di Antonio Gramsci
Questo compito di dire sul muso a tanta illustre gente dure ed amare verità, di sorpassare il coro
delle voci plaudenti con la nostra, indicante senza tregua contraddizioni e sciocchezze, è
generalmente grato al nostro spirito; non oggi, che della intellettualità di Ernesto Bertarelli non ci
aspettavamo un cosí totale naufragio. Insistiamo, anche se lo sforzo è vano, perché se da codesto
torrente di parole, da codesto flusso di vecchi e falsi concetti non ci salva la guerra, maestra di
austerità, quale scampo può esserci?
«Ai tedeschi la natura ha negato le belle donne, perciò essi violentano la bellezza…» Testuale!
La sala è molto calda, l’oratoria non eccessivamente affascinante, la frase risuona e sembra che
l’onda declamatoria svanendo susciti agli occhi semichiusi una teoria di immagini. Oh, dolci
fanciulle dai capelli d’oro, dai profondi occhi cerulei, incedenti nelle vaste solenni navate delle
cattedrali gotiche che al ciel lunghe levando marmoree braccia pregano il Signore…
La natura ha negato…? Ma nella scienza positiva che è la natura? Bellezza? Ma se al Bertarelli
non piacciono le donne tedesche e preferisce le giapponesi, è proprio stabilito che ciò sia
obbligatorio per ogni suddito della quadruplice?
«Roma legava il vinto cosí da farlo solidale nel mese e fratello nell’anno…» Testuale!
Ma, per Iddio, Arminio difendeva la sua patria che il tallone romano voleva schiacciare, e
Vercingetorige, seguente incatenato il carro dei trionfatore, è piú grande, o signori avvocati del
Belgio, di Cesare rosso del sangue di migliaia di Galli, incendiatore di città, devastatore di intiere
regioni. Avesse almeno insegnato Corradino al suo allievo del liceo Gioberti che occorsero diecine
di anni e battaglie ed assedi e carneficine per togliere ai Belgi la loro libertà anche quando gli
invasori furono i Romani!
E poiché cosi si fa la scienza e la storia, un qualsiasi rappresentante della élite intellettuale e
colta che gremiva il salone Ghersi, può gridare: «Il Manouba ce l’hanno mandato i tedeschi!»
Esco, e poiché merito una ricompensa per la fatica compiuta in omaggio al dovere giornalistico,
posso leggere in Romain Rolland:
L’intellettuale vive troppo nel regno delle ombre, nel regno delle idee… Fate che sopraggiunga
una passione collettiva, l’intellettuale si accecherà completamente; la passione si adagerà nella
concezione che può meglio servirle, e le trasfonderà il suo sangue: e quella la magnificherà. E non
rimane piú nell’uomo che un fantasma del suo spirito nel quale sono associati il delirio del suo cuore
e quello del suo pensiero. È perciò che gli intellettuali, nella crisi attuale, non solamente sono stati
piú degli altri esposti al contagio bellico, ma hanno contribuito prodigiosamente a diffonderlo.
Aggiungo (è la loro punizione) che essi ne sono le piú grandi vittime, poiché mentre gli uomini
comuni esposti all’azione incessante della loro esperienza e della vita d’ogni giorno, si cambiano con
esso e lo fanno senza rimorsi, gli intellettuali sono legati alla logica del loro pensiero, e ognuno dei
propri scritti è per loro un legame di piú…
Il vero intellettuale., il vero intelligente, è chi non fa di sé e del proprio ideale il centro
dell’universo: chi, guardandosi attorno, vede, come nel cielo i fiotti della Via Lattea, i milioni di
piccole fiamme che scorrono con la sua, e non cerca di assorbirle né di imporre loro la sua strada,
ma di compenetrare religiosamente della necessità di tutte, della sorgente comune del fuoco che le
alimenta.
Ma ce ne sono di veri intellettuali mentre la guerra dura?
Non è forse Romain Rolland un solitario, un esiliato, un calunniato?
Ernesto Bertarelli non vorrà rispondere…
(11 gennaio 1916).
(da: Sotto la mole)