carini qualcuno si introdusse nella stanza da letto del Generale, nella sua abitazione privata di villa Pajno a Palermo, aprì la cassaforte e prese tutto il materiale riservato del generale. Materiale non più ritrovato.
Persino Totò Riina il 29 agosto dello scorso anno, mentre passeggiava con il compagno di ora d’aria Alberto Lorusso nel carcere di Opera, raccontò questo fatto indicando come responsabili del furto ambienti esterni a Cosa Nostra: “Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti – si sente dire, nelle intercettazioni, il boss corleonese – Minchia il figlio faceva … il folle. Perché dice c’erano cose scritte”. “Loro – continua Riina – quando fu di questo … di Dalla Chiesa … gliel’hanno fatta, minchia, gliel’hanno aperta, gliel’hanno aperta la cassaforte … tutte cose gli hanno preso”.
Quindi chi se non la sempre presente manina nera dei servizi deviati può aver fatto l’abituale lavoro sporco e pulito allo stesso tempo?
L’anno scorso, dopo più di 30 anni, è stata ritrovata nei sotterranei del tribunale di Palermo la sua famosa valigia di pelle dalla quale non si staccava mai, ma all’interno della quale non si è trovato nulla, nessun documento: era stata precedentemente svuotata. Come da copione in questi casi. Chi l’ha trafugata? E dove sono tutti i documenti del generale?
È presto dimostrato quindi che i servizi segreti deviati sono intervenuti ed hanno fatto sparire documenti e materiale importante sul quale stava lavorando il Generale, così come fecero anche con l’agenda rossa del giudice Borsellino.
L’unico modo di onorare questi uomini e per poter allo stesso tempo guardare serenamente negli occhi i propri figli è quello di impegnarsi quotidianamente, su più fronti, affinché questa terra sia liberata dalla mafia e dalla corruzione. Il generale dalla Chiesa, il suo sacrificio, il suo profondo senso di Stato, la sua ingiusta morte e il suo insegnamento, insieme a quelli di Falcone e Borsellino e di tutte le vittime di mafia, siano sempre il punto di riferimento che indicano la direzione da seguire.
“Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli.”
Carlo Alberto dalla Chiesa
– 3 settembre 2014