di Saverio Lodato
Napolitano se ne è andato, ma rimane. L’Italia politica ha proclamato il lutto nazionale. I quotidiani che si riferiscono a un’opinione pubblica di sinistra, almeno quella che ne rimane, pubblicano editoriali e commenti a mezz’asta. I notisti del Quirinale, mentre si mettono alle tastiere dei p.c., in queste ore, hanno gli occhi lucidi.
“Je suis George”, sembrano sussurrare all’unisono.
E infatti segnalano che si è aperta una crepa, un vuoto incolmabile, l’inizio di una fase in cui niente sarà più come prima. Roosevelt? Truman? Churchill? De Gaulle? Hirohito? Siamo lì. E’ quella la categoria di appartenenza.
A noi, invece, è tornato alla memoria Bartleby lo scrivano, quel memorabile personaggio di un racconto di Melville che alla decisione del suo datore di lavoro, un avvocato newyorchese, di liberarsi definitivamente di lui, intimandogli lo sfratto dall’ufficio, rispondeva invariabilmente laconico: “Preferirei di no”. E tanto si ostinò che il suo datore di lavoro, esasperato, trasferì la sua attività da un‘altra parte lasciando che Bartleby vagasse come un fantasma fra le stanze del suo vecchio studio…
Napolitano, infatti, se ne va, ma non se ne va. Rimane senatore a vita, grande elettore del suo successore, oculato tessitore di quelle riforme che non ha visto tradotte in pratica sebbene si fosse concesso un discreto lasso di tempo – nove anni – in cabina di regia, e che, con il piglio dell’ultimatum, aveva squadernato davanti ai tre premier da lui voluti, Monti, Letta e Renzi, pur che non fosse restituita la parola agli elettori. Il che puntualmente è accaduto.
Ora che Napolitano se ne è andato, ma è rimasto, piangono in tanti. A parte i ragazzacci, alla Salvini o alla Grillo, tutti gli altri hanno accompagnato le amare lacrime con pensierini degni delle letterature di regime dei paesi dell’est: Resta. Non te ne andare. Ci mancherai. Sarai il nostro Punto di Riferimento. L’Italia è salva grazie a te. L’Italia si salverà grazie a te. E’ merito tuo se ci rispettano in Europa. Pianti, abbracci, e arrivederci.
Che la politica italiana fosse ormai alla canna del gas, si sapeva e nessuno ne fa più mistero. Che la cosa che sa fare meglio sia rubacchiare alla grande ce lo raccontano puntualmente le cronache. Ma assistere al teatrino di un esercito di “orfanelli” incapaci di immaginare il loro futuro senza che a guidarli sia la mano salda di un signore novantenne che gli faccia i compiti giorno per giorno, dovrebbe far riflettere.
Ma davvero senza Napolitano l’Italia non va da nessuna parte? Ma davvero l’unico statista espresso da questa classe politica dovevamo andarlo a pescare nell’almanacco di Gotha dell’Italia pre-industriale che precedette il boom economico? Ma davvero non avevamo altra scelta? Ora che Napolitano se ne è andato, ma non se ne va, perché ci viene inflitto un curriculum (leggere Scalfari per credere) in cui i pezzi forti dell’argenteria di Re Giorgio sono costituiti dall’attentato a Togliatti, dall’invasione dell’Ungheria, dalla destalinizzazione, dalla rivolta di Praga? Certi Grandi Vecchi di questo Paese forse, in certi casi, farebbero meglio a dimenticare, piuttosto che ritoccare l’archivio dei propri ricordi con il photoshop. Rischiano, altrimenti, di intristire le nuove generazioni.
Insomma: possibile che, nel terzo millennio, fosse impossibile un capo dello Stato-Italia un tantino meno Perpetuo? Comunque sia, così é.
C’è un altro aspetto, però, che emerge in questi giorni di lutto nazionale: la consapevolezza, che giovanissimi dirigenti PD sembrano urlare con dichiarazioni per metà spocchiose, per metà entusiaste, che il nuovo Capo dello Stato dovrà essere il risultato di un baratto con Silvio Berlusconi. E’ la legge del Nazareno, bellezza. E non puoi farci niente.
Quando da piccoli iniziammo a far politica, ci spiegavano che non erano accettabili crisi extraparlamentari, e che i governi dovessero nascere e cadere in Parlamento. Oggi – e nessuno sembra fare una piega, fatta eccezione per quella minoranza Pd che in altro articolo paragonai alla “sinistra Dc” che minacciava sempre tuoni e fulmini mentre in casa DC il cielo restava immancabilmente sereno – oggi, dicevo, siamo al paradosso che tutti sanno, tutti scrivono, tutti ripetono che magna pars del “Patto del Nazareno” è rappresentato dal profilo che dovrà avere il nuovo inquilino del Quirinale. Quale sia il profilo, Renzi lo svelerà quando il gioco di società delle nuove elezioni, avrà preso la piega che più gli garba. Nessuno, per il momento, osa chiedergli chiarimenti. Ma è un patto stipulato – ce lo si lasci ricordare en passant – fra un pregiudicato, Berlusconi, che pretende in cambio per i suoi servigi la piena agibilità politica, e un premier, Renzi, non eletto da nessuno, e che pur di restare dov’è, con il diavolo ci andrebbe pure in trattoria e salderebbe il conto per entrambi.
Ma come abbiamo già detto, sarà un Presidente Nazareno. Inutile farsi illusioni. E la sinistra di maggioranza, un attimo dopo, andrà far visita a Napolitano, che nel frattempo se ne è andato ma è rimasto, per chiedergli: “siamo andati bene questa volta? Ti siamo piaciuti?”.
Bartleby annuirà, finalmente compiaciuto.
15 gennaio 2015