di Angelo Ruggeri
“Non aspirare a una attualità immediata in senso cronachistico ma mirare ad un altro tipo di attualità ossia aderente ai problemi più urgenti e vitali, di fase” ( A. Gramsci).
Far sempre vivere la leniniana “analisi concreta della situazione concreta” e la gramsciana “dialettica pessimismo della ragione e ottimismo della volontà” : il recupero della democrazia sociale e politica nazionale e continentale può essere ritardato ma non evitato, in quanto l’INDEBOLIMENTO A BREVE DEI LAVORATORI SUL MERCATO NON COMPENSA E STRIDE CON LA LORO PERDURANTE FORZA NEL PROCESSO PRODUTTIVO E, DUNQUE, LA POSSIBILE E PREVEDIBILE, NEL MEDIO PERIODO, RIAGGREGAZIONE NAZIONALE E CONTINENTALE DELL FORZA DELLE DIVERSE FIGURE PROLETARIE E LAVORATRICI, nonché etniche, di genere e di età.
1. SOVRANISMO COSTITUZIONALE INTERNAZIONALISTA
Dopo le 27 elezioni nazionali per il parlamento europeo, parlamento e governo nazionale restano limitati nei loro margini di manovra dai rigidi trattati ordoliberisti che – subordinando alle norme mercantiliste l’intera nostra Costituzione di democrazia sociale e non di mercato- conservatori e ‘riformisti’ da Maastricht in poi hanno imposto a tutta la UE, si che ora, oltre al tradizionale deficit di democrazia, “vive” un’impasse causata dai limiti che i trattati pongono ad un allentamento delle famigerate politiche di austerity, contro cui si esprimono i popoli.
Donde che per cambiare e ampliare notevolmente la quantità di risorse e gli indirizzi politici per favorire le classi finora ignorate e punite dalla Europa UE, serve recuperare la sovranità della Costituzione e del Parlamento per rilanciare la sovranità costituzionale nazionale e internazionalista col rilancio, anche – e all’opposto delle istituzioni di diritto privato – di istituzioni di diritto pubblico e dei Principi e Valori della nostra Carta del ’48, “cancellati” dai Trattati UE. Per recuperare una sovranità costituzionale e internazionalista occorre in primis superare, battere, la classe borghese insediata nella “sinistra”, che vive crisi isteriche alla solo idea di rompere con la UE e che incapace di superare il feticismo dell’euro, sublima i timori della perdita dell’euro rifugiandosi in un inesistente umanesimo europeista, ovvero, come al tempo delle guerre umanitarie, in un astratto internazionalismo a qualunque costo economico e sociale, che viene fatto pagare a popoli e classi sociali deboli, dalla classe borghese di ‘sinistra’e di destra, unite dalla logica di classe.
Sappiamo bene quali classi sociali alto borghesi beneficiano maggiormente dell’Europa che ha cosi maturato un grande debito da saldare nei confronti delle classi popolari e proletarie la cui loro ostilità è pienamente giustificata ed è una ferita aperta nel pseudo internazionalismo europeista fin dai tempi di Maastricht. Solo superando la fantasia di una revisione dell’Euro che troverebbe il rifiuto categorico della Germania che ha sempre posto fin dall’inizio come condizione della sua partecipazione all’euro la difesa della propria ortodossia economica all’interno dei trattati, si che preferirebbe l’integrità coerente ai propri principi d’interesse nazionale alla permanenza dell’Unione; solo superando la chimera di “un altro euro”, di un c.d., “euro democratico” (sic), e un’Europa liberata dall’Euro potrà recuperare un legame con le classi popolari ricorrendo a misure concrete finanziarie di segno opposto a quelle sin quei perseguite. L’élite della borghesia di sinistra che si ritiene tanto intelligente mentre è in preda alla più sconcertante cecità politica e limitatezza culturale, deve essere costretta ad accettare o a subire il primato della sovranità della nostra Costituzione rispetto alla UE al prezzo di un cambiamento radicale di un internazionalismo fondato sull’unità tra i ceti di base e popolari dei vari Paesi e non più sul primato dell’internazionalismo del capitale burocratico-finanziario. L’Europa stessa e i suoi Paesi riacquisteranno i favori del popolo solo restituendogli tutto quanto gli hanno sino ad ora sottratto.: in particolare il fondamentale diritto democratico sociale garantito dalla propria Costituzione, rimuovendo la camicia di forza dell’euro e ristabilendo l’autodeterminazione sovrana di ogni corpo politico e istituzionale. L’internazionalismo dei popoli può sopravvivere solo in uno spazio internazionale liberato dal veleno liberista dell’attuale Europa e dall’euro che è la tomba di ogni speranza anche di chi non osa essere comunista e si dice solo “sinistra”.
2. INFO. LIBERISTA E GUERRAFONDAIA, LA NUOVA ‘CAPO’ DELLA FAMIGERTA COMMISSIONE UE
A fronte della necessità di recuperare un internazionalismo fondato sulla sovranità costituzionale, viceversa, la solita propaganda europeista si inventa come nemico di comodo sono i COSIDETTI “sovranisti” di destra (in verità nazionalisti che hanno smesso di attaccare l’Euro). Ma la baronessa Von der Leyen, sostenuta da borghesia liberista di destra e di sinistra, da conservatori e “riformisti”, è stata nominata a capo della Commissione UE, raccogliendo i voti contrari non solo della Lega (che ha affievolita la contrarietà all’euro…) ed affini.
Già ex ministro della difesa della Germania, la baronessa è stata eletta per il rotto della cuffia a causa della valanga di NO ricevuti soprattutto anche da gruppi socialisti e dalla cosiddetta “sinistra radicale”. La bocciatura più forte per la candidata della Merkel è venuta soprattutto dallo schieramento opposto a quello della destra cosiddetta “sovranista”.
Del resto la nuova capo della Commissione è in perfetta sintonia con i suoi predecessori, salvo un poco di chiacchiere elettorali sul “cretinismo” ambientale e una qualche timida parola sul salario minimo, che in concreto poi corrisponde alla proposta della Confindustria italiana.
La signora Von der Leyen è da sempre una fanatica del rigore e dell’austerità e su questo non ha espresso alcuna autocritica nel suo discorso. Persino il famigerato Juncker, suo predecessore, era stato molto più esplicito quando aveva asserito che con la Grecia si era esagerato. Silenzio invece dalla Von der Leyen su questo come sul resto delle politiche ordo-iper-liberiste della UE che hanno provocato e provocano uno stato di crisi permanente dell’Europa. La stessa Von der Leyen, come ministro della difesa aveva sostenuto le crescita della potenza militare della Germania e della UE, che per lei sono tutt’uno, sia tra di loro che con la NATO.
Non solo. La nuova ‘capo’ della Commissione UE è anche per un confronto sempre più duro e rischioso con la Russia e la Cina e per questo sostiene la guerra in Ucraina, la guerra del regime di Kiev contro le popolazioni del Donbass.
La signora Baronessa Von der Leyen è una liberista ed una guerrafondaia di centrodestra e questa è anche la maggioranza che l’ha eletta col sostegno della borghesia cosiddetta di “sinistra”. Sempre la stessa maggioranza che da sempre comanda nella UE, anzi che ha costruito le regole ed i trattati dell’Unione Europea a propria immagine e somiglianza.
Quindi è solo il minimo sindacale che chi ancora si considera formalmente “sinistra radicale” (nel senso che non sa essere ne qualificarsi come comunista ma solo non schierarsi con la destra di cui talvolta imita le politiche…: “sinistra” protesa a vestirsi di un anticomunismo “democratico”e che in molte sue parti, anziché di abolizione, parla di riforma dell’euro, viceversa, assolutamente irriformabile) si opponga alla nuova commissaria della UE ordo-liberista che unisce conservatori e ‘riformisti’ (socialdemocratici e c.d. socialisti): ovvero si opponga almeno minimamente a ciò che la UE ordo-liberista rappresenta e a chi sostiene l’euro e la Commissione UE che usa e alimenta la crisi con le politiche di austerità per portare avanti piani di valorizzazione del capitale e dei poteri del capitalismo burocratico finanziario, nonché potenziare la NATO organizzazione di guerra e di aggressività, che con la baronessa continueranno a far danni.
3. PER UN VERO PARTITO COMUNISTA
Superare la società di mercato dove è il mercato a plasmare l’ordine sociale e non viceversa e perseguire una giustizia sociale che è stata ridotta ad intervento finalizzato ad offrire ai ricchi la possibilità di una carità verso i poveri e i ceto meno ambienti, richiede forme partito adeguate, sociali e di massa, finalizzato alla trasformazione dei rapporti sociali e di produzione: in particolare forme partito quali quelle del partito comunista – come quella del P.C.I. – che, per la estensione e capillarità della sua struttura organizzata, per l’allargamento e l’arricchimento della sua base e composizione sociale, per il modo democratico di lavorare e di decidere, e, soprattutto, per la molteplicità dei suoi legami diretti con la classe operaia, con i lavoratori, con gli altri strati della società, diventa un partito comunista non più di ristrette avanguardie, non più iper-ideologizzato e iper-centralizzato e di piccoli gruppi di vertice, ma un partito democratico di massa, moderno e sociale: insomma, un P.C.I. che sia l’opposto di tutti quegli attuali gruppi di vertice – di piccoli organismi affatto di massa e affatto sociali – che usurpano il titolo di comunista o addirittura del “P.C.I.” (il cosiddetto “nuovo PCI).
Un partito che come il P.C.I. di Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer, rompe con gli schemi di un chiuso corporativismo di gruppo e un classismo corporativo, che respinge ogni posizione di massimalismo avventuristico e parolaio; che non vive di mitiche attese, che esige, nel presente, il lavoro per fare della classe operaia la guida di un grande movimento democratico e rivoluzionario, che lotta per una radicale trasformazione e radicale rinnovamento della vita nazionale e internazionale. Spingendo tutta la società nella direzione del socialismo… La democrazia stessa vive, si estende, si rafforza non solo per mezzo dell’opera di istituzioni democratiche-sociali, ma anche di quella di partiti democratici, in particolare quelli sociali di massa, entrambe ordinate all’attuazione e alla realizzazione dei principi e del programma e strategia della nostra Costituzione.
Ma non ci deve essere confusione: istituzioni e partiti devono muoversi lungo una correlata linea di sviluppo, e tuttavia rimanendo su piani distinti ancorché reciprocamente influenzati. Cosi Togliatti, a questo modo, aveva ripreso e portato avanti ed applicato quella distinzione tra stato e partito che il Gramsci dei Quaderni aveva già fatto oggetto di una sua indagine teorica. Questo di non essere un partito di occupazione dello stato (quale sono diventati altri partiti) è stato ed è un importantissimo tratto che differenzia, nella storia, le posizioni del P.C.I., quanto a concezione della politica e della democrazia, da quella di molti altri partiti (anche comunisti e operai), e costituisce un’altra innovazione che esso ha introdotto nella storia del movimento operaio e democratico e nella corrente ideologia comunista (codificata da Stalin), secondo la quale il Partito è la forma suprema (e in definitiva totalizzante) della politica, l’organismo che si pone sopra ogni altra espressione della società, sopra ogni istituzione, sopra lo stesso stato-comunità.
Qui in Italia poi proprio gli altri partiti che – rozzamente calunniando il P.C.I. – ignorando le reali posizioni dei comunisti italiani e la loro effettiva condotta, hanno concepito e vissuto il loro ruolo come “ruolo istituzionale”, di occupazione delle istituzioni e dello stato, ruolo che cosi lo hanno concepito e imposto di fatto in tutta la misura che è stato loro possibile.
Un ruolo di supplenza che nei partiti al governo e diventato via via di sostituzione, occupazione e spartizione dello stato e delle istituzioni, che ha finito col negare il ruolo proprio della politica e dei partiti come agenti di sviluppo di tutta la società e concretamente volti a guidare verso fini comuni in quanto necessari, indispensabili per la nazione e l’intera comunità umana, nazionale e internazionale. Indagare e ripercorrere la storia e il presente diacronico è condizione indispensabile per comprendere la realtà attuale in cui dominano parole e termini privi di concetti in quanto privi di contenuto storico…(continua)