Approvato ieri dal Consiglio dei Ministri il decreto che dà il via libera, nel triennio 2019-2021, all’uscita pensionistica con 62 anni di età e 38 anni di contributi. Tosi (Fp Cgil Lombardia): un provvedimento opaco che va spiegato bene alle lavoratrici e ai lavoratori
18 gen. – “Quota 100 non modifica la legge Fornero. Il canale di uscita è positivo solo per qualcuno mentre crea soprattutto ulteriori disuguaglianze senza rispondere alle esigenze di giovani e donne”. Ieri il governo gialloverde ha varato il decreto su pensioni e reddito di cittadinanza, in vigore fino al 2021, e Claudio Tosi, Fp Cgil Lombardia, intervenendo nello specifico sulla misura previdenziale, insiste sulla sua opacità. “Lavoratrici e lavoratori vanno informati in modo chiaro e corretto del pezzo di pensione che perderanno se decidono di sfruttare Quota 100, la possibilità di uscita anticipata avendo i requisiti dei 62 anni di età e 38 anni di contributi. Rispetto a un montante contributivo di altri 5 anni la perdita sarà di circa il 30-35%, con i coefficienti che ovviamente saranno più vantaggiosi più tardi si va in pensione”. Ci sono altri modi per andare in pensione prima? “Sì, per le donne con contributi pari a 41 anni e 10 mesi, per gli uomini a 42 anni e 10 mesi. Anche qui il governo sostiene di avere interrotto la Fornero e di aver congelato, con il 2019, i 5 mesi di incremento della speranza di vita. Ma non è così, visto che per percepire la pensione c’è una finestra di 3 mesi e dunque lo sconto effettivo è di 2 mesi”.
Il sindacalista, dati Inps alla mano, guarda con preoccupazione alle uscite previste nel 2019, incrociandole al calo occupazionale. “Tra il 2017 e il 2018 le pensioni di vecchiaia sono calate del 40%, le anticipate del 9%, quelle di invalidità del 15%, quelle ai superstiti dell’11%, gli assegni sociali del 79%. Nel 2017 sono state erogate 607mila pensioni che nel 2018 sono scese a 483mila”. Cosa vuoi dire? “Che dalla riforma Dini in poi i governi hanno usato e usano i pensionati e i lavoratori per fare cassa. Quest’ultimo governo fa poi una mera operazione mediatica in vista delle elezioni europee di maggio, senza rispondere davvero agli impegni assunti”.
Torniamo ai giovani e alle donne, perché sono discriminati? “Il decreto trascura la loro discontinuità lavorativa e così i buchi contributivi. Nulla viene detto sul calcolo e con il 2019 i coefficienti vengono peggiorati. I giovani, se iniziano a lavorare a 30 anni, avranno come unica possibilità la pensione di vecchiaia, raggiunti i 70 anni, e tarata al 60% dell’ultimo reddito percepito. I contributi restano ancora agganciati alla speranza di vita che noi invece chiediamo da tempo di superare, per dare il diritto a una pensione certa e dignitosa”. L’opzione donna resta? “Sì, con una penalizzazione economica di media del 30-35%, visto il calcolo con il solo sistema contributivo, e regole diverse tra lavoratrici dipendenti e autonome. Le prime devono aver raggiunto, al 31 dicembre 2018, 58 anni, le seconde 59. Entrambe, entro la stessa data, devono aver maturato 35 anni di contributi. Le dipendenti poi dovranno attendere 12 mesi prima di ricevere la pensione, le autonome 18. Per le donne, in generale, non ci sono miglioramenti, si glissa sulla nostra proposta di contribuzione figurativa per i figli né viene considerato il lavoro di cura”. Questo ragionamento porta Tosi ad attaccare nuovamente l’esecutivo. “Negli anni precedenti sono stati lasciati in cassa oltre 800 milioni di euro e ora vengono usati proprio questi soldi. Ad esempio, poco si fa per le fasce più deboli, con l’ape social – anticipo pensionistico prorogato per il 2019, a partire da chi ha 63 anni di età – che riguarda solo 4 tipologie: disoccupati senza ammortizzatori, persone con handicap dal 74% in su, persone che devono accudire familiari disabili, lavoratori gravosi. Rispetto a questi ultimi, per fare un altro esempio, non è equo che gli infermieri su turni rientrino in questa tipologia e quelli non su turni non abbiano questo diritto. La platea va ampliata!”.
Ecco, veniamo ai dipendenti pubblici e alle differenze con i lavoratori privati. “Sono differenze non giustificabili – afferma Tosi -. È discriminatorio che con quota 100 i dipendenti pubblici che hanno raggiunto i requisiti entro il 31 dicembre 2018 riceveranno la pensione dal 1° agosto 2019 (i lavoratori della scuola dal 1° settembre!) mentre i lavoratori privati l’avranno dal 1° aprile. Idem dicasi per chi matura i requisiti dal 1° febbraio 2019: perché i privati aspetteranno 3 mesi per la pensione e i pubblici 6?”. C’è anche tutto il tema del pagamento della liquidazione. “Sui media la questione del Tfr e del Tfs è stata molto amplificata, in chiave pre-elettorale. I dipendenti pubblici potranno avere da subito un anticipo della liquidazione, fino a 30mila euro, e viene sottolineato che il 95% degli interessi del prestito bancario sarà pagato dallo Stato. Omettendo però che il 5% restante sarà a carico dei pensionandi. Cioè si sta chiedendo alle lavoratrici e ai lavoratori di pagare gli interessi su soldi loro! Ancora una volta è un trattamento iniquo e discriminatorio”. (ta)