Piero Orteca
La rappresaglia iraniana contro Israele, non ha avuto nessun serio significato militare. Ma ne ha avuti molti, invece, di tipo politico e strategico, tanto da sollevare dubbi, perplessità e inquietanti interrogativi. A partire dall’attacco abbondantemente preannunciato da Tehran.
Gigantesca tragicommedia
Le poche cose certe attorno alle ansie in cui è stato precipitato ingannevolmente il mondo, ci dicono di una gigantesca tragicommedia in cui ognuno ha recitato una parte assegnata, cercando di non superare i limiti che avrebbero portato a una guerra totale. Dunque, pare che sia andata così: per limitare possibili ritorsioni, gli ayatollah hanno chiesto ai turchi di avvisare la Casa Bianca, passandogli la lista di tutto quello che stavano per lanciare contro Israele. Droni, missili da crociera, vettori balistici e relativi bersagli. Gli americani hanno ringraziato, girando le informazioni a Tel Aviv e agli altri partner, raccomandando agli ayatollah «di non esagerare». Insomma, Biden sapeva pure l’orario di partenza dei missili iraniani e che non avrebbero colpito niente.
Polverone a nascondere cosa?
Ma tutto il polverone che è stato sollevato attorno a quest’ennesima crisi? Ogni protagonista con interessi diversi ad alimenta o soffocare lo scontro secondo le sue esigenze. L’Iran vuole dimostrare di essere l’unico Paese islamico che ha il coraggio di sfidare Tel Aviv, difendendo anche i palestinesi. È un pericoloso gioco d’azzardo, ma non va sottovalutato, perché la sfida che si combatte ha un’importanza geopolitica straordinaria. Dunque, gli ayatollah si sarebbero impegnati in un progetto ambizioso (ed esplosivo): spostare l’asse del consenso delle masse islamiche verso i «veri difensori della causa palestinese». Cioè, loro. Gli altri, «i Paesi sunniti moderati» (Arabia Saudita, Egitto, Marocco, Emirati, Giordania ecc,) sono considerati da gran parte della loro popolazioni ‘collusi con l’Occidente’.
Sembra addirittura che l’aviazione della Giordania abbia contribuito ad abbattere droni e missili che erano stati lanciati dall’Iran. In pratica, ha fatto fronte comune con gli israeliani, sotto le direttive del CENTCOM, il Comando Usa, che a quanto pare ha coordinato tutte le operazioni di intercettazione, al quale hanno partecipato anche inglesi e francesi.
Pentagono sempre anti Iran
Il Pentagono lavora da sempre a un progetto anti-Iran, che si basa su un consorzio di Paesi del Medio Oriente pronti a sviluppare una rete di difesa aerea. In un vertice svoltosi in Egitto, nel marzo del 2022, Israele aveva partecipato all’elaborazione di questo tipo di strategia, con Stati Uniti, Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Emirati e Bahrein. L’allora Ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, aveva coniato in quell’occasione il termine «Alleanza per la difesa aerea del Medio Oriente». L’organismo ha avuto il suo battesimo del fuoco proprio in occasione della rappresaglia iraniana di sabato mattina. La creazione di un asse ‘anti-Iran’, in fondo, è quello che stava cercando di ottenere Trump con gli «accordi di Abramo». Un progetto (per ora) fallito con i massacri di Hamas del 7 ottobre.
Rischio ‘troppo Netanyahu’
Dopo l’attacco al Consolato di Damasco, il governo di Netanyahu si era messo in una situazione difficile a livello internazionale: nemmeno i più stretti alleati avevano potuto giustificare un’azione del genere. Anche se, per la verità, gli Stati Uniti si erano limitati a dire che «non ne sapevano niente». Cosa decisamente strana, data la portata dell’attacco e le conseguenze che avrebbe potuto provocare. D’altro canto, erano stati proprio gli Usa a utilizzare la tecnica degli «omicidi mirati», per eliminare Qassam Soleimani, il mitico comandante iraniano delle Brigate Quds. Cioè, il braccio armato delle Guardie rivoluzionarie, che rifornisce e coordina tutta la galassia delle milizie sciite, che operano in Medio Oriente.
Ma qualcosa sta cambiando
Comunque sia, la rappresaglia iraniana ha rimescolato le carte, riavvicinando i regimi arabi moderati al fronte anti-iraniano. Anche se il quadro resta frammentato. Netanyahu ha un ‘bonus’ da giocare contro l’Iran, «una risposta alla risposta». Questa sola minaccia aumenta il suo potere contrattuale con Biden: Israele reagirà, ma non ha detto né quando e né come. Gli Stati Uniti hanno ‘chiesto’ agli israeliani di fermarsi qua. Ma molto dipenderà da come andranno le cose sugli altri fronti, oltre a Gaza. Il Libano del sud è già in ebollizione e la Cisgiordania sta per esplodere.
Alzare la tensione nel Golfo Persico, per Netanyahu sarebbe un modo per ricompattare l’America e l’Europa dietro di lui. E per gli ‘irriducibili’, che ormai sembrano dettare le scelte della teocrazia persiana, vorrebbe dire diventare gli unici reali difensori della cultura islamica davanti alle tentazioni dell’Occidente.
15 Aprile 2024