Vivono tra le nuvole
di Giorgio Bongiovanni
Non ci sono molte parole per definire la decisione della Consulta sull’ergastolo ostativo che si è espressa riconoscendo il diritto alla concessione premiali anche per i condannati per fatti di mafia e terrorismo. Si tratta di un gravissimo errore di discernimento effettuato da chi dovrebbe avere coscienza e conoscenza di un fenomeno, come quello della criminalità organizzata in Italia, che è la più potente del mondo e che di fatto gestisce il traffico internazionale di stupefacenti e investe ingenti capitali nell’intera economia mondiale.
Già la Corte Ue dei diritti dell’uomo, le scorse settimane, si era espressa in maniera folle e delirante su questi argomenti. Una decisione certamente da non condividere ma prevedibile se si considera che, esclusa l’Italia, nessun altro Stato dell’Unione Europea prevede nel proprio ordinamento il reato di associazione mafiosa. Ma vedere organi altamente istituzionali come la Corte Costituzionale che si adeguano, calandosi le brache, a certi dettami europei è scandaloso quanto offensivo per tutti quei martiri, a cominciare da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che hanno lottato contro certi Sistemi criminali. La mafia non è un’organizzazione criminale come tante altre. E’ vero che la Consulta dice espressamente che il condannato debba dar piena prova di aver partecipato ad un percorso rieducativo dimostrando di non avere legami con l’associazione criminale, ma è fatto noto che per un membro attivo, affiliato a Cosa nostra, alla ‘Ndrangheta e alla Camorra, l’unico vero modo per rompere con il proprio passato è quello della collaborazione con la giustizia.
Ed è inoltre provato da decine e decine di indagini che i mafiosi che finiscono il proprio periodo di detenzione, una volta usciti, tornano esattamente ad occupare il posto che avevano in precedenza all’interno dell’organigramma mafioso. Anzi, addirittura lo fanno con un curriculum potenziato, proprio in virtù del silenzio mantenuto in carcere.
Tutti noi ricordiamo gli anni delle stragi così come la lunga sequela di dichiarazioni di pentiti che hanno raccontato proprio l’obiettivo di Cosa nostra (e non solo) di eliminare l’ergastolo ed il 41 bis dall’ordinamento giuridico italiano, ed anche riformare la legge sui collaboratori di giustizia. E ricordiamo anche le lettere proclama dal carcere di boss come Leoluca Bagarella (cognato di Riina) o le dichiarazioni dei fratelli Graviano che più volte nel corso della carcerazione hanno ragionato con ex sodali (Gaspare Spatuzza, ndr) o “dame di compagnia” (Umberto Adinolfi, ndr) della possibilità di parlare con i magistrati “se non arriva niente da dove deve arrivare”. Il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, intercettato in carcere, riferendosi a Berlusconi lo accusava di ingratitudine: “Pigliò le distanze e ha fatto il traditore… 25 anni fa mi sono seduto con te, giusto è?… Traditore… pezzo di crasto… ma vagli a dire com’è che sei al governo… Ti ho portato benessere. Poi… mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi… Dice: non lo faccio uscire più e sa che io non parlo perché sa il mio carattere e sa le mie capacità… Mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta… Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso… e tu mi stai facendo morire in galera…”.
Ventisette anni dopo le stragi la decisione della Consulta apre uno spiraglio ai mafiosi. E lo fa anche pilatescamente se si considera che l’ultima decisione spetterà ad un singolo giudice del Tribunale di Sorveglianza che di volta in volta dovrà adottare decisioni delicatissime.
L’ex Procuratore di Palermo, Leonardo Agueci, sul punto ha evidenziato proprio come vi sia il rischio di “pronunce contrastanti tra un giudice e l’altro sulla concreta valutazione dell’effettivo distacco dall’associazione mafiosa. Per cui vi saranno giudici più ‘buoni’ e giudici più ‘severi'”. “Tutto ciò – secondo il magistrato, oggi in pensione – non gioverà certamente alla percezione di giustizia della collettività e al rafforzamento della tenuta del sistema e porterà, invece, a una ulteriore esposizione pubblica dei magistrati, di volta in volta chiamati a decidere”.
C’è stato poi chi come il consigliere del Csm, Sebastiano Ardita, ha lanciato un allarme sul pericolo di “pressione delle organizzazioni mafiose sulla magistratura di sorveglianza”.
Senza ombra di dubbio la minaccia più grande, come ha detto ieri il pm Nino Di Matteo, altro consigliere del Csm commentando la decisione della Consulta sull’ergastolo ostativo, è che “si concretizzi uno degli obiettivi principali che la mafia stragista intendeva raggiungere con gli attentati degli anni ’92-’94”.
Il magistrato ha anche auspicato che la “politica sappia prontamente reagire e, sulla scia delle indicazioni della Corte costituzionale, approvi le modifiche normative necessarie ad evitare che le porte del carcere si aprano indiscriminatamente ai mafiosi e ai terroristi condannati all’ergastolo”. Interventi contrari ad un intervento sull’ergastolo ostativo vi sono stati anche da parte di magistrati come Gratteri, Caselli, Grasso ed una volta tanto anche quasi tutta la politica, dalle forze di maggioranza a quelle di opposizione, si è espressa in maniera critica sulla decisione.
Considerazioni più che condivisibili, che ne dicano il presidente dell’Unione camere penali Gian Domenico Caiazza ed il direttore di La7 Enrico Mentana. Quest’ultimo durante l’edizione serale del Tg di ieri, ha commentato le parole di Di Matteo in questi termini:
“In un Paese che si rispetti si rispetta una sentenza della Corte Costituzionale, soprattutto dai membri del Consiglio superiore della magistratura. Bianchi neri rossi che siano”.
Onestamente si fatica a comprendere dove, nell’intervento del magistrato, non vi sia il rispetto della sentenza nel momento in cui si auspica un intervento della politica comunque sulla “scia delle indicazioni della Corte Costituzionale”. Del resto già in queste settimane, dopo la decisione della Corte Ue, diversi magistrati avevano rappresentato i rischi che possono paventarsi andando a modificare la legge sull’ergastolo ostativo. E allora la sensazione è che si punta il dito contro Di Matteo per altri motivi che esulano dalla vicenda della sentenza della Consulta sull’ergastolo ostativo.
Ma oggi anche un altro ex magistrato come Alfonso Sabella, intervistato da “Il Fatto Quotidiano”, ha spiegato come “dal comunicato non è chiaro se sia il condannato che deve dimostrare che non ha collegamenti attuali con l’associazione criminale o se sia la magistratura che deve dimostrare l’esistenza attuale dei collegamenti”. E rispondendo ad una domanda specifica ha aggiunto: “Se dovesse essere la magistratura a dover dimostrare che i collegamenti esistono e sono ancora attuali, allora questa pronuncia spalancherebbe un’autostrada per i condannati. Sarebbe molto complicato dimostrare collegamenti attuali in relazione a soggetti magari sottoposti pure a regime speciale e che sono da decenni in carcere. Aspettiamo le motivazioni per capire se la Corte ha individuato l’onere della prova o se pone la questione al legislatore”.
Allora è vero, le sentenze si rispettano. Ma, al di là del ruolo che si detiene, è un diritto di ogni cittadino, e non solo del giornalista, quello di commentare le sentenze ed esprimere un parere critico. Questo accade in un Paese che si rispetti e Mentana dovrebbe saperlo.
24 Ottobre 2019