Rafforzare la prevenzione e il controllo globale della desertificazione e, di pari passo, promuovere la costruzione di progetti capaci di garantire la sicurezza ecologica nazionale, così da assicurarne uno sviluppo sostenibile. La Cina continua a prestare la massima attenzione alla questione ambientale, e anzi, rilancia il suo impegno cercando di cooperare con altri Paesi in nome della comunità umana dal futuro condiviso. In termini generali, due sono i livelli nei quali è visibile il contributo offerto dalla Repubblica Popolare Cinese nella lotta contro la desertificazione: uno prettamente nazionale, relativo cioè alle azioni rivolte verso i territori cinesi, l’altro internazionale, ovvero inerente al mondo intero. In entrambi i casi, il problema è sempre lo stesso, la desertificazione (nota come il “cancro della Terra”), mentre le due dimensioni citate, quella nazionale e internazionale, sono tra loro strettamente connesse, visto che stiamo parlando di una sfida che riguarda l’intera comunità globale.
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Secondo le Nazioni Unite, dagli anni ’80 circa 500 milioni di persone hanno vissuto in aree degradate o desertificate. Un tempo tormentata dalla grave erosione del suolo e dalla sua salinizzazione, la Cina ha fatto passi da gigante nella lotta contro questo nefasto processo climatico-ambientale. In che modo? Attraverso il rimboschimento e promuovendo pratiche e politiche virtuose. Per capire la portata basta dare uno sguardo ai numeri della National Forestry and Grassland Administration, secondo cui, negli ultimi dieci anni, più della metà della terra desertica gestibile della Cina è stata ripristinata. Durante il periodo 2012-2022, inoltre, l’area di rimboschimento cumulativo del Paese ha raggiunto 960 milioni di mu (64 milioni di ettari), mentre sono stati migliorati 165 milioni di mu di prati e sono stati aggiunti o ripristinati più di 12 milioni di mu di zone umide. In termini concreti, il governo cinese è passato da incoraggiare le buone pratiche a coinvolgere la popolazione, fino all’attuazione di misure politiche. Giusto per fare un esempio, già nel 1979 la Repubblica Popolare Cinese aveva designato il 12 marzo come Giornata nazionale della piantagione degli alberi. Il risultato è che, tra il 1982 e il 2021, i cittadini ne hanno piantati volontariamente circa 78,1miliardi in tutto il Paese. I responsabili politici cinesi hanno poi lanciato vari progetti di inverdimento, mirando per lo più alle aree in cui i deserti minacciavano l’ambiente ecologico locale e riducevano lo spazio vitale delle persone.
Il Three-North Shelterbelt Forest Program (TSFP), un progetto di rimboschimento su larga scala, è un buon esempio. Lanciato nel 1978 e programmato per essere completato nel 2050, il progetto ha fin qui contribuito a salvaguardare i territori nel nord-ovest, nord e nord-est della Cina, frenando effettivamente l’espansione della desertificazione e dando vita ad una “Grande Muraglia verde”. Entro la fine del 2020 è stata designata e conservata un’area totale di rimboschimento pari a circa 31,74 milioni di ettari. Durante il periodo 2000-2017, la Cina ha così contribuito a un quarto dell’aumento dell’area globale di foglie verdi, tanto che il TSFP è stato definito un modello di successo per la governance ecologica globale. Possiamo poi citare la barriera a scacchiera di piglia, usata per fissare la sabbia e prevenire la desertificazione. Di origine sovietica, negli anni ’50, durante la costruzione della ferrovia Baotou-Lanzhou che attraversava il deserto del Tengger, l’esperto Petrov Mikhail Platonovich condivise la tecnologia di fissazione della sabbia precedentemente adottata durante la costruzione di una ferrovia nel deserto del Karakum, in Asia centrale. Sulla base di ciò, gli scienziati cinesi scoprirono che le scacchiere di paglia di circa 1 metro quadrato erano le più efficaci ed economiche. Questa tecnologia è quindi stata successivamente applicata a molte aree, ottenendo un grande successo.
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Tutto questo ha spinto la Cina a condividere la sua esperienza e le buone pratiche adottate con il resto del mondo, in particolare con i Paesi dell’Asia centrale che soffrono terribilmente la desertificazione. In Kazakistan, le foreste costituiscono solo l’11,2% del paesaggio complessivo e oltre la metà del territorio è soggetto a desertificazione e degrado. Gli scienziati dell’Istituto di ecologia e geografia dello Xinjiang (XIEG) dell’Accademia cinese delle scienze, dell’Università agrotecnica kazaka di Seifullin del Kazakistan e del Comitato per la silvicoltura e la fauna hanno lavorato insieme per costruire una barriera ecologica intorno ad Astana, la capitale del Kazakistan. “Abbiamo compiuto progressi tecnologici nel piantare alberi nella steppa e abbiamo superato condizioni sfavorevoli, come basse temperature, forti venti e terreno salino-alcalino. Abbiamo introdotto 32 piante resistenti allo stress in grado di adattarsi alle condizioni difficili e le abbiamo piantate nella base di riproduzione vegetale di 3,3 ettari. Abbiamo anche costruito una zona dimostrativa di 23 ettari ad Astana”, ha spiegato Wang Yongdong, ricercatore presso XIEG.
Il Kazakistan non è il solo a sperimentare un rapido aumento della desertificazione del paesaggio. Anche Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan stanno affrontando condizioni simili a causa dei cambiamenti climatici e del degrado del suolo. Il lago d’Aral, incastonato tra il Kazakistan e l’Uzbekistan, era un tempo il quarto lago più grande del mondo. Alla fine degli anni ’90, l’espansione dei terreni agricoli, l’aumento delle temperature e la mancanza di tecnologie per il risparmio idrico hanno fatto sì che il mare si restringesse a solo il 10% della sua superficie originale. Il fondale prosciugato è soggetto a tempeste di sabbia e polvere, che possono creare problemi in tutta l’Asia centrale. Da questo punto di vista, l’esperienza cinese nel controllo della desertificazione può essere applicata ai problemi ecologici che il lago d’Aral sta affrontando.
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In definitiva, una cooperazione come quella offerta dalla Cina consente di mitigare la desertificazione e il degrado del suolo, soprattutto nelle aree del mondo più afflitte da problematiche simili. Per gli scienziati, l’obiettivo finale del controllo della sabbia non consiste nell’eliminazione dei deserti, bensì nel trovare un modo per far vivere, in armonia, esseri umani e deserti. Nel frattempo, entro il 2025, secondo la National Forestry and Grassland Administration, la Cina avrà un totale di 2 milioni di ettari di terra desertificata sigillata per protezione, con oltre 6 milioni di ettari di terra sabbiosa trattata.
L’autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia
2023-06-08