Franco in Spagna, Pinochet in Cile e Videla in Argentina. I ‘Kissinger Cables’ pubblicati oggi da WikiLeaks, a cui l’Espresso ha avuto accesso in esclusiva per l’Italia, raccontano il travagliato rapporto del Vaticano con alcuni dei peggiori regimi fascisti del ventesimo secolo. Un rapporto con tante ombre e poche luci
Massacri? Macché, è propaganda. E’ l’ottobre 1973, cinque settimane dopo il colpo di stato di Pinochet dell’11 settembre. La diplomazia americana racconta nei suoi dispacci che, dieci giorni dopo il golpe, la giunta ha riconosciuto di aver arrestato cinquemiladuecento persone per sovversione. I media internazionali riportano le atrocità che hanno fatto sprofondare il Cile di Pinochet in un bagno di sangue. Ma il Vaticano sembra scettico sulle notizie drammatiche riferite dalla stampa internazionale. Macché massacri, è propaganda comunista. A raccontarlo al Dipartimento di Stato di Washington è l’ambasciata Usa di Roma, in un cablo che riferisce il contenuto di una conversazione con l’arcivescovo Benelli, vice segretario di Stato della Santa Sede, che esprime la «grave preoccupazione sua e del Papa per la riuscita campagna della sinistra internazionale, che rappresenta in modo completamente falso la realtà della situazione cilena». Benelli bolla le “esagerazioni” della stampa come «probabilmente il più grande successo della propaganda comunista, sottolineando che perfino i circoli conservatori e moderati sembrano piuttosto disposti a credere alle più grosse bugie sugli eccessi della giunta cilena». Né sembra venirgli il dubbio che le informazioni in possesso della Santa Sede possano essere incomplete, se non inattendibili. Lui si basa su quanto gli riferiscono il cardinale di Santiago, Silva e l’episcopato cileno, secondo i quali Pinochet e i suoi militari «stanno facendo ogni sforzo per riportare la situazione alla normalità». Quanto Silva è al di sopra di ogni sospetto, essendo un noto progressista.
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Presto, però, Silva si rende conto che i disumani abusi della giunta non sono affatto frutto della propaganda comunista e all’inizio del 1974 comincia il braccio di ferro per l’università cattolica di Saint George gestita dall’Ordine della Santa Croce. I militari ne vogliono assumere il controllo, le gerarchie cattoliche locali si oppongono, cercando di rassicurare Pinochet che «I sacerdoti le cui attività hanno portato a dei contrasti con il governo del Cile non operano più nel Paese e l’Ordine della Santa Croce è pronto a inviare altri preti per rimpiazzare quelli che sono partiti». Il braccio di ferro va avanti a lungo. Solo la paura di uno scontro aperto con il Vaticano sembra portare Pinochet al tavolo delle trattative con i prelati.
Ma la voce del Vaticano è flebile. Mentre tante nazioni condannano apertamente gli abusi e l’Italia non ha fatto rientrare il suo ambasciatore a Santiago «come forma di protesta con le inumane politiche dei leader cileni», la Santa Sede evita ogni scontro frontale e uscita pubblica. E se parla, lo fa usando i suoi codici criptici, come rilevano gli americani nelle loro corrispondenze diplomatiche. Tre anni dopo il colpo di stato, l’isolamento del Cile è fortissimo, l’Inghilterra ha «rumorosamente ritirato il suo ambasciatore dal Paese», perfino «il governo americano non può essere annoverato tra quelli che supportano il Cile», ma il Vaticano è ancora lì, con la sua «pressione esercitata con discrezione».
La discrezione è utile alla Santa Sede anche per trattare con il dittatore spagnolo Francisco Franco. E’ il novembre del 1973, le notizie sul Cile fanno il giro del mondo. E in Spagna il regime di Franco è agli sgoccioli (il Caudillo muore due anni dopo). Il Vaticano vuole rivedere il Concordato firmato nel 1953 con Franco. Da una parte desidera farlo perché convinto che «le possibilità di ottenere condizioni migliori dopo la morte di Franco sembrano più remote », dall’altra però vuole muoversi senza suscitare clamori. L’arcivescovo Casaroli vola in Spagna, sperando in un incontro con il regime spagnolo, ma appena arriva, viene ricevuto in pompa magna, con «una scorta di automobili con le bandiere». Ritornato a Roma, è ancora più indispettito dagli articoli della stampa di Madrid che pubblicizzano la sua visita. A quel punto chiama un ministro spagnolo e protesta per «l’oltraggiosa violazione delle assicurazioni ricevute dal governo spagnolo di mantenere un basso profilo».