Come un Prometeo – imprigionato, anziché incatenato – il titano eroe della conoscenza, che ha liberato gli uomini dall’ignoranza e proclamato santo e martire della filosofia
L’italiano più conosciuto, tradotto, letto e studiato nel mondo e il più dimenticato, obliterato in Italia e/o, nel migliore dei casi, ostentato all’incirca come un “padre della patria, uno da incorniciare, da appendere ad una parete, pur di far dimenticare e non ricordare specie ai giovani, che il grande intellettuale e grande dirigente politico carcerato, era marxista e comunista e fondatore del Partito comunista italiano.
La teoria del Partito e la teoria dello stato di Gramsci (la sua stessa teoria del partito è teoria marxista dello stato), mutuata da Marx e portata ai suoi massimi sviluppi da Gramsci, spiega perché per riacquistare la consapevolezza della possibilità reale di ricostruire le basi di un partito comunista, del partito della rivoluzione democratica e della transizione al socialismo, occorre rivedere criticamente l’esperienza del “socialismo reale”, anziché continuare nella acritica identificazione del marxismo con il “soviettismo”.
La sua teoria del “mercato determinato”, tratta dell’economia politica e del suo metodo, ed è una critica del liberalismo ma anche una critica serrata contro un economicismo marxista presente non solo ma soprattutto nel determinismo economicista e dogmatismo kautskiano e menscevico, proprio, da allora ad oggi, anche del revisionismo e del riformismo socialdemocratico di sinistra.
La teoria del mercato determinato, è la teoria economica condivisa e applicata dalla UE, costituisce labase dell’economia politicae, quindi,della politica economica dell’Unione Europea, dell’atlantismo e occidentalismo, del capitalismo finanziario degli Stati europei: sia del Centro-Nord che del centro-Sud Europa, sia tedescocentrici che anglo-americani. Teoria economica, economia politica e politica economica, a cui subalternamente si rifanno gli uni e gli altri, delle correnti politiche italiane esterne o interne alla “sinistra” oltre che al PD nuova veste di una DC “che guarda a destra”, esclusivamente dorotea, conservatrice e reazionaria.
Vale a dire l’opposto di quel che la DC voleva e diceva di essere , cioè “un partito “popolare” che “guarda a sinistra” e si vantava di essere “diverso” e il “contrario” di un classico partito conservatore europeo, anzi, di esseree di costituire, come DC, una barriera contro la costruzione anche in Italia di un partito conservatore-reazionario di tipo europeo, quale è oggi il PD.
Grande intellettuale e dirigente politica carcerato, pur lavorando in condizioni sia di salute che di ambiente impossibili, con la sua teoria marxista del diritto e dello stato è ormai conosciuto e riconosciuto come “il più grande studioso del potere dal tempo di Machiavelli.
Con buona pace dei bobbiani o bobbisti come il Maffettoni che, ancora di recente sul Corsera Gotha del capitalismo italiano, ha rinverdito la tesi di Bobbio secondo il quale mancava una “teoria marxista dello stato”. Ovvero proseguendo nell’ambito della ideologia giuridica borghese dominante, in un processo di vera e propria “contraffazione” di tutto il bagaglio teorico che il marxismo ha ampiamente denunciato e dimostrato essere “mistificatorio” (specie in riferimento al nucleo delle questioni celate dietro la formula dello “stato di diritto” come forma del c.d.”stato moderno”), ancor più negli ultimi decenni, specialmente ad opera di Salvatore d’ALBERGO. Il quale in più occasioni , ha più e più volte “sconfitto” , anzi, tanto per intenderci, ha “distrutto” sul piano teorico – lo possono testimoniare tanti – il pensiero giuridico ideologicamente datato di Bobbio e ancor più le asserzioni di Bobbio – che dagli anni 70 si è dedicato più alla politologia e ai sofismi politologici e non ha più scritto opere scientifiche e di filosofia del diritto sua materia – circa l’inesistenza di una “teoria marxista dello stato”. Che d’Albergo, ha ampiamente dimostrato essere una falsificazione politologica e una mistificazione teorica del bagaglio teorico del marxismo, “sconfiggendo” Bobbio sul piano teorico, sia nelle sedi di dibattito, di conferenze e seminari, anche ad es., presso l’’Istituto filosofico Alosianum e altrove, sia in sede editoriale e di pubblicazioni di letteratura scientifica, di teoria giuridica e di storia politica e costituzionale, come nel volume pubblicato dalla Giampichelli Ed. (s. d’Albergo, “Costituzione e organizzazione del potere nell’ordinamento italiano”) rispetto al quale, il massimo filosofo italiano, Remo Bodei, nel leggerlo, arrivo ad esclamare : “sembra di leggere Aristotele” (dalla relazione di A. Ruggeri su “l’umana pienezza e il ruolo culturale e politico di Salvatore d’Albergo uomo integrale e scienziato sociale, nella storia sociale, politica e culturale del nostro Paese”.
Grande intellettuale dirigente politico comunista e marxista, Gramsci è portatore di un marxismo “vivo”, come anchecoloro che oggi predicano di rompere con le idee del passato cancellandole anche dalla sola memoria, in tempi non lontani ostentavano un marxismo più o meno ortodosso, rifacendosi o meno al pensiero di Gramsci vantandolo come pensiero marxista “originale”, comunque “diverso” od “opposto” a quello che in altri paesi, dopo la morte di Lenin, ha sopraffatto, appunto, il marxismo vivo, antidogmatico, non imbalsamato.
Un marxismo e materialismo storico, quello di Gramsci, che con i necessari riferimenti storici, quindi all’analisi della realtà effettuale, si rifà ai fatti reali,al confronto permanente tra teoria della prassi e processo storico, tanto da aver sostenuto ”la rivoluzione contro il Capitale” di Lenin, perché, scrive Gramsci: “i fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni dogmatici” di menscevichi e socialdemocratici votati al determinismo economicistico (contro “l’economismo” – sia liberale-borghese che di un certo marxismo – la polemica di Gramsci è durissima e costante, fino alla sua morte); e “perché Marx non ha scritto unadottrinetta, non è un Messia che abbia lasciato una sfilza di parabolegravide, di imperativi categorici, di norme indiscutibili, assolute, fuori dalle categorie di tempo e di spazio” (Gramsci, “Il nostro Marx”)
Un gigante del pensiero che da carcerato e in condizioni di salute e ambientali impossibili e senza pari ne precedenti nella storia, nel secondo ventennio del 900 – che al di la di una puramente formale distinzione di secolo continua anche questo c.d. terzo millennio – è stato trasformato, in una specie di “padre della patria”, da incorniciare, appendere ad una parete, senza mai riferirsi al grande intellettuale e grande dirigente politico carcerato, come marxista e comunista, affinché i giovani non sappiano e non si ricordino chi era ed è Antonio Gramsci.
In buona sostanza operando una banalizzazione e mistificazione quale quella che in corso nei confronti Berlinguer– si che forse ci si dovrà dedicare a riesumare e ricordare anche “Il nostro Berlinguer” – ad opera dei suo “uccisori”:che dopo averlo massacrato in vita e fatto letteralmente morire, cercano di impossessarsene in morte, mostrando, da craxiani impenitenti, non tanto o solo di non avere vergogna ma di “non avere la faccia”.
Uno degli errori più gravi che spiega l’inutile “darsi da fare” o “agitarsi” da parte anche dei più “onestamente” impegnati e volonterosi, e di gruppi, movimenti e formazioni varie, consiste, a nostro avviso, nel non tenere conto di quel che ben insegna Gramsci e da lui in poi, con Togliatti, Longo e Berlinguer, insegna tutta la storia ed esperienza del comunismo e del marxismo italiano: “fare politica significa fare storia e teoria”
Donde l’importanza di far riscoprire e di studiare Gramsci e – per tutti coloro che propongono e di ripropongono di ricostruire il partito comunista – di ripartire dalla teoria , dall’unita anzitutto teorica, senza la quale non c’è possibilità di creare una unità politica e organizzativa dei comunisti, quindi di ripartire da Gramsci, da tale gigante del pensiero, della filosofia e della teoria della prassi sociale-politica, che ci viene invidiato e studiato nel mondo dell’Est e dell’Ovest, del Sud e del Nord anche anglosassone e del Nord America statunitense in cui, significativamente, operano molteplici gruppi gramsciani, in quanto le categorie gramsciane sono ritenute le più valide, da applicare non più solo allo stato nazionale ma alle sovranazionalità e all’intero mondo.
Categorie gramsciane considerate oggi le più valide e necessarie per interpretare, analizzare e comprendere meglio la natura e la portata della globalizzazione capitalistica, e per correggere il fuorviamento che al coperto dell’enfasi retorica (affatto scientifica) é valsa ad infatuare filosofi e scienziati delle “due culture” e di ogni indirizzo culturale, ha impedito di cogliere la portata effettiva dell’operazione economicistica della c.d. “globalizzazione” e una corretta analisi dei rapporti in corso tra sistema istituzionale degli stati e delle sovranazionalità e capitalismo finanziario del “blocco storico atlantico”.
“Blocco storico atlantico” come i gramsciani statunitensi, da oltre un decennio, hanno tempestivamente analizzato e definito la costruzione dell’Unione Europea, usando la categoria gramsciana di “blocco storico”: vedendo giusto e in anticipo quel che oggi trova ampia conferma nei fatti, che vedono il “blocco storico atlantico” impegnato a consolidarsi sempre di più: sia con un mercato unico Euro-Atalantico ( più “blocco storico” gramsciano di cosi…), sia estendendosi nell’Est-Europa con la obaniana “NATO ECONOMICA” (e quanto più possibile “anche militare”), fin dentro i confini dell’ex-URSS, per realizzare un mercato unico “blocco storico atlantico”, dagli Urali alle coste statunitense del Pacifico.
Angelo Ruggeri, Centro studi di iniziativa politica e culturale”Il Lavoratore” fondato con e da Salvatore d’Albergo
Il 2003 rappresenta pienamente la sconfitta intellettuale dei tanti, troppi, economisti, sociologi, storici che avevano individuato nel modello “Terza Italia”, della specializzazione flessibile, del mito del piccolo è bello, una modalità moderna di relazioni economiche e sociali, contrapposto al gigantismo delle multinazionali e della razionalità fordista, foriera di conflitto di classe. Le università italiane sono piene di questi cantori, a loro sono andate ingenti risorse per celebrare il mito dei distretti industriali, visti come nuova modernità, la bibliografia su queste tematiche è sterminata e pochi, veramente troppo pochi, furono coloro i quali non erano affatto convinti di questa illusoria modernità, intravedendone caratteri precapitalistici se non proprio feudali e antimoderni.
“Il Nord-Est e in generale la terra dei padroncini sembrano finalmente aver capito che l’Europa vuol dire governo fermo e regole sicure, e tasse, magari più basse, ma certe. Per questo mormorano, e il loro esagitato profeta urla, il proprio dissenso. Vogliono mantenere la libertà di non pagare le tasse, di sporcare l’ambiente, di svalutare quando il gioco concorrenziale si fa duro” (Marcello De Cecco, L’oro d’Europa, Donzelli 1999).