Troppe domande e dubbi che nascono da un misterioso summit tra Livorno e Reggio Emilia.
di Luigi Grimaldi
Pochi giorni prima del 10 aprile 1991, alla vigilia della disastrosa collisione del traghetto Moby Prince, a Livorno accade qualcosa. Il 20 marzo tre dirigenti della compagnia Shifco raggiungono il porto toscano. Sono Florindo Mancinelli, Ennio Malavasi e Omar Said Mugne.
Sono diretti alla nave “21 ottobre II”, ormeggiata in porto. È l’ammiraglia della flotta sospettata da polizia, servizi segreti e agenzie dell’Onu, di essere dedita a traffici internazionali d’armi. Si tratta dello stesso Siad Omar Mugne e della stessa flotta su cui indagheranno gli inviati del TG3 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin prima di essere assassinati a Mogadiscio in Somalia esattamente tre anni più tardi, il 20 marzo 1994.
È un summit quello che si svolge a bordo della nave italo-somala ormeggiata nel porto di Livorno? Con quale scopo? E perché i permessi di accesso alla struttura portuale (sicuramente quello di Florindo Mancinelli) scadono proprio il giorno del disastro del Moby Prince?
UN SUMMIT A LIVORNO E REGGIO EMILIA
Di certo si sa che durante la prima settimana di aprile, mentre Mancinelli resta a bordo del peschereccio, il “summit” si trasferisce altrove: all’Hotel Astoria di Reggio Emilia. Un evento tanto interessante che una divisione del Sismi (il servizio segreto militare italiano, oggi denominato Aise) tiene sotto controllo l’evolversi della situazione. A spostarsi da Livorno a Reggio Emilia è proprio il capo della Shifco: Omar Said Mugne.
Gli uomini dell’intelligence militare segnalano infatti che «l’ambasciatore somalo Yussuf Ali Osman [è l’ambasciatore presso la Santa Sede, noto anche come Ali Hussein, ndr], l’addetto militare somalo Mohamed Hassan Hussein e tale Mugne Omar hanno soggiornato presso l’albergo Astoria, di Reggio Emilia, nei giorni 6 e 7 aprile, con partenza il giorno 8 aprile». «Per il momento», continua l’informativa del Sismi, «non si è avuta notizia dell’incontro dei somali con il Giovannini Giorgio». Il sospetto è che Mugne, l’addetto militare e l’ex ambasciatore siano impegnati nell’organizzazione di un traffico d’armi.
Ma chi è Giorgio Giovannini? Nominato dal dittatore somalo Siad Barre console onorario per la Jugoslavia e per l’Ungheria, aveva i suoi uffici a Zagabrina ed era l’uomo di fiducia del presidente somalo nei commerci di armi con la Yugoslavia, paese, all’epoca del disastro della Moby Prince, travolto come la Somalia da una sanguinosa guerra civile. Giovannini è legato ad un ufficiale di collegamento, il generale somalo Osman Anaghel, che nel 1991 si trasferirà come ospite in esilio a casa di Giovannini. Anaghel non è un nome nuovo in Italia in relazione ad inchieste sui traffici di armi.
LE VECCHIE STORIE CHE RITORNANO
Si deve risalire all’inizio degli anno ’80, alla famosa inchiesta trentina del giudice Carlo Palermo. Palermo, all’epoca, decide di andare fondo nella sua inchiesta sul traffico internazionale d’armi interrogando alcuni imputati eccellenti, fra i quali l’ ex colonnello Sid iscritto alla P2, Massimo Pugliese, monarchico, agente del Sifar e del Sid, andato in pensione, ma rimasto collegato al generale Santovito capo del Sismi, a sua volta massone della P2. Uscito dal Sid, andò a fare il consulente per alcune ditte nazionali produttrici di armi. Pugliese ebbe la possibilità di mandare messaggi al presidente Reagan, ad esempio, per favorire le concessioni di crediti alla Somalia, necessari per l’acquisto di armi.
Terminali dell’affaire somalo l’allora colonnello somalo Osman Anaghel, che sarà l’agente di collegamento somalo con Giovannini, e il fratello del generale Santovito per il quale lavorava come consulente Francesco Pazienza. il giudice istruttore di Trento Carlo Palermo, nel quadro della sua maxi-inchiesta per armi e droga, aveva indiziato Santovito per aver fatto da mediatore per la fornitura alla Somalia di una partita di armi Usa. Pazienza, consulente del Sismi, coinvolto in buona parte dei misteri d’Italia e condannato sia per il crack del Banco Ambrosiano che per i depistaggi della Strage di Bologna, all’inizio degli anni ’90 verrà sospettato senza seguiti penali,dalla Procura di Palmi, di trafficare in armi con la Somalia, assieme a Licio Gelli e Roberto Ruppen, procuratore del Governo somalo di Alì Mahdi in Italia e coinvolto nel Progetto Urano (smaltimento di rifiuti in Somalia in cambio di armi) assieme a Giancarlo Marocchino (anch’egli sospettato senza seguiti penali di essere un trafficante d’armi), il primo a comparire sul lugo del delitto Alpi Hrovatin assieme al colonnello della polizia somala Gafo, vecchia conoscenza proprio del generale Anaghel, quello amico e ospite di Giovannini in Italia.
LE NAVI SOMALE E IL TRAFFICO D’ARMI
Insomma va detto che, tra quel che si sapeva all’epoca e quanto si è scoperto più tardi, che vi erano e vi sono mille motivi per sospettare il peggio sul summit di Livorno e la riunione di Reggio Emilia alla vigilia della strage del Moby Prince.
Del ruolo nel traffico d’armi attribuito a Giovannini era sicuramente a conoscenza Ilaria Alpi, attraverso notizie apprese dalla moglie del presidente Alì Mahdi. La nave XXI ottobre e la Shifco, peraltro, sono i soggetti dell’interesse di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin prima di essere assassinati.
Non solo. Nel 2002 e nel 2003, indagini del gruppo di esperti dell’Onu contro il traffico d’armi con la Somalia troverà le prove del coinvolgimento della flotta somala nei traffici internazionali d’armi provenienti dalla Polonia e dagli Usa verso la Croazia e la Somalia, risalenti rispettivamente al 1992 e al marzo 1994. Traffici riconducibili al trafficante Monzer Al Kassar (noto alle cronache nazionali e internazionali per la sua partecipazione alla vicenda CIA-Iran Contras e per il sequestro della nave italiana Achille Lauro).
DOMANDE INELUDIBILI
Le domande che hanno bisogno di una risposta sono molte. C’è una relazione c’è tra la riunione di Reggio Emilia, la nave ammiraglia della Shifco e la notte del disastro? Come mai, nonostante fosse ferma per riparazioni e priva di metà dell’equipaggio (che era sbarcato e aveva chiesto asilo politico in Italia) la sera del 10 aprile 1991 (come affermato da un testimone) avrebbe lasciato l’ormeggio mentre ufficialmente era impossibilitata a farlo e a navigare ? Perché sarebbe stata anche rifornita di carburante mentre in porto ?
Come mai non si è indagato a fondo sulle ragioni e sulla natura dei presunti movimenti della nave somala in una notte nella quale si stavano trasbordando ingenti quantitativi di materiale bellico da parte di navi americane? E come mai il traghetto della morte e la petroliera dell’Eni erano circondate da navi militarizzate USA (ufficialmente prima tre, poi sei, e infine sette) cariche di miglia e migliaia di tonnellate di armi e munizioni formalmente destinate alla base di Camp Darby ma che in quella base non sono mai state scaricate? E perché qualche anno dopo proprio a Francesco Pazienza sarà sequestrato dalla magistratura l’abbozzo di un piano di depistaggio del delitto Alpi Hrovatin (inchiesta in cui sarà difeso dall’Avvocato Carlo Taormina poii presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul delitto di Mogascio? Per ora non ci sono risposte convincenti , ma si tratta di un garbuglio certamente alla portata del lavoro di indagine di una commissione Parlamentare di Inchiesta.
04/11/2015