Un ciclo si è concluso: una lunga fase storica, durata oltre trent’anni e accompagnata dalla narrazione borghese dell’illimitato e pacificato progresso dell’umanità, sta vivendo il suo drammatico e contraddittorio epilogo, permettendo oggi a noi comunisti di differenti generazioni di disvelare il volto di una classe dominante che ha prodotto una enorme rapina, sia sul piano economico che sul piano delle coscienze.
La fine della guerra fredda, segnata dalla sconfitta dell’esperienza novecentesca del movimento comunista in Europa, avrebbe dovuto rappresentare, secondo la martellante manipolazione ideologica da parte del capitale transnazionale a guida USA uscitone vincitore, la fine della storia e, rimosso l’inciampo storico di un sistema politico, economico e sociale definito “innaturale”, l’avvio delle magnifiche sorti e progressive per una umanità riappacificata.
Ma il promesso tempo della pace e della fine della contrapposizione ideologica è stato in realtà tempo di guerre, sia sul terreno militare che su quello sociale ed economico. Il sacco neo-liberista è avvenuto e sta avvenendo alla luce del sole. Il decorso del dopoguerra (fredda) ci ha consegnato una drammatica realtà sociale a livello globale, una accentuazione della disparità economica tra le classi ed una fase di netto regresso nel processo di emancipazione umana, che ha già oltrepassato i confini della barbarie.
Il lavoro, da strumento di emancipazione individuale e collettiva, si è trasformato, anche nel migliore dei casi (considerando i livelli di disoccupazione e le forme di super sfruttamento), in un mero mezzo per il mantenimento di un effimero e spesso virtuale status sociale omologato e omologante compatibile con il sistema. Si è così prodotta una spirale che, a partire da un’involuzione delle condizioni materiali di lavoro, ha generato, sul piano ideologico, una svalutazione profonda del lavoro stesso. L’alienazione e il lavoro che “costruisce” cose “inutili” svalutano l’intellettualità e dunque la vita di ciascuno.
La stragrande maggioranza della popolazione è stata sospinta nell’orizzonte esclusivo della semplice autoriproduzione di forza-lavoro, cui è permesso il soddisfacimento di bisogni istintuali basati sul consumismo e l’accesso a servizi privatizzati sempre più cari e di bassa qualità: tutto tranne la possibilità di contribuire allo sviluppo della società, meno che mai al momento decisionale su cosa produrre come e perché. L’alienazione, unita allo sfruttamento, è il dato onnipresente in tutti gli aspetti della vita sociale e individuale.
Le società occidentali, incluso quella italiana, hanno aderito alla deriva neoliberista e al complesso valoriale che si è progressivamente imposto: si è nei fatti compiuta, pur con le inevitabili contraddizioni, una lenta e costante rivoluzione passiva. Una mistica capitalista si è affermata e nel tempo è riuscita a permeare lo stesso mondo del lavoro e a costruire il consenso tra le nuove generazioni, determinando fenomeni estesi di passivizzazione di massa e di disgregazione della solidarietà sociale.
Le società del capitalismo maturo occidentale sono diventate società imperialiste ovvero società alleate e complici dell’imperialismo; ciascuno è pronto a difendere la propria apparente condizione resa possibile solo grazie al sostegno pieno o passivo ai gruppi di potere. Il tutto anche pagando il più alto dei prezzi: il proprio futuro.
Questo è il conto salato che le classi dominanti italiane ed europee chiedono a ciascun individuo: la rinuncia alla lotta di classe e l’adesione ad uno status che si regge sempre più palesemente sull’invidia sociale e sulla prevaricazione del primo vicino, dinamiche queste che si scaricano all’interno della classe lavoratrice (la cosiddetta “guerra fra poveri”).
In questo ambito storicamente determinato il lavoratore è costretto a scegliere la via del compromesso al ribasso e con essa la miopia rispetto alla sua reale condizione incomparabilmente distante da quei modelli di benessere che erano stati prospettati fin dagli anni ’80.
Intere generazioni di giovani e giovanissimi, private di alternative ad un futuro incerto e precario, sono forgiate in funzione delle necessità del sistema produttivo e del ciclo del consumo. Il fulcro della formazione della società e della collettività, ovvero la scuola, ha cambiato pelle: la diversificazione dei saperi risponde non tanto all’aumento di complessità della società, quanto alla frammentazione e settorializzazione richiesta dal mercato del lavoro. La cultura, quando non in pillole, è addirittura un intralcio. Si nega così nei fatti quel sapere critico che, insieme alla lotta di classe, è stato motore dell’umanità e con esso un futuro ai giovani e dunque all’intera società!
La società dello spettacolo ha organizzato, soprattutto con l’ausilio delle nuove tecnologie mediatiche, non solo il consenso ma anche il dissenso, attraverso un’eterodirezione alienante dei comportamenti singoli e collettivi, tanto da affiancare al controllo dei mezzi di produzione materiale e intellettuale il controllo delle emozioni.
La classe degli sfruttati, che aveva conosciuto in un lungo arco di tempo, per buona parte della seconda metà del XX secolo, conquiste sul terreno della propria condizione sociale ed economica, lungi dallo scomparire, ha però perduto la propria coscienza e conseguentemente il proprio ruolo storico e politico assumendo quello imposto dal nuovo ordine neocapitalista e neoborghese, incentrato sulla figura del consumatore desiderante globalizzato come nuovo soggetto sociale e politico, che ha messo fuori gioco ogni lettura differente della storia e della realtà e, contemporaneamente, ha dato agibilità politica a chi ha aderito, pur con sfumature diverse, alla lettura capitalista post-moderna. Un mondo in cui le classi esistono strutturalmente ma in cui una di esse, quella che non detiene i mezzi di produzione non ha coscienza per sé!
Il ciclo apertosi, simbolicamente con la caduta del muro di Berlino, ha dunque costruito una società senza giustizia sociale, più povera e in guerra permanente.
Ma quel ciclo oggi si è concluso.
Non c’è più spazio per ambiguità politiche, per letture fantasiose quando addirittura non complici della mistificazione!
Come compagne e compagni provenienti da esperienze varie e di generazioni diverse, ma accomunati da una cultura politica omogenea e da un obiettivo condiviso, vogliamo rilanciare la questione comunista e rimettere in campo la prospettiva di una trasformazione sociale e politica della società adeguata ai tempi e alla nuova composizione di classe, nell’alveo della tradizione del socialismo scientifico e nel lascito migliore dell’esperienza storica del PCI.
Riadoperarsi per il superamento del sistema di produzione capitalistico è diventata una necessità reale, attualissima, vitale per la stessa sopravvivenza del pianeta.
La crisi in cui versa il capitalismo da decenni, che appare strutturale e sistemica, accresce tale consapevolezza. Le modalità messe in atto dai suoi vertici transnazionali per una fuoriuscita atta a garantirne autoconservazione e riproduzione a tempo indeterminato, scandiscono ormai, in modo incontrastato, i nostri tempi di vita.
Siamo in presenza di una strategia dalla grande organicità, che connette senza soluzione di continuità questione sociale, ruolo della tecnocrazia dell’UE e neo imperialismo targato Nato in un combinato dagli effetti devastanti che include in un unico disegno:
a) massacro dello stato sociale, precarizzazione istituzionalizzata e disarticolazione del lavoro, cassazione del diritto ai diritti (involuzione dai diritti ai privilegi), pianificazione della contrapposizione tra lavoratori per la sussistenza, perseguita con accurata pianificazione;
b) svilimento delle Costituzioni e delle istituzioni rappresentative dei singoli stati nazionali attraverso la moneta unica e i trattati europei;
c) sistematicità scientifica del ricorso alla guerra imperialista per riposizionamenti geostrategici (dall’est postsovietico alla fascia meridionale araba), per il controllo degli approvvigionamenti energetici e la massimizzazione dei profitti; polverizzazione e umiliazione di quelle identità regionali non sotto diretto controllo, con conseguente migrazioni di massa (utilizzate per di più come destabilizzante sociale ed esercito di riserva per le economie occidentali) e proselitismo al terrorismo fondamentalista islamico (fenomeno prevedibile tra le fila di popoli massacrati e oppressi e privati ormai del riferimento storico-politico di una prospettiva socialista in grado di incanalare astio e risentimento in un progetto di emancipazione rivoluzionaria).
Una vendetta integralista di classe perpetrata dal gotha capitalista a guida USA per imporre una sovranità illimitata, politica e culturale, sull’umanità e sulla natura, che esclude ogni compromesso riformista, oggi inutile quanto inaccettabile visto lo stravolgimento dei rapporti di forza!
Il ruolo dell’Italia in questo contesto è stato e resta rilevante: nel paese occidentale più avanzato nel campo politico-rivendicativo di classe, fatto di conquiste e diritti nel mondo del lavoro, l’intervento è stato fortemente destrutturante: una sequela di “riforme” ha smontato pezzo dopo pezzo tutte quelle conquiste, costruite nelle lotte e su una coscienza sociale diffusa.
L’apice (al momento) è stato raggiunto con l’operazione Renzi, segretario del PD, che nella toponomastica politichese attuale è collocato a sinistra: ottenere, con modi circuenti legati al“buon senso” del fare, l’avallo e la complicità dei lavoratori ad una politica di stampo classicamente liberista, determinata, decisionista e culturalmente solida nell’elogio del capitalismo senza lacciuoli, sindacali o istituzionali che siano, quale unico volano possibile per i rapporti socio-economici. Un capolavoro. E tale portato culturale-ideologico si sta consolidando e sposta il gradino per la risalita sempre più in basso.
Si fa perciò pressante la necessità di una ampia sinistra di classe, della ricostruzione di un nuovo blocco sociale, in cui la presenza dei comunisti e di un loro nuovo Partito ne è condizione irrinunciabile di base, preparando la strada per una nuova stagione delle alleanze anche sul terreno non certo marginale delle elezioni politiche ed amministrative.
La battaglia referendaria in difesa e per il rilancio della democrazia progressiva e dell’impianto sociale della Costituzione antifascista, sotto attacco da parte dei Trattati europei, imposti dal capitale finanziario sovranazionale dell’UE, con il recupero di quote di sovranità nazionale, come primo passo, per la costruzione di un nuovo internazionalismo del lavoro e la ricostruzione di un fronte per la pace e per il disarmo in un’ottica antimperialista sono le sfide unitarie che lanciamo e su cui misurare da subito la possibilità di un’alternativa all’esistente.
Il nuovo Partito Comunista Italiano nasce oggi, ma è solo l’avvio di un impegno che dovrà svilupparsi necessariamente nel tempo, attraverso una accurata lettura delle trasformazioni sociali avvenute e che continuamente si manifestano, dei mutamenti nella composizione di classe, dell’egemonia culturale esercitata dal capitale e dei rapporti di forza che attualmente determina. Un processo, avviato da compagne e compagni che con decisione hanno condiviso un nuovo impulso all’impegno politico finalizzato a rigenerare l’opzione comunista, che apriamo al contributo e all’apporto tematico di chi nel prosieguo avrà maturato interesse per tale progetto strategico-programmatico.
Il movimento comunista novecentesco è stato sconfitto in uno scontro frontale di classe in un contesto storico con assetti internazionali ben determinati. L’analisi di questa sconfitta, che riguarda i comunisti più di qualunque altro, va affrontata senza riserbo, analizzando scelte e criticità palesatesi, in primis la mancata percezione della controffensiva di classe lanciata da parte del capitale dalla seconda metà degli anni ’70 in poi e l’incapacità di attrezzarsi per una risposta parimenti strutturale. Anche le esperienze nate dopo la dissoluzione autodeterminata del PCI non sono state in grado di invertire la marcia e dare le risposte strategiche che ci si auspicava: per questo ne consideriamo esaurita la funzione.
Ma la valenza politica fondamentale della nostra storia rimane tale, determinante per l’affacciarsi da protagonisti sulla scena politica internazionale delle classi subalterne, per i tentativi di affrancarsi dallo sfruttamento, per l’emancipazione e la liberazioni di popoli oppressi, di riferimento per l’oggi e per futuri scenari.
Essenziale per l’obbiettivo posto è il ritorno alla centralità del campo teorico-culturale e identitario, investendo su una nuova stagione di studio, ricerca e riflessione teorica sulla proprietà dei mezzi di produzione e sul controllo sociale della produzione, sulla dicotomia tra proprietà sociale e proprietà privata, sul rapporto tra programmazione ed autogestione, sulla questione dello stato, sul rapporto tra individuo e società e sull’intero bagaglio teorico-scientifico per rivitalizzare ed attualizzare una strategia della trasformazione socialista per il ventunesimo secolo.
Occorre rielaborare un piano di conoscenza per rigenerare una coscienza collettiva di classe, un rilancio ideologico credibile e in grado di sapere intercettare l’attenzione e il consenso di ciò che ancora annaspa a sinistra e soprattutto delle nuove generazioni nate e cresciute dentro una cultura politica che ci esclude. Una funzione quasi pedagogica in chiave rivoluzionaria.
I comunisti si rivolgono ai giovani, a cui è affidato il compito principale della ricostruzione di un futuro diverso; ai lavoratori che devono riassumere il ruolo storico di avanguardia nelle battaglie rivoluzionarie e progressive recuperando un protagonismo solidale di classe nello scenario politico, atto alla riconquista della dignità del lavoro e a una nuova stagione di battaglie per una redistribuzione equa della ricchezza, per una società più giusta e più uguale e in cui il lavoro come elemento centrale di produzione di benessere e bellezza sia strumento di emancipazione e liberazione; alle donne che dell’attuale gigantesca ristrutturazione capitalistica pagano il doppio prezzo come soggetti della classe su cui si scaricano anche parte delle contraddizioni in seno alla classe stessa; ai meno giovani costretti a subire gli assalti alle pensioni e alla sanità pubblica, ulteriore terreno di rapina da parte del capitale; ai popoli dell’Europa e del mondo per un nuovo internazionalismo del lavoro quale argine alle imposizioni totalitarie del capitale finanziario: un nuovo internazionalismo che lavori per la pace, contro l’imperialismo USA e i suoi alleati e vassalli che si è abbattuto sui popoli producendo inaccettabili morti e distruzioni.
Attenti ad un quadro internazionale fortemente mutato, in cui l’orizzonte del capitale appare molto più incerto anche solo di qualche anno fa, noi comunisti ci poniamo nuovamente in marcia per ricostruire una teoria della trasformazione della società. Ancora una volta abbiamo tutto da guadagnarci.
Il momento è adesso, compagne e compagni!
14 giugno 2016