Vediamo se si riesce a far comprendere alle firme del giornalismo italiano che l’impianto di “revisione costituzionale“, in discussione al Parlamento provocherà, in un prossimo futuro qualora passasse e non verrà fermata per tempo, la stessa identica cosa di quanto successo in questi giorni in Turchia, con il Presidente Erdogan.
Infatti, sono forti e comprensibili le preoccupazioni del mondo giornalistico sulle limitazioni alla libertà di stampa che mobilitano firme prestigiose del servizio pubblico Rai, l’Ordine dei giornalisti con il suo presidente, Enzo Iacopino e, infine, la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) con il segretario Raffaele Lorusso, limitandosi, però, a contestarlo, solo, come attacco all’articolo 21 della Costituzione e non, invece (con la “revisione costituzionale“), come un agguato alle libertà generali che passeranno in mano al Presidente dell’esecutivo di turno.
Significative le parole (e dei limiti dell’azione di contrasto), del direttore dell’associazione Articolo 21, che promuove un quotidiano online a difesa della libertà di stampa e tra i promotori dell’iniziativa:
«E’ un fatto gravissimo perché – ha ricordato Stefano Corradino, – utilizzare la legge delega per affrontare il tema delle intercettazioni rappresenta di fatto una violazione in quanto determina un cambiamento molto pericoloso. Infatti sarà d’ora in poi il governo (potere esecutivo) a indicare quali saranno le notizie che possono avere rilevanza per i cittadini. Non ci sarà più, così come avviene in tutti i paesi democratici, il diritto per i giornalisti di poter determinare e individuare quali notizie possano essere diffuse, o non essere diffuse, nel rispetto della deontologia professionale. Sarà il potere esecutivo a stabilirne l’agenda e la pubblicazione. Solo questo fatto – ha proseguito Corradino – è una limitazione pesante al diritto di cronaca ed è pericoloso e sbagliato invocare questa strategia per garantire la privacy ai cittadini. Garanzia che di fatto è già stabilita per legge. Al tema delle intercettazioni possiamo aggiungere la mancanza di una disciplina sul tema delle querele temerarie, ossia dell’utilizzo di querele come strumento di intimidazione preventiva per i giornalisti. Ovviamente è uno strumento che permette a chi intende imbavagliare determinate inchieste di poter procedere senza problemi e colpire soprattutto giornalisti precari e non contrattualizzati, che non hanno la possibilità di avere le spalle coperte da grandi editori che possano garantire loro sostegno legale».
Il mondo dell’informazione dovrebbe prestare maggior attenzione ad alcuni passaggi dell’appello– denuncia che sta circolando in rete che inizia così:
“L’attuale stravolgimento della nostra Costituzione, che ne riscrive ben 49 articoli, comporta una profonda trasformazione della democrazia nata dalla Resistenza, è frutto di un lungo attacco compiuto dalle classi capitalistiche dei Paesi del blocco occidentale, con alla testa quelli anglosassoni.“
e prosegue con:
“La forma di governo parlamentare introdotto dalla Carta del 1948, è l’unica in tutto l’Occidente che dà centralità al Parlamento come proiezione della dialettica tra le forze sociali e le forze politiche portatrici della sovranità popolare. Nell’art.12 del disegno di legge Boschi viene trasformato l’art. 72 della Costituzione, introducendo di soppiatto il dominio del governo sul Parlamento, affermando che «il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di 70 giorni dalla deliberazione». Ricalcando il potere, introdotto dal fascismo nel 1925, di determinare la formazione dell’ordine del giorno della Camera in nome del primato del capo del governo sull’assemblea parlamentare; passaggio legislativo che ha determinato la nascita della dittatura fascista, dove tutto il potere era in mano al capo del governo, cioè del Dux.”
Detto ciò, non sarebbe il caso di ampliare le vedute e guardare sotto una luce complessiva e non particolare l’attacco alla Costituzione che è ben più grave del, solo, articolo 21 e che se dovesse passare la “revisione/sovversione” potremmo trovarci domani come, purtroppo, i turchi di oggi?
Se gli attacchi odierni alla libertà di stampa del Governo sono, solo, assaggi immaginate dopo…
MOWA
Turchia, la censura di Erdogan è solo l’ultima di una lunga serie
di Domenico Affinito
La censura imposta sulle immagine della strage di Ankara è solo l’ultima decisione antidemocratica del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Una goccia nel mare della negazione del diritto di parola e della libertà di stampa di cui Erdoğan si è dimostrato campione prima come premier e, dal 10 agosto 2014, come presidente della repubblica fondata nel 1923 da Mustafà Kemal Pascià “Atatürk”.
Il giorno prima che il duplice attentato colpisse la manifestazione per la pace organizzata nella capitale turca dal partito moderato curdo, dai sindacati di sinistra Disk e Kesk, dalle opposizioni e da alcuni ordini professionali per chiedere la fine del conflitto con i separatisti del Pkk, un tribunale di Istanbul aveva emesso un mandato di arresto per Bülent Kenes, direttore dell’edizione inglese del quotidiano turco Zaman, il più diffuso del Paese, con l’accusa di aver insultato Erdoğan via Twitter. Il giornalista, già condannato a giugno a 21 mesi con pena sospesa per un altro tweet sul presidente, ha negato le offese, sostenendo di aver soltanto espresso il suo diritto di critica. Nel tweet Kenes aveva condannato l’offensiva scatenata contro le voci critiche da Erdoğan e dal suo partito al potere, l’Akp, con la messa al bando, grazie a una magistratura compiacente, di giornali, canali tv, reporter, accademici e intellettuali colpiti da indagini la cui motivazione è solo politica. «In Turchia la situazione è terribile – ha detto Kenes – e il principio dello stato di diritto è stato schiacciato, per questo tante persone sono solo in attesa del momento in cui saranno perseguite».
L’azione messa in campo dai giudici turchi negli ultimi anni, complice un impianto normativo penale che dà loro molta discrezionalità rispetto ai reati di opinione e alle offese alle autorità (art. 301 del codice penale), ha tutto il sapore di una campagna di epurazione nei confronti dei giornalisti scomodi per il presidente. Il quotidiano Zaman, di cui Kenes è direttore, fa capo al magnate e imam Fethullah Gulen, ex alleato di Erdoğan e ora considerato il nemico numero uno del leader turco che lo accusa di aver creato uno stato parallelo con l’obiettivo di rovesciarlo, tanto che nei mesi scorsi erano stati arrestati centinaia di affiliati a Hizmet, la confraternita islamica di cui fa parte Gulen, sul cui stesso capo pendono due mandati di cattura e che per questo dal 1999 vive in auto esilio negli Stati Uniti in Pennsylvania.
Comunque Bülent Kenes, che per la sua attività di giornalista ha già affrontato nove denunce penali, due cause di risarcimento danni e sei indagini a suo carico, è solo uno delle centinaia di giornalisti finiti nel mirino della magistratura con l’accusa di vilipendio a Erdoğan dalla sua elezione a presidente. Solo per citare gli ultimi episodi sempre il 9 di ottobre la magistratura ha condannato a 11 mesi e 20 giorni (con pena tramutata in sanzione) due giornalisti del quotidiano Sozcu: l’editorialista Necati Dogru con l’accusa di aver insultato Erdoğan e il commentatore Ugur Dundar per presunte offese rivolte all’ex ministro dei Trasporti Binali Yildirim. Rischia invece 4 anni e 8 mesi Baris Pehlivan, direttore del sito OdaTv, per presunti insulti ai figli di Erdoğan, Sumeyye e Bilal.
Un mese fa, il 15 settembre, la polizia turca ha fatto irruzione nella sede di Nokta e sequestrato in edicola le copie dell’ultimo numero che in copertina aveva un fotomontaggio di un Erdoğan sorridente che si fa un selfie con alle spalle soldati che portano in spalla la bara di un militare morto. Durante il raid è stato anche arrestato Murat Çapan, direttore del settimanale. Lo scorso giugno Can Dundar, direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, era stato arrestato con l’accusa di alto tradimento per la pubblicazione di foto di camion attribuiti ai servizi segreti turchi carichi di armi destinate ai ribelli islamisti siriani.
Un’impressionante stretta alla già labile libertà di espressione sul suolo turco non può non essere messa in connessione con la campagna elettorale in corso per le elezioni parlamentari anticipate del 1 novembre prossimo.
11 ottobre 2015