A2A, la più grande società multiservizi del Nord Italia, di cui i Comuni di Brescia e Milano sono soci al 51%, possiede il 9,8% di una banca accusata di aver ripulito danaro di narcotrafficanti balcanici.
L’imbarazzante proprietà è collegata a un “investimento” in perdita e a prezzi fuori mercato, per l’acquisto di una centrale elettrica alimentata a lignite, il carbone più inquinante che c’è, e della miniera che la rifornisce, nel Paese balcanico da poco entrato a far parte della Nato.
Lo staff di iskrae
I soldi di Milano “smaltiti” in miniera in Montenegro
di Lorenzo Bagnoli*
Dal 2009 i cittadini di Milano e Brescia sono proprietari al 40% di una centrale elettrica a lignite. E anche della miniera che la alimenta. Gli impianti si trovano in Montenegro, a Pljevlja, cittadina vicino al confine con la Serbia asfissiata dai fumi dell’impianto.
E’ qui che A2A, la più grande società multiservizi del Nord Italia, di cui i Comuni di Brescia e Milano sono sono al 51%, ha investito circa 457 milioni di euro senza ricavare nemmeno un euro di dividendi.
Soldi buttati per le quote di Epcg, la ex Enel montenegrina poi privatizzata, e di Rudnik Uglja Pljevlia (Rup), la miniera di lignite cittadina.
Un impianto obsoleto, che funziona con il carbone più inquinante che c’è, acquistato a cifre fuori mercato e una società, Epcg, che fino a 2013 non ha riscosso un euro di bolletta ai cittadini montenegrini.
Sono queste alcune delle cause del disastro economico dell’investimento, che si porta ancora appresso un fardello di 20 milioni di euro di debiti.
“Un anno fa, Matteo Renzi aveva ammesso che il carbone è il nemico. Se è così, foraggiarlo nei Balcani è alto tradimento. È ora che i sindaci del suo partito pongano fine a questa scelta fallimentare di A2A”, dice Antonio Tricarico di Re:Common, ong che indaga sugli “investimenti sporchi” italiani. Nell’ultimo bilancio A2A ammette che entro il 2021 l’impianto di Pljevlja deve essere chiuso. Ormai ha perso valore per almeno 200 milionidi euroenel soloultimo anno, la miniera ne ha bruciati altri sette. Vendere – anche volendo –è un’impresa. Si è parlato di aprire un nuovo impianto, Pljevlja 2, più moderno e “pulito”.
Contractor designato Skoda Praha, con soldi di banche della Repubblica Ceca, le quali però alla fine si sono ritirate.
I fratelli padroni del Paese
Se le casse della multiservizi italiana piangono, non si può dire altrettanto per i fratelli Milo e Aco Djukanovic.
Milo, rieletto il 16 ottobre, guida il Paese dal 1994. Negli anni delle privatizzazioni sfrenate dei Balcani, aveva bisogno di partner stranieri che immettessero liquidità nella morente economia del Paese.
E ha trovato nell’Italia di Sivio Berlusconi, suo grande amico e allora premier, l’alleato perfetto. Ormai sei anni fa, in un vertice congiunto Italia-Montenegro, Berlusconi aveva detto che l’Italia sarebbe diventata il primo partner energetico del Paese balacanico: una delle poche promesse mantenute nella carriera di B.
Aco Djukanovic governa nell’ombra. E’ proprietario della Prva Banka (Prima Banca), istituto di credito che detiene l’11% delle azioni della miniera di Pljevlja.
Nella banca, riportano le inchieste giornalistiche mai smentite, avevano nascosto i loro conti prestanome di importanti narcos dei Balcani.
Il principe di questi è Darko Saric, capo di uno squadrone di paramilitari che tra il 2009 e il 2011 è diventato il principale fornitore di cocaina d’Europa.
I soldi sporchi e la sacra Corona Unita
A gennaio di quest’anno, visto che Podgorica dal 2008 vuole entrare nell’Unione, il Parlamento europeo ha introdotto tra le 155 condizioni da rispettare, l’obbligo di condurre un’inchiesta indipendente su Prva Banka.
Anche i soldi di A2A sono transitati dall’istituto, proprio quando rischiava di chiudere per mancanza di liquidità. Da allora i legami di Aco Djukanovic e di A2A si sono fatti sempre più stretti.
Epcg, infatti, è a sua volta socia al 26% di Prva Banka. La matematica conseguenza è che A2A possiede il 9,8% di una banca accusata di aver ripulito denaro di narcotrafficanti dei Balcani.
Milo Djukanovic è una vecchia conoscenza degli investigatori italiani. Nel 2003, a Bari, gli è stata notificata un’informazione di garanzia per traffico internazionale di sigarette e 416 bis, associazione mafiosa. Lui e i suoi uomini erano accusati di contrabbandare con Sacra Corona UNita e camorra.
Su di lui e sui suoi uomini indagavano due procure: Napoli e Bari.
Nel marzo 2008, Djukanovic è a Bari per testimoniare: come ricostruisce in uno speciale del 2012 il gruppo di giornalisti d’inchiesta Occrp insieme a Bbc, l’allora primo ministro del neonato Montenegro indipendente (dal 2006) ammette di aver usato il contrabbando per riempire le casse vuote del Paese.
Passa qualche mese e Djukanovic conquista l’immunità diplomatica: cadono tutti i capi d’accusa. Qualche mese ancora ed A2A entra in Epcg e Rup. Nel quartier generale della multiservizi, a Brescia, nessuno tra i membri del nuovo cda è contento per quell’investimento fatto.
Il 14 ottobre il presidente Giovanni Vallotti e l’ad Luca Valerio Camerano hanno annunciato ai consiglieri comunali di Milano una possibile exit strategy per lasciare il Montenegro, “se non ci fossero più condizioni economiche vantaggiose”.
Il precedente accordo era molto svantaggioso per A2A, ma gli sforzi negoziali di un anno e mezzo hanno prodotto un nuovo testo che prevede entro marzo 2017 la possibilità di uscire dall’investimento portando a casa 250 milioni euro. Impossibile strappare di più.
Ma cosa farà A2A della sua partecipazione in Rup?
“A2A valuterà la sua partecipazione all’interno di una più ampia strategia di presenza nel Paese”, risponde l’azienda.
Un piano di fuga pieno di incognite
Salvare il salvabile dell’investimento uscendo entro marzo da Epcg non sarà facile, per almeno due motivi. Il primo, i tempi: la restituzione dei 250 milioni avverrebbe in sette anni, senza la possibilità di mantenere nessuno nel board montenegrino. Come garantire che il governo rispetti i patti? “Lo shareholder Agreement costituisce un impegno chiaro e formale del governo del Montenegro”, replica A2A.
Il secondo motivo è “politico”. Non è semplice sedersi a un tavolo, quando la procura di Podgorica ha spiccato due mandati d’arresto per ex amministratore finanziario di A2A in Montenegro (Enrico MAlerba e Massimo Sala, entrambi liberi) e ha messo ai domiciliari Flavio Bianco, successore del secondo, l’unico attuale impiegato nella sede montenegrina.
Sono accusati di aver dirottato 15 miloni di euro di appalti. senza gara, su BAin&Company e A2A Rete Energia.
La storia risale al 2013, il primo anno in cui A2A avrebbe dovuto raccogliere dei dividendi. Non ha portato a casa nulla per un “problema tecnico” legato all’aumento di capitale non registrato della società. Quei dividendi, casualmente proprio 15 milioni, non sono mai arrivati. Che A2A sia rimasta fregata dai soci montenegrini?
Forse. Ma quali condizioni potrebbero convincere A2A a restare. “Al momento – risponde l’azienda – una valutazione è prematura.
*Irpi,Investigative reporting project Italy
15 novembre 2016