Soldati israeliani al confine con la Siria © LaPresse
Medio Oriente. Il bombardamento di domenica attribuito da un funzionario Usa all’aviazione israeliana: è la prima volta che lo Stato ebraico colpisce così lontano. Il consigliere per la sicurezza israeliano vola a Mosca e chiede il totale sgombero di forze filo-iraniane dal sud della Siria
Chiara Cruciati
Cinquantadue combattenti pro-Assad uccisi, di cui ventidue miliziani sciiti iracheni: è il bilancio del bombardamento aereo di domenica notte sulla base militare siriana di al-Hari, provincia di Deir Ezzor, al confine con l’Iraq.
Poco dopo il raid la tv di Stato siriana ha indicato come responsabili i jet della coalizione anti-Isis a guida Usa. Ma a stretto giro è arrivata la smentita americana e una diversa versione dei fatti: secondo un funzionario statunitense, l’attacco è stato opera dell’aviazione israeliana.
Tel Aviv segue la linea nota: non conferma né smentisce. Visti i precedenti interventi nel paese e i target (forze iraniane e uomini del movimento libanese Hezbollah), è più che probabile un coinvolgimento israeliano.
Soprattutto alla luce della strategia dello Stato ebraico in Siria e nella regione: ridurre al minimo l’influenza iraniana, attraverso attacchi diretti (ammonterebbero già a un centinaio le operazioni aeree israeliane in Siria, in questi anni di guerra regionale) e attraverso l’incessante pressione politica sull’amministrazione Trump, che sul dossier iraniano è particolarmente malleabile e disponibile a qualsiasi forma di conflitto più o meno occulto.
L’asticella, però, si è spostata ulteriormente in avanti: è la prima volta che i caccia israeliani colpiscono forze irachene e una zona lontana centinaia di chilometri dalle solite aree di intervento (il sud della Siria, Damasco, le province centro-occidentali di Hama e Homs). Una zona non scelta a caso, parte di quel corridoio sciita con cui Teheran si collega politicamente e militarmente all’Iraq, la Siria e il Libano di Hezbollah. È da qui che transitano combattenti e armi a sostegno di Assad.
Non sembrano dunque una coincidenza le dichiarazioni del premier israeliano Netanyahu, durante il consiglio dei ministri di domenica scorsa, poche ore prima dell’attacco: «Prenderemo delle misure, le stiamo già prendendo, contro i tentativi di stabilire una presenza militare dell’Iran e dei suoi proxy in Siria, sia lungo il confine che all’interno».
Risale a meno di un mese fa la pioggia di missili israeliani contro decine di siti militari siriani, rivendicato dal ministro della Difesa Lieberman che si vantava di aver distrutto buona parte delle infrastrutture iraniane nel paese.
E ieri il consigliere per la sicurezza israeliana, Meir Ben-Shabbat, volava in Russia per incontrare l’omologo Nikolai Patrushev e discutere della presenza iraniana in Siria. Le comunicazioni tra Mosca e Tel Aviv in merito sono sempre state costanti, il Cremlino da tempo rassicura il governo Netanyahu. Che però chiede di più: il totale sgombero di iraniani e filo-iraniani dai confini con Israele. Mosca sa di non poter rompere con Israele: un piano congiunto per il sud della Siria sarebbe già in fieri.
20.06.2018