Il neosindaco di Milano Giuseppe Sala, alla sua prima uscita pubblica ufficiale, in fascia tricolore durante la celebrazione dell’anniversario della fondazione della Guardia di Finanza, Milano, 24 giugno 2016. ANSA/ MOURAD BALTI TOUATI
di Gianni Barbacetto
Giuseppe Sala non è ineleggibile e non deve dunque lasciare la poltrona di sindaco di Milano. Lo hanno deciso i giudici del tribunale civile di Milano che hanno respinto due ricorsi presentati da cittadini milanesi. Questi sostenevano che Sala non potesse essere eletto sindaco perché rimasto commissario Expo: e l’articolo 60 del Testo unico sugli enti locali dice che i commissari di governo non possono fare i sindaci nel luogo dove hanno svolto l’attività commissariale.
Si è regolarmente dimesso il 15 gennaio 2016 con effetto dal 1 febbraio, hanno ribattuto i suoi legali, Ada Lucia De Cesaris e Carlo Cerami. Però Sala ha firmato atti successivi al 15 febbraio, “tornando” commissario, sostenevano i ricorrenti: il 22 gennaio 2016 ha firmato, su carta intestata del commissario Expo, il “Rendiconto dell’esercizio 2015”; e il 27 aprile 2016 la “Situazione dei conti Expo al 31 dicembre 2015 e 18 febbraio 2016”.
I giudici hanno respinto la richiesta di quattro simpatizzanti del Movimento Cinquestelle, due dei quali candidati alle elezioni comunali, per motivi formali: il ricorso è “inammissibile per carenza di legittimazione attiva”, ossia non vale perché i quattro non hanno presentato con l’esposto anche i documenti per dimostrare di essere elettori del Comune di Milano.
Respinto anche il ricorso presentato dal cittadino milanese Giorgio Giovanni Conte, assistito dal professor Francesco Saverio Marini: i giudici hanno ritenuto “del tutto valida ed effettiva la dimissione della carica”: presentata il 15 gennaio, ma a decorrere dal 1 febbraio. L’ultimo atto da commissario è del 22 gennaio, dunque precede le dimissioni (se si considera valida non la data di presentazione delle dimissioni, il 15 gennaio, ma quella indicata come giorno da cui decorrono, il 1 febbraio). La “Situazione” del 27 aprile è invece firmata come amministratore delegato. “Esclusa la sussistenza di una ineleggibilità”. I ricorrenti, condannati anche a pagare le spese processuali, stanno valutando se ricorrere in appello.
Il Fatto quotidiano, 8 febbraio 2017 (aggiornamenti successivi)