Cinque anni dopo l’uccisione di Gheddafi da parte delle milizie di Misurata, si assiste al dissolvimento del Governo di Unità Nazionale inventato dall’Onu e sostenuto in particolare da Stati Uniti e Italia. Altre forze in casa occidentale sostengono la componente separatista della Cirenaica. La mappa dei disaccordi tracciata da uno che in quelle terre c’è stato occupandosi dei fatti altrui
di Aldo Madia
Libia, a cinque anni dall’uccisione di Gheddafi da parte delle milizie di Misurata, si assiste al dissolvimento del Governo di Unità Nazionale annunciato in Marocco nel dicembre 2015.
Ogni anno circa 150 mila migranti lasciano il Paese rischiando la vita attraversando il mar Mediterraneo.
La produzione del petrolio, principale fonte di reddito, è diminuita di 1/5 rispetto al 2011.
Oltre 800 mila persone hanno bisogno di aiuti internazionali e gli sfollati sono oltre 400 mila.
Pochi abitanti, solo 5 milioni, molte risorse potenziali pronte ad essere raccolte e vendute, troppi centri di potere il lotta per gestire gas e petrolio e spartirsene le ricchezze.
Partiamo da Tripoli, capitale della Libia e sede del Consiglio Presidenziale del Governo di Accordo Nazionale, organo formato da nove membri e sostenuto dall’ONU che ha imposto come premier Fayez al-Sarraj, già ministro al tempo di Gheddafi, poi fuggito in America dove ha lavorato come consigliere dell’addetto alla questione libica.
Sarraj è considerato irrilevante e ininfluente dalla popolazione perché imposto dall’estero con un’agenda dedicata solo al contenimento della migrazione e allo sfruttamento delle risorse energetiche. In realtà a Tripoli il potere è diviso fra oltre 50 milizie e ogni quartiere ha il suo centro di controllo.
Nei sette mesi di comando, Sarraj ha compiuto molti viaggi all’estero ma mai nell’Est del Paese, dove è attiva la Camera di rappresentanza (HoR) di Tobruk che non riconosce l’autorità del premier di Tripoli.
Gli islamisti. Il 21 ottobre, Khalifa al-Ghawil, già premier del precedente Governo di salvezza Nazionale di matrice islamica, prende il controllo dell’Hotel Rixos, sede del Consiglio Presidenziale e dichiara lo stato d’emergenza, dichiarando la caduta di Sarraj.
Il tentativo di colpo di Stato fallisce subito e al-Ghawill, insieme ai pochi militari complici, è agli arresti nello stesso Hotel.
Nella capitale vi sono frequenti sequestri di persone, black out, mancanza di acqua e di contate nelle casse delle banche.
A Misurata le milizie si dividono il potere e sono leali al Consiglio Presidenziale.
Anche se la situazione è più sicura rispetto alla capitale, 5 anni di scontri ne hanno mutato lo scenario: la maggior parte degli uffici distrutti durante la guerra contro Gheddafi sono ancora in macerie e gli ospedali faticano ad accogliere i feriti che arrivano da Sirte.
Ed ecco la ragione sostanziale dell’ospedale militare da capo italiano.
Sirte, città natale di Gheddafi, è stata sottratta da Daesh alle milizie di Misurata all’inizio del 2015. Da allora, i combattenti del Califfato hanno esteso l’influenza fino a controllare Abu Grein, a meno di un’ora da Misurata.
A fine maggio 2016, le milizie di Misurata iniziano l’assedio a Sirte riprendendone il controllo dopo 3 settimane. Ma Daesh resiste ancora nella città, nonostante Misurata possa contare sull’appoggio aereo statunitense.
Tobruk e al-Baida, nella Libia orientale, vicino al confine con l’Egitto, costituiscono le sedi dell’HoR dal 2014 fino a quando i deputati sono costretti all’esilio dopo essere stati espulsi dalla guerriglia islamista di Farj Libia (Alba Libica).
Oggi l’uomo forte di Tobruk è Khalifa Haftar, già colonnello di Gheddafi, rifugiato negli USA e vicino alla CIA per oltre 20 anni e rientrato in Libia durante la guerra del 2011.
Autoproclamatosi generale e capo dell’Esercito di Liberazione Nazionale, sostenuto da Egitto, Francia ed Emirati Arabi Uniti, a settembre 2016 riesce a strappare dalle mani di Tripoli 4 dei principali porti petroliferi del Paese.
Benghasi, dove è iniziata la rivoluzione libica orchestrata da Francia, Gran Bretagna e USA, è da cinque anni vittima della lotta fra le truppe di Haftar e i gruppi jihadisti.
A fine settembre 2016, Amnesty International chiede di formare un corridoio umanitario per salvare le centinaia di civili intrappolati nel quartiere di Ganfada, ma le bombe continuano a cadere su di loro che lottano per sopravvivere con cibo marcio e acqua sporca.
Parigi. La cifra del disastro libico è evidenziato dalla conferenza nazionale dell’inizio ottobre sul futuro della Libia organizzata a Parigi dal governo francese. Non sono stati invitati né i membri del GNA, né i rappresentanti dei Paesi del Maghreb e della Lega Araba.
All’incontro hanno partecipato l’inviato ONU Martin Kobler e i rappresentanti di Francia, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti, Unione Europea, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Turchia.
Le critiche di Sarraj, che ha considerato la riunione come una apertura non solo francese verso Tobruk, e ricomincia la giostra dei tutori o pretendenti al ruolo che sostengono il pezzo di Libia preferito o di suo maggior vantaggio.
25 ottobre 2016