di Rita Pennarola
Se gli automobilisti partenopei pagano le tariffe più alte d’Europa per assicurare vetture e motorini devono dire grazie alla truffa diffusa dei tanti che vivono “sulle spalle” delle assicurazioni, addirittura indicando questo genere di entrate nei magri bilanci familiari. Si tratta di una storia vecchia ed arcinota, periodicamente portata alla luce da indagini della magistratura. Poi non se ne parla più e tutto continua come prima.
Napoli, come sempre, “ha fatto scuola”. Già, perche´ da qualche tempo (una ventina d’anni almeno o giù di lì), ad inventare danni, con tanto di certificati fasulli, e correre dinanzi a un giudice civile per lamentare le proprie insopportabili sofferenze, sono le presunte “vittime di diffamazione”. Una pletora di impostori sempre più affollata, che molto spesso riesce a spuntarla, per poi presentarsi con sentenze alla mano nelle redazioni impugnando decreti di pignoramento concessi in un battibaleno, magari dal got (giudice onorario, spesso avvocati) di turno.
Se poi non fosse bastata la lezione dei maestri falsari all’ombra del Vesuvio, a spingere i falsi diffamati ad emulare le gesta di Totò e Aldo Fabrizi in tipografia ci ha pensato la casistica giudiziaria inaugurata alla fine di Mani Pulite da Antonio Di Pietro che, per sua stessa ammissione, con le centinaia di migliaia di euro sottratti ai giornali attraverso cause di diffamazione ci ha costruito un impero: economico, oltre che politico.
E se l’ex Tonino nazionale ha provato l’amarezza di veder crollare tutto il suo potere politico proprio per mano di una giornalista (la bravissima Sabrina Giannini di Report), può consolarsi con le fortune economiche tutt’altro che disfatte («In cassa – scrive Il Giornale – ci sono 16,9 milioni di euro, di cui 4,5 sui conti correnti e 8 milioni in fondi di investimento bancari»).
Perciò, è ufficialmente aperta – e da tempo – la caccia ai soldi dei giornali. Cui in questi anni hanno attinto tutti: ex politici trombati, faccendieri accusati di reati terrificanti e alla fine miracolosamente assolti, magistrati colpiti nella loro verginità, banchieri, senatori per un giorno, escort catapultate in parlamento, e chi più ne ha più ne metta. Il risultato è sotto i nostri occhi. Non è solo la crisi economica ad aver ghigliottinato le redazioni, buttando in mezzo alla strada ormai decine di migliaia tra giornalisti ed altre maestranze. E non riguarda solo il trionfo delle praterie internettare, la falcidie di risorse e posti di lavoro che sta divorando il mondo dei media, comprese le tv. Se andiamo a fare due conti, scopriremo che la causa prima di questo disastro sono stati i risarcimenti da milioni e milioni di euro assegnati da sentenze civili ai diffamati, molto spesso fasulli. Un aggettivo leggermente sopra le righe vale dai 50 ai 70mila euro. Se poi hai rispettato alla lettera i tre requisiti della legge sulla stampa (che esiste ancora ed è in vigore, anche se molti got non fanno nemmeno la fatica di andare a leggerla prima di emettere la sentenza), se quindi esiste l’interesse pubblico, la notizia è vera ed è stata espressa con la dovuta continenza, beh, in questo caso non solo non scatta automaticamente la condanna per lite temeraria del diffamato truffaldino, ma anzi, spesso gli viene comunque riconosciuta una bella sommetta, in considerazione «del suo prestigio e della sua autorevolezza».
E’ così che nasce e prospera il racket delle diffamazioni, nuova forma di arricchimento illecito che non costa nulla e, soprattutto, non comporta alcuna conseguenza negativa per chi ci prova. Male che vada, ci ha rimesso solo le spese dell’avvocato amico. Ma ha pur sempre tentato la sorte, chiedendo due, trecentomila euro, o fino a un milione (tanto, anche quello non gli costa nulla), a chiunque abbia osato profferire il suo nome invano.
Lo abbiamo già scritto: il racket sa bene che si è passati dal giudizio per diffamazione a quello per lesa maestà. E’ come per il capo dello Stato: non devi pronunciare il suo nome. E basta.
Il racket, poi, è attrezzatissimo e, soprattutto, ha imparato per bene la lezione: memore dei suoi successi, oggi spesso non presenta subito la citazione, ma attraverso gli avvocati fa sapere in redazione che si potrebbe anche preventivamente trattare. Il mio cliente – dice il legale al telefono – è una persona molto generosa e liberale. Trentamila? Cinquantamila? Pensateci bene, vi conviene… Questo è il messaggio che viene sottilmente instillato dall’altro capo del filo.
Come vedete, in questo articolo non ci sono i nomi dei truffatori. Ma sono tutti compresi in un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura che alcune testate indipendenti stanno promuovendo per denunciare la truffa ai danni della democrazia.
16/07/2013