Il compagno Vittorio Moioli ci ha chiesto di poter rendere divulgabile sul sito il suo lavoro di analisi sulla “sinistra” politica.
Cosa che abbiamo molto gradito ed, anzi, approfittando delle feste inseriamo i due volumi del libro (che troverete in fondo) il giorno di Natale come dono a chi volesse approfondire un tema importante come quello della propria identità politica partendo dall’analisi dettagliatissima fatta in “Incoerenze e “buchi neri” della sinistra“.
Un libro, indubbiamente, voluminoso che non ci potrà lasciare indifferenti.
MOWA
La premessa al libro dell’autore Vittorio Moioli
In origine, questo scritto è stato concepito come esigenza di ripensare la mia esperienza, in qualità di militante di sinistra ormai in stato di vecchiaia e afflitto dalle delusioni politiche, e stendere un bilancio esistenziale. Nel procedere alla sua stesura è però maturata in me la convinzione che, oltre che servire a un tale scopo, le annotazioni e le considerazioni che stavo accumulando avrebbero potuto rappresentare motivo di riflessione critica sulla storia del movimento operaio anche per altri; e costituire così un contributo alla comprensione della crisi che ha investito la sinistra. Pur consapevole di dover fare i conti con l’affievolirsi della disponibilità al confronto, al dilagare nello stesso mondo della sinistra di un disinteresse per la memoria storica e sapendo di rivolgermi a una platea assai limitata di interlocutori, non mi sono perso d’animo e ho curato al meglio contenuto e forma.
Ciò che è sortito è l’apologo di un combattente sconfitto testardamente interessato a individuare le cause dell’insuccesso dello schieramento cui è appartenuto.
Sicuramente, agli occhi di qualcuno fra coloro che avranno la curiosità e il coraggio di visionarlo, potrò apparire un “patetico rottame” intento a “disseppellire il cadavere del comunismo”, come amano sentenziare pomposamente i servitori del pensiero unico. Io, invece, mi sento orgoglioso di essere stato e di continuare a essere comunista e porto vanto del mio passato, seppure mi sia risultato denso di tribolazioni.
A portare a termine questo lavoro che ha comportato un notevole impegno di ricerca, mi ha sorretto il convincimento che le teorie dei padri del socialismo scientifico sono ancora in larga parte da interpretare, non certo da ripudiare come hanno fatto in molti, giacché la loro validità e giustezza trovano conferma proprio in quegli stessi eventi che hanno determinato il fallimento del socialismo reale. E mi ha pure sollecitato la persuasione che il tanto decantato sistema capitalistico sia ormai entrato in una fase storica in cui le sue contraddizioni rischiano di esplodere mettendo in forse le sorti della stessa umanità; pertanto la prospettiva di una società fondata sull’uguaglianza e sulla solidarietà risulta più che mai fattibile e necessaria. Il capitalismo, come ci ha insegnato Marx, non è eterno e – se almeno l’umanità non deciderà di autodistruggersi – sarà inevitabile che ad esso succeda un altro sistema sociale. Che questa nuova società corrisponda o meno a quel disegno di “socialismo” o di “comunismo” che i nostri padri e noi stessi abbiamo immaginato e sognato, ha per me un’importanza secondaria. Come si definirà nominalmente questo sistema, poco mi interessa, ciò a cui attribuisco importanza è la sostanza. Conta per me il fatto che nel futuro sistema lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo tenderà necessariamente a essere superato e l’economia non sarà più, di fatto, la regolatrice dei rapporti sociali come avviene oggi; ad avere il sopravvento saranno una nuova etica, un nuovo diritto, un nuovo sistema di convivenza sociale. Una simile prospettiva, però, non può cadere dal cielo, ma deve essere costruita dall’uomo. Ecco allora il senso di questo mio contributo!
Non sono né uno storico né uno storiografo, anzi, sono un sociologo mancato, e ho affrontato questo studio dell’evoluzione del movimento operaio e della sinistra certamente anche per interesse culturale, ma soprattutto per dare senso a un’appartenenza che oggi viene considerata da molti come una scelta inopportuna, quando non addirittura da disprezzare, e per contribuire ad accrescere le sue potenzialità.
Mi sento perciò solidale con tutti coloro che hanno deciso di non arrendersi di fronte all’effimera rivincita delle forze conservatrici e del pensiero unico e di continuare a lottare per il cambiamento progressista. E’ ad essi che affido questo mio lavoro.
Il mio proposito è stato quello di procedere alla ricostruzione degli eventi che hanno investito il movimento sociale e politico della sinistra con l’obiettivo di individuare le ragioni che hanno determinato la crisi e la sconfitta del progetto socialista. E l’ho fatto sentendomi sulle spalle la responsabilità per il mancato conseguimento di molti degli obiettivi che ci eravamo posti come movimento. Pur convinto di avere dedicato il massimo delle mie possibilità alla causa dell’emancipazione delle classi subalterne e di aver agito sempre in buona fede, non mi riesce di perdonare a me stesso le tante insufficienze e incomprensioni che hanno caratterizzato il mio agire e i tanti errori che, riesaminando il mio passato, mi sono reso conto di aver compiuto. Solo in tarda età, infatti, ho avvertito quanto grande sia stato l’errore nell’aver sottovalutato l’importanza della conoscenza nel “far politica”, nel non aver preso lezioni dalla storia, nel non aver meditato a sufficienza prima di agire, nel non aver contrastato con forza le presunzioni, gli opportunismi, i narcisismi che albergavano, e che purtroppo continuano paradossalmente a permanere, negli ambienti e nei soggetti di quelle stesse formazioni che si sono proposte di imporre un nuovo corso all’umanità. Ho capito troppo tardi, ahimé, che per modificare l’uomo e la società, più dei discorsi vale l’azione consapevole, paziente e coerente.
Purtroppo, a questi postulati non sempre sono stato ligio. La mia vita politica, del resto, è stata costantemente segnata da strappi, da rotture, da insoddisfazioni che hanno rappresentato motivo di turbamento, quando non di vero e proprio trauma, e questo ha senz’altro contribuito a complicarmi l’esistenza e compromettere la mia stessa serenità intellettuale.
Ho voluto, in sostanza, indagare il passato allo scopo di comprendere il presente e contribuire a determinare il futuro. Per questa ragione ho escluso qualsiasi lettura celebrativa o speculativa della storia.
L’ansia di individuare le insufficienze e le contraddizioni della sinistra, mi ha costretto a una severità di giudizio che a qualcuno potrà risultare un’inutile accanimento critico. Mi consola ricordare che Marx, a chi polemizzava con lui per aver criticato i rivoluzionari tedeschi, rispondeva: “Il nostro compito consiste in una critica inesorabile e diretta anche più contro i nostri cosiddetti ‘amici’ che contro i nemici dichiarati”. Le mie riflessioni critiche vogliono essere appunto un’utile provocazione alla sinistra perché approfondisca l’analisi e affini l’elaborazione.
Al lettore desidero chiarire preventivamente il significato che, nello stendere queste mie riflessioni, attribuisco al “racconto storico” e al termine “sinistra”, in modo che non insorgano equivoci sul mio pensiero.
Contrariamente a quel che siamo stati indotti a credere, una lettura neutrale della storia non è concepibile. Non esiste descrizione storica che non poggi su una teoria più o meno consapevole e di natura ideologica o pseudo filosofica o filosofica. Non esistono verità monolitiche, ma solo punti di vista che sono determinati da precisi interessi. Ogni studioso nella lettura della storia mette dentro qualcosa di sé in base alla sua concezione del mondo e dei rapporti sociali. Non è un caso che la storia venga scritta e riscritta da ogni generazione secondo i bisogni e il senso comune della propria epoca. Io non faccio eccezione a questa regola e nel rileggere il passato mi colloco da una parte precisa, sposo gli interessi e le aspirazioni delle classi subalterne, degli sfruttati.
Noi tutti, poi, siamo stati educati sin da bambini ad apprendere la storia come opera dei capi, dei governanti, mentre le grandi masse dei governati sono sempre state poste nell’ombra, salvo che nei momenti insurrezionali. E quando ad esse si è prestata attenzione, ad essere prese in considerazione sono state le maggioranze, mentre alle minoranze è sempre stato dato scarso peso. Nei libri di storia si parla, infatti, soprattutto dei vincitori, mentre ai vinti viene riservato poco spazio. Eppure, a dare impulso al cambiamento, di norma, non sono stati i capi o le maggioranze, questi, quando hanno assunto ruoli progressisti, hanno avuto esclusivamente una funzione esecutiva.
Purtroppo di questo schema sono prigioniero io stesso, per eredità culturale, e proprio perché sono consapevole di disattendere al criterio dell’obiettività, mi sono sforzato di prestare più attenzione alla sfera sociale, alle minoranze appunto, che quasi sempre sono risultate essere i veri soggetti protagonisti dell’innovazione e dell’evoluzione.
Come insegnano i padri del socialismo, ho cercato anche di mettermi nei panni di chi è vissuto nel passato e di comprendere le ragioni delle loro azioni, evitando di valutare il loro operato con l’etica del nostro tempo. Lungi da me, dunque, l’idea di ergermi a giudice.
Un’altra tara che contraddistingue questo scritto è la visione eurocentrica della storia, vizio che purtroppo fa parte anch’esso della mia formazione politico-intellettuale e che contrassegna la stessa cultura della sinistra occidentale.
Per tutti questi limiti e difetti chiedo scusa e confido nella comprensione del lettore.
Nel mio racconto uso il termine “sinistra” per indicare un universo che non è affatto un’unica identità, bensì un mondo variegato e complesso, assai difficile da portare a sintesi, proprio perché denso di differenziazioni e addirittura di contraddizioni. E’ questo un dato non solo dei giorni nostri, ma che ha dimensioni storiche. Oggi, a seguito del fallimento del socialismo reale, le distinzioni e le conflittualità intestine a questo mondo si sono moltiplicate, al punto che non solo l’esortazione marx-engelsiana “proletari di tutto il mondo, unitevi!” appare anacronistica, ma la confusione che regna fa apparire verosimile la tesi secondo cui la distinzione tra “destra” e “sinistra” non avrebbe più alcun senso.
Poiché storicamente il termine “destra” ha significato conservazione, mentre il termine “sinistra” ha significato progresso; poiché gli stessi cultori del moderno liberismo ammettono che essere di destra significa “fare il bene per sé”, mentre essere di sinistra vuol dire “fare il bene per gli altri”, rifiuto la tesi (anche sulla scorta di come va effettivamente il mondo) secondo cui la separazione del genere umano tra chi lotta per lo status quo e chi per far progredire la società sia ormai superata.
Uso il termine “sinistra” per indicare non la sola espressione politica, non semplicemente le élite che si definiscono progressiste, ma con esse le componenti sociali alle quali fanno riferimento, unitamente alle istanze materiali e alle aspirazioni di progresso, di libertà, di uguaglianza sociale, di solidarietà che storicamente contraddistinguono questo mondo e che tutt’oggi sono vive nel tessuto della società civile.
Sotto la crosta della confusione ideologica che si è venuta creando a riguardo dell’identità della sinistra, vedo agitarsi un bisogno di cambiamento e di progresso che non può e non deve essere assolutamente ignorato e nemmeno sottovalutato. Ed è proprio questo insieme di spezzoni di aggregazione sociale e politica, di istanze e di aspirazioni che intendo per “sinistra”, giacché costituiscono il potenziale odierno del cambiamento e la continuità con le lotte del passato. Ieri la sinistra era costituita essenzialmente dai proletari e dai contadini poveri, oggi essa è rappresentata da una varietà di figure sociali il cui comun denominatore è l’essere subordinate ai moderni processi di sfruttamento e di emarginazione del capitale. Soggetto dell’alternativa, dunque, non è più la sola classe operaia, ma anche ampi settori di quella che ieri era considerata classe media e che oggi è investita da un moderno processo di proletarizzazione. Ad avvertire dunque il bisogno di cambiare lo stato di cose presente, oggi, siamo molto più numerosi dei socialisti di un secolo e mezzo fa e questo dovrebbe incoraggiare la nostra azione.
Ho diviso questo lavoro in tre parti: la prima è costituita da una cronologia degli avvenimenti storici; la seconda da una mia interpretazione di alcuni momenti della storia del movimento operaio e della sinistra e da qualche commento sui teorici del socialismo; la terza da considerazioni sparse sui limiti teorici e pratici della sinistra e sulle sue prospettive. Ho anteposto al mio ragionamento la cronologia degli avvenimenti nell’intento di offrire al lettore la possibilità di farsi una propria idea degli avvenimenti prima ancora di prendere visione della mia esposizione. Questo perché considero decisiva ai fini di un confronto di opinioni l’acquisizione di una propria autonomia di giudizio.
La struttura del testo ha una relativa organicità e più che di un saggio ha le caratteristiche di uno zibaldone. Si tratta, infatti, di un assemblaggio di annotazioni, commenti, osservazioni, considerazioni che ho raccolto nel corso degli anni attraverso la lettura e il confronto con compagni e amici. Ho preso in prestito concetti, pensieri, giudizi e commenti e li ho inseriti nel testo facendoli miei. Come dice un antico aforisma, sono salito sulle spalle di coloro che mi hanno preceduto nell’analisi e nella riflessione per tentare di vedere ancora più lontano.
Con l’auspicio che questo mio lavoro possa servire alla causa, mi auguro che venga meno il bisogno di mettere in circolo lavori come questo. Lenin soleva dire che “è più piacevole e più utile fare l’esperienza di una rivoluzione che non scrivere su di essa” e aveva ragione.
Settembre 2014
Il libro è diviso in due volumi:
Il primo è scaricabile versione pdf —> Vittorio Moioli Incoerenze e “buchi neri” della sinistra
Il secondo è scaricabile versione pdf —> Vittorio Moioli Incoerenze e “buchi neri” della sinistra vol 2
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