Foto: Burkina Faso ragazzi al lavoro nelle miniere d’oro artigianali
Tonnellate del minerale prezioso dalle miniere artigianali del Burkina Faso transitano illegalmente in Togo da dove, legalmente, finiscono poi nel Canton Ticino, presso la raffineria Valcambi. Secondo l’ong svizzera “Berna Declaration”, coinvolte almeno 7 tonnellate di oro all’anno, per guadagni illeciti che sfiorano i 6,5 milioni di franchi.
Proprio all’interno dello stabilimento della Valcambi, secondo un rapporto pubblicato dall’associazione svizzera “Berna Declaration” (DB), da anni impegnata nel monitoraggio del commercio di minerali in entrata e uscita dalla Svizzera, vengono raffinate ogni anno grandi quantità di oro, provenienti dalle miniere artigianali del Burkina Faso. Un viaggio non lineare che porta i preziosi a essere contrabbandati illegalmente in Togo e da lì in Svizzera.
Una triangolazione apparentemente irrazionale ma che, sfruttando la differenza di tassazione sull’export tra i due paesi africani, avrebbe permesso, nel solo 2014, risparmi per gli importatori di circa 6 milioni di franchi (5,5 milioni di euro). Soldi evasi al fisco burkinabè, il cui valore corrisponde a circa un quarto degli aiuti allo sviluppo destinati, ogni anno, al paese africano dal governo svizzero.
I conti non tornano
Il lavoro di ricerca, portato avanti con decine di interviste sul campo, inizia nel febbraio del 2014 quando il Consiglio federale svizzero pubblica, per la prima volta dagli anni ’80, un documento con le statistiche sul commercio dell’oro. Stando ai numeri, nel periodo tra il 2012 e il 2014, la Svizzera ha importato, da oltre 60 paesi, una media di 2.500 tonnellate di oro ogni anno, pari al 70% della produzione mondiale. A divedersi la parte più consistente di questo flusso sono quattro raffinerie, le “Big Four”, tre delle quali (la Argor-Heraeus, la Pamp e, appunto, la Valcambi) sorgono in Canton Ticino, in quello che, non a caso, viene definito il “triangolo dell’oro”. La quarta, la Metalor di Neuchâtel, insieme alla Argor-Heraeus, era stata accusata, in passato, di raffinare l’oro proveniente dall’est della Repubblica democratica del Congo.
Si tratta di uno dei tanti scandali che hanno coinvolto negli ultimi anni la Svizzera, il cui mercato dell’oro è da tempo sotto la lente di ingrandimento di gruppi e associazioni internazionali. È proprio per rispondere a queste critiche che il Consiglio federale ha proceduto alla pubblicazione delle statistiche con i dati a partire dal 1982. Spulciando tra questi numeri, i referenti di Berna
Declaration si sono accorti di una strana anomalia: nel solo gennaio 2014, la Svizzera aveva importato dal Togo – paese che non ha miniere industriali di oro – 1.287 chilogrammi del prezioso minerale, per un valore di oltre 42 milioni di franchi (38,7 milioni di euro).
Una stranezza segnalata durante un intervento televisivo, ma che sembrava dover restare senza risposta fino a quando, circa sei mesi dopo, una fonte ha contattato l’associazione fornendo un’accurata spiegazione di quale fosse il modello di business nascosto dietro le importazioni dal Togo. L’informatore, che chiede di restare anonimo, fornisce alla DB alcune prove ritenute inequivocabili, come i certificati doganali di importazione e le copie delle fatture pagate a Air France per il trasporto dell’oro da Lomé a Ginevra. Documenti che mostrano il ruolo giocato dal gruppo libanese Ammars, sia in Africa che attraverso la succursale ginevrina MM Multitrade.
Le miniere burkinabè
Il Burkina Faso è il quarto produttore di oro in Africa: nel corso del 2013 ne ha esportato 38,6 tonnellate, per il 98% a destinazione la Svizzera. Stando ai dati della direzione generale delle miniere del Burkina, la produzione industriale nello stesso anno è stata di 30 tonnellate, a cui bisogna aggiungere quanto viene prodotto nelle centinaia di miniere artigianali presenti nel paese: nel solo 2013 il governo bukinabè ne ha autorizzate 289. A partire da questi numeri il rapporto DB ipotizza che la produzione delle miniere artigianali sia superiore rispetto ai mille kg di oro che figurano nelle statistiche ufficiali; una parte consistente di questo oro lascerebbe il continente passando dal Togo.
Per trovare conferma ai loro sospetti, gli investigatori dell’associazione sono andati a far visita a cinque siti minerari constatando le difficili condizioni dei lavoratori che, con una percentuale variabile tra il 30 e il 50%, sono risultati minorenni: molti di loro lasciano la scuola attratti dal miraggio dell’oro, nonostante la legge del Burkina vieti il lavoro nelle miniere ai minori di 18 anni. Ai minatori viene chiesto di infilarsi in cunicoli che scendono fino a 170 metri sottoterra, ma non tutti hanno il coraggio di farlo perché gli incidenti e le morti sono frequenti.
Secondo quanto dichiarato da Mahamadi Sawadogo che cura un progetto Unicef a Karentenga, una delle zone aurifere, i minatori per farlo ricorrono spesso all’uso di droghe, attratti dalla possibilità di guadagnare fino a 5mila franchi Cfa al giorno (circa 8 euro) in un paese dove il guadagno mensile medio è di 32 mila Cfa (50 euro).
La rotta verso Lomé
L’oro delle miniere artigianali fa così rotta verso la capitale Ouagadougou dove viene venduto agli intermediari. Una delle aziende più importanti del settore è la Somika che, stando a quanto emerso dalle indagini di DB, sarebbe uno dei principali fornitori della Wafex, sussidiaria del gruppo libanese Ammar nella capitale del Togo, Lomé. Ed è proprio sull’asse Ouagadougou-Lomé che il minerale estratto nelle miniere artigianali viene contrabbandato. Una volta giunto nella capitale togolese, l’oro viene “legalizzato” ovvero registrato come estratto nelle miniere artigianali del Togo, rientrando di fatto nel mercato legale.
Uno stratagemma per evitare il pagamento delle tasse sull’esportazione previste dal governo burkinabè pari a 500 franchi Cfa per ogni grammo, a fronte dei 45 richiesti dal Togo: un risparmio di 450 franchi per ogni grammo di oro contrabbandato (circa 0,77 euro). L’associazione DB stima che questo traffico possa coinvolgere almeno 7 tonnellate di oro all’anno con guadagni “illeciti” per 6,47 milioni di franchi. Un commercio ingente che sembra impossibile senza il coinvolgimento di alcuni ufficiali di governo.
In particolare, Lassane Simporé, segretario generale del sindacato dei minatori del Burkina, ha denunciato la collusione tra i vertici della Somika e l’entourage dell’ex presidente Compaoré. Accuse seccamente smentite dal ministero delle miniere che ha negato qualsiasi forma di corruzione legata al settore delle miniere artigianali, così come il traffico verso il Togo.
Arrivo in Svizzera
Da Lomé, l’oro lascia il continente con normali voli di linea facendo rotta sulla Svizzera via Parigi. Una volta arrivato in terra elvetica, raramente il minerale viene controllato, come sottolineano gli autori del rapporto: «Possiamo confermare che nessuna domanda viene posta dalle autorità di frontiera sulle origini dell’oro». Da qui il viaggio prosegue verso il Ticino fino allo stabilimento della Valcambi, dove ogni anno vengono raffinate 2 mila tonnellate di metalli preziosi. Ed eccoci tornati all’inizio del nostro racconto.
La Valcambi come il gruppo Ammar e tutti i soggetti coinvolti in questa indagine sono stati contattati dagli autori, ma hanno preferito non rispondere o hanno negato, come nel caso della raffineria, ogni addebito rivendicando il proprio impegno per la trasparenza. L’azienda, nel 2012, ha pubblicato un documento in cui certifica il rispetto delle linee-guida stabilite dall’Ocse in materia di trattamento dell’oro proveniente da aree a rischio.
Resta il limite di una legislazione nazionale e internazionale sulla tracciabilità dei minerali che lascia ancora troppo spesso il campo libero alla volontarietà delle singole imprese. Azioni che questa piccola storia – una goccia, se pensiamo al mercato mondiale dell’oro – ha dimostrato, ancora una volta, essere insufficienti.
Articolo estratto dall’ultimo numero di Nigrizia di dicembre 2015.