di Angelo Ruggeri
Fare una Costituzione significa fare una Costituzione formale, che ha un valore decisivo, come ben sapeva un Gramsci poco studiato, che non solo si interrogava sulla necessità di una Costituente, ma denunciava la “costituzione materiale” come “costituzione alla rovescia” da considerarsi “illegittima”. Tutti gli altri ignorando l’origine giuridica nazista e fascista della Costituzione materiale hanno più o meno accettato il terreno della Costituzione materiale portandoci alla necessità oggi di difendere la Costituzione formale dopo averla delegittimata o non considerata un terreno di lotta degno di essere considerato. L’importanza è quella di essere una decisione che formalizza, riconosce e sancisce nuove forme di potere derivate non astrattamente ma dal processo storico e sociale concreto. Proprio per consacrare questo significato della forma si ha una Costituzione rigida (dura da modificare) come la nostra.
Forma dello stato, principi fondamentali per la trasformazione dei rapporti sociali ed economici e forma di governo, in una concezione politica e sociale delle forme istituzionali, devono stare assieme, come stanno assieme nella Costituzione italiana. Se la forma dello stato è ciò a cui occorre rapportarsi per avere la forma del governo, in uno stato di democrazia sociale la forma non può che essere quella del governo parlamentare ma con caratteristiche completamente diverse delle forme di governo parlamentare liberale. Si chiama parlamentare per distinguerlo da quello presidenziale, ma la qualità del governo parlamentare in uno stato di democrazia sociale come quello definito dalla Costituzione italiana è completamente diverso.
Infatti il governo parlamentare delineato dalla Costituzione tende ad eliminare il carattere di primato del governo rispetto il Parlamento che è tipico dei regimi e delle costituzioni parlamentari liberali a cui si rifanno gli altri paesi europei.
Con linguaggio classificatorio rispetto al potere “duale” dei regimi liberali (governo del RE o del Presidente sopra, Parlamento sotto), la nostra Costituzione si definisce “monista”: nel senso che il rapporto tra sovranità popolare, parlamento e governo non deve trovare dualismi, ma deve trovare una coerenza di sviluppo dal basso fino al vertice. Un vertice di governo che non sia sovrapposto al popolo sovrano e al Parlamento, ma che sia finalmente un esecutivo che esegua la volontà popolare realizzando la sovranità del popolo in una coerenza istituzionale che recepisca la volontà e la pluralità della società, senza soluzione di continuità e sovrapposizioni di poteri dall’alto e gruppi di potere di vertice.
La Costituzione non arriva a rovesciare il primato del governo sul parlamento in primato del parlamento sul governo, ma li pone sullo stesso piano, alla pari, come governo parlamentare non perché formalmente il governo ha una base parlamentare come nei regimi liberali, ma perché il parlamento e il governo stanno su un piano sostanziale di parità, con pari poteri di proposta e di iniziativa che non sono più esclusivamente riservati agli esecutivi di vertice. Non è ancora quello che dovremmo auspicare in uno stato di democrazia socialista, ma è un enorme passo in avanti senza precedenti e senza altri esempi.
Perché la concezione dello stato che fino ad ora sono riusciti a non farci esprimere nemmeno come passo in avanti, in ogni forma di esperienza storica vissuta all’Est come all’Ovest, è quella di avere finalmente un governo che non governi, ma esegua e realizzi la volontà del sovrano-popolo come e all’opposto del sovrano-Re. Come quando il governo eseguiva la volontà del sovrano quando questo era il Re, così si deve arrivare ad un governo che esegua la volontà del sovrano anche quando questo è il popolo. Anche se questo è stato frequentemente vanificato, ciò non toglie che questa è la forma della legalità costituzionale a cui uno può sempre richiamarsi, e per questo la vogliono modificare e l’hanno modificata in modo omologo agli altri paesi europei e anglosassoni.
Ci vogliono dei governi che non comandino lo stato, ma siano al servizio dello stato. Questa è una cosa che è ancora solo una rivendicazione da conseguire e che si collega al fatto che non abbiamo ancora ottenuto che nei partiti gli esecutivi non decidano al posto degli iscritti e dei militanti ma eseguano, che le segreterie dei sindacati non decidano al posto dei lavoratori, ma eseguano. Tutto è strettamente collegato e se la forma paritaria di governo tra parlamento ed esecutivo ha potuto essere vanificata e oggi assistiamo al ritorno a forme duali di potere con il governo sovrapposto al parlamento e poi magari al ritorno ad una monarchia-repubblicana con un presidente del Consiglio, o dello stato, eletto dal popolo e sovrapposto a tutti, è perché le forme di governo dei partiti e dei sindacati, anche di sinistra, sono sempre più di vertici ristretti che governano dall’alto i militanti anziché eseguire la loro volontà, che esercitano tutti i poteri di proposta e di iniziativa dall’alto, mentre dal basso ai militanti non è consentito alcun potere di proposta o di iniziativa, in una passività che li porta ad attendere il vertice e quando va bene a discutere e ratificare dopo la proposta e l’iniziativa del vertice.
Quindi la scelta della Costituzione è stata del governo parlamentare, ma di una qualità diversa di quello liberale proprio per la forma di stato diversa e per il rifiuto della Repubblica presidenziale, già assunta dalla Repubblica di Salò e sostenuta alla Costituente dal partito d’Azione, sopratutto dalla sua destra che proponeva il presidenzialismo con Calamandrei e il federalismo con Bobbio (Gli Stati Uniti d’Italia, editore Chiantore,Torino 1945).
Il partito d’Azione è rimasto su ciò talmente minoritario che si è dissolto, ma le sue schegge, da Bobbio a Foa a Trentin a Ciampi sono giunte fino a noi e quelle sue posizioni sono state riprese ed esaltate dal “Gruppo di Milano” di Miglio (Verso una nuova costituzione, Giuffrè editore, Milano 83), dalla Lega, oltre che dal Msi presidenzialista da sempre, trovando una sinistra culturalmente e politicamente debole se non disarmata anche dall’Azionismo (e dagli azionisti di allora) da renderla subalterna e succube al “federalismo” non meno che al “presidenzialismo” di cui giuristi anti-costituzionalisti del PDS e altri si sono fatti promotori dell’elezione diretta del presidente del consiglio, accettato come terreno di discussione (da non demonizzare) senza preclusioni teoriche anche da parte del Centro riforma dello Stato e da parte di Ingrao, lo stesso giorno dell’abbraccio ad Occhetto in quel di Ariccia.
Quindi la Costituzione italiana ha un modello da cui la destra e tanta parte di cosiddetta sinistra è andata vieppiù staccandosi, anche con una singolare e sbalorditiva giustificazione”postuma” data da Ingrao negli anni ’80, secondo il quale la Costituzione italiana sarebbe morta fin dal ’49 con l’entrata nella NATO. “Modello” che non si rifà ad una concezione schematica o meccanicistica, ma ad una concezione dei rapporti sociali e dell’economia: la centralità dei rapporti di produzione emersi sempre più mano a mano che l’economia si collegata sempre più e irreversibilmente con lo Stato, con tutte le questioni della soggettività e della riproduzione che stanno dentro la costellazione centrale che sono i rapporti sociali e di classe. Quindi i caratteri di novità di un costituzionalismo contemporaneo, sono segnati e caratterizzati dai rapporti di produzione.
26-5-1994