Il Tar del Lazio respinge il ricorso del pm magistrato contro la sua esclusione alla Dna
di Lorenzo Baldo
Ha il volto di Giuda Iscariota. La decisione dei giudici amministrativi ricalca esattamente quell’espressione. Il tradimento che si consuma oggi a suon di carte bollate vale molto di più di 30 denari. Questa volta, però, non si tradisce un amico, ma il senso stesso della giustizia, nel nome del più becero “status quo”. Andiamo per ordine. Nel tardo pomeriggio di ieri è giunta la notizia che il Tar del Lazio ha respinto il ricorso del pm di Palermo Nino Di Matteo contro la delibera con cui, l’8 aprile del 2015, il Csm aveva nominato i pm Eugenia Pontassuglia, Salvatore Dolce e Marco Del Gaudio alla Direzione Nazionale Antimafia, escludendo il magistrato dalla rosa dei nomi. Nella sentenza depositata ieri i giudici amministrativi hanno osservato che “la particolare oggettiva valenza del curriculum del ricorrente (Di Matteo, ndr) non è stata né ignorata né sottovalutata” dal Palazzo dei Marescialli “ma più semplicemente è risultata recessiva nel confronto con i designati, a favore dei quali ha militato, quanto all’attitudine specifica, oltre all’esperienza approfondita in materia di lotta alla criminalità organizzata da essi maturata, la spiccata attitudine al lavoro di gruppo e la pluralità di esperienze professionali svolte in funzioni e settori diversi di attività giudiziari”. Chiusa la faccenda: Di Matteo può rimanere a vita alla Procura di Palermo dove continuerà a barcamenarsi tra fascicoli su balconi abusivi e liti condominiali), e nel tempo perso potrà occuparsi del processo sulla trattativa. Cosa che per il suo Capo evidentemente non è così anomala, visto che a suo dire quel procedimento potrà terminare tranquillamente nell’arco di alcuni mesi.
A nulla è valso quindi il ricorso presentato dai legali del magistrato, Mario Serio e Giuseppe Naccarato, nel quale era stata elencata minuziosamente la “sistematica, algebricamente calcolata e calibrata sottovalutazione dell’ineccepibile e solidissimo profilo professionale del ricorrente”.
La condanna a morte nei confronti del pm Di Matteo da parte di Riina? E chissenefrega! Il tritolo per il suo attentato nascosto a Palermo che ancora non si trova? Ma lasciamo stare, magari nemmeno esiste! La direttiva di ucciderlo pervenuta da ambienti esterni a Cosa Nostra? Balle! E le sue richieste di avanzamento di carriera costantemente bocciate? Cavoli suoi, significa che non ha i titoli per andare avanti! C’è bisogno di continuare? Evidentemente no. La strategia dello stillicidio quotidiano attraverso una guerra silenziosa senza piombo – ma che spiana la strada per le peggiori ipotesi – sta ottenendo i risultati sperati: lo sfiancamento e l’annichilimento del diretto interessato. La carriera di Nino Di Matteo è costellata di ripetuti attacchi nei suoi confronti da più fronti: politico-istituzionale-mediatico, ma soprattutto “dall’interno” della sua stessa categoria. Una volta di più è caduto quindi quel brandello di maschera che era rimasto lasciando così intravedere il volto cinico e spregiudicato di un vero e proprio potere: una casta che si protegge dai “corpi estranei”.
Più volte abbiamo scritto che in un altro Paese non si assisterebbe ad uno scempio simile: il magistrato più protetto d’Italia isolato, delegittimato e depotenziato al punto da compromettere il suo lavoro in un processo delicatissimo che lo Stato non vuole. Certo è che le massime autorità del nostro Paese hanno letteralmente il terrore che escano fuori verità drammatiche su quelle stragi nelle quali mafia e terrorismo sono stati solo il braccio armato di uno Stato criminale.
Altrettante volte abbiamo scritto che l’assordante silenzio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incapace di dire una sola parola di solidarietà nei confronti di Nino Di Matteo (o di prendere una posizione in suo favore da Presidente del Csm), stride ancora di più di quello del suo predecessore, in quanto fratello di una vittima di mafia. Sui silenzi del Premier Renzi c’è poco da raccontare visto il personaggio – che si commenta da solo per la sua opera di smantellamento della Costituzione – in pieno delirio di onnipotenza. Questa volta non c’è altro da aggiungere: lo Stato ha scelto definitivamente da che parte stare mettendo all’angolo uno dei suoi più fedeli servitori. Che ha il sacrosanto diritto di salvarsi la vita uscendo da questo pericolosissimo vicolo cieco in cui è stato cacciato dai tanti traditori che indossano la sua stessa toga, e non solo. Questo Paese non merita magistrati simili, non merita uomini integerrimi che sacrificano la propria vita per una causa di giustizia. Questo Paese sta facendo di tutto per finire (se già non lo ha fatto) nelle liste degli “stati canaglia” del terzo mondo: cronaca di una morte annunciata. Che rischia di trascinare con sé i pochi giusti che ancora si ostinano a lottare per una società libera dal ricatto politico-mafioso. La protesta e l’indignazione sono ancora insufficienti per arrestare questo processo, serve una presa di coscienza maggiore da parte di quella società, che si definisce “civile”, che possa scuotere le menti di coloro che vogliono annientare la vita e il lavoro di uomini come Di Matteo.
Nel corso dei secoli il disprezzo del genere umano si è riversato, poderoso, verso Giuda Iscariota, colpevole del tradimento più alto. E in quel contesto la responsabilità del popolo è stata ai massimi livelli. Così come lo è oggi. Quello stesso disprezzo è destinato a chi in questi tempi ha contribuito con azioni, e omissioni, a uccidere moralmente, giorno dopo giorno, un uomo di Stato. Che questo stesso Stato intende offrire come capro espiatorio.
09 Luglio 2016