di Angelo Ruggeri
Una volta definito lo Stato come di “democrazia sociale”, la forma di governo non poteva che essere quella dello stato parlamentare basato sul pluralismo di una rappresentanza proporzionalmente determinata, come condizione imprescindibile per dargli una qualità diversa rispetto a quello liberale e per dare consequenzialità e rappresentatività al pluralismo sociale e degli interessi di classe in conflitto che si è legittimato e posto a base dell’organizzazione istituzionale, di cui la proporzionale e il diritto di sciopero sono, come sono stati, gli strumenti principali della crescita della democrazia sociale nel paese e della battaglia per la socializzazione dello stato e dell’economia sia pubblica che privata, nella lotta quarantennale tra chi lottava per mantenere le condizioni di un capitalismo privato senza controllo sociale e politico (in base al Codice civile) e chi invece voleva fare valere il principio costituzionale di sottoporre al controllo anche l’economia privata (come esplicitamente previsto dall’art. 41 Costituzione, ecc.) e fare valere i criteri di interesse sociale e collettivo di una economicità pubblica previste costituzionalmente. Perché la Costituzione ha consacrato un regime di economia mista, in cui è compresente lo Stato e il privato, in un modello che, in quanto di democrazia sociale, non tiene conto dello stato come soggetto burocratico come recepito dal regime liberale e da quello fascista, ma come NUOVO MODO DI ESSERE DEL PUBBLICO.
Non è un caso che le PpSS e l’impresa pubblica siano nate dal contraccolpo determinato dalla sconfitta del tentativo di modificare il sistema elettorale con la legge truffa, per il rapporto che esiste tra aspetti strutturali e sovrastrutturali, e tra legge elettorale e tipo e forma dello stato.
Una cultura democratica e sociale della legge elettorale è essenziale perché la legge elettorale è essenziale per attuare una democrazia sociale. Antisociale è il presidenzialismo ma altrettanto antisociale e per alcuni aspetti più insidioso perché più insinuante e più mistificabile l’effetto, è una legge elettorale non proporzionale. Sono due braccia di una stessa tenaglia.
La legge elettorale è decisiva perché ci sono due concezioni dell’organizzazione politica: quella legata al maggioritario, in cui chi vince prende la maggioranza assoluta, prende tutto e plasma di se lo stato e la società (è il regime più partitocratico che possa esserci dopo quello a partito unico); e c’è un’altra concezione, che con linguaggio classificatorio si chiama DEMOCRAZIA CONSENSUALE, secondo cui deve essere riconosciuto il pluralismo (che non è tanto o solo quello politico, ma sopratutto sociale) e la società non può essere ridotta solo a chi vince (dopo tanta proclamazione di pluralismo per l’Est si è fatto all’opposto in Italia). Perché è la storia stessa che dimostra che la qualità di una democrazia è cambiata e cambia a secondo della legge elettorale, che non è solo una disciplina delle modalità di voto, ma esprime in tutte le sue righe la qualità dello Stato. Perché riguarda il criterio della rappresentanza: e se la rappresentanza è pluralistica, allora si determina una vicenda che può dare coerenza ad uno stato di democrazia sociale, se invece c’è la maggioritaria, la socialità di uno stato viene meno. ECCO PERCHE’ ERANO ANTICOSTITUZIONALI I REFERENDUM DI SEGNI PROMOSSI CON IL CONCORSO DECISIVO DI PDS, VERDI, RETE, CENTRO RIFORMA DELLO STATO, ecc. Così nessuno – nemmeno il Comitato per la difesa della Costituzione di Roma – ha avanzato eccezione di costituzionalità che si rifacevano alla natura e forma di stato definiti dalla Costituzione e si è solo obiettato con la tesi di Amato sul fatto che si sarebbe trattato di un referendum propositivo e non abrogativo, dimostrando ancora la subalternità della cultura istituzionale di sinistra a quella craxiana di destra.
LA LEGGE MAGGIORITARIA implica una scelta istituzionalizzata appostamente studiata per fare vincere sempre la destra e di strumenti di selezione dei gruppi dirigenti di una medesima classe, con la esclusione di soggetti e rappresentanze politiche fortemente caratterizzate in senso sociale e di classe se non capitalistiche e di sistema. Se dopo il fascismo è stata subito introdotta la proporzionale è proprio perché si voleva riaprire una strada di democrazia sociale.
Per cercare di bloccare gli effetti della proporzionale si è introdotto la logica dei patti o dei poli di coalizione dei partiti che poi governeranno e su questo per 40 anni si è realizzato di fatto un sistema maggioritario fondato sulla conventio ad excludendum delle forze anti-sistema che con la proporzionale potevano vincere per cercare di ottenere l’effetto che normalmente si ottiene con il maggioritario. Ma un governo che traballava continuamente, nonostante la maggioranza assoluta (solo al senato gli mancava uno o due voti) sotto la spinta di una lotta sociale e politica nelle fabbriche, nel paese e nelle istituzioni, si cercò di obbligare con legge elettorale all’ apparentamento e premi di maggioranza ai poli tra forze diverse, con la legge truffa. La sconfitta costrinse a rinunciare a ciò ma non ai patti tra coalizioni di governo, di fatto creando “due stati”. Su questo si è retto il potere quarantennale della DC: su un sistema maggioritario di fatto che disinnescava e limitava gli effetti del proporzionale e vanificava lo stato costituzionale di democrazia sociale. Per questo, con il venire meno del cemento di intesa e di coesione dei partiti di governo messi a prova dalla scoperta del sistema di corruzione “tangentizio” funzionale alla conventio ad excludendum, c’era urgenza di realizzare un sistema maggioritario legalizzato che sostituisse quello “illegale” esistente. Il sistema quarantennale democristiano era anticostituzionale e antidemocratico perché fondato sul principio di esclusione esattamente come sul principio di esclusione si basa il sistema maggioritario e di coalizione attuale e i sistemi elettorali vigenti nei paesi anglosassoni ed europei, al di là delle variabili tecniche delle loro forme, non diverse dalle forme de potere personale del fascismo.
26-5-1994