Appello per la manifattura e per il Museo Ginori
In questi mesi abbiamo seguito intensamente due vicende tra loro intrecciate.
Da una parte la vicenda dell’Antico Museo di Doccia che ha visto, assieme ad aste deserte, un grande e generoso attivismo di tantissimi soggetti affinché venisse riaperto ai cittadini. Dall’altra le puntate di una sfibrante trattativa tra l’azienda Richard Ginori e Unicredit, BNL e Popolare di Vicenza, ovvero i creditori che possiedono il terreno dove sorge la manifattura, che sta arrivando alla stretta definitiva perché determinerà la permanenza o meno dello stabilimento a Sesto Fiorentino e nell’aria adiacente al Museo.
Qualcuno prima di noi ha usato la locuzione “I have a dream” per manifestare cosa tenesse unita una comunità nella sua battaglia di civiltà. Anche noi, più modestamente, in un tempo in cui le comunità si frantumano e le battaglie che le uniscono appaiono sepolte dal rancore, anche noi, abbiamo un piccolo sogno.
Più modestamente, ma con la stessa intensità civile, un sogno ci unisce.
Vorremmo vedere nei prossimi mesi la fabbrica Ginori su un terreno di sua proprietà intraprendere gli investimenti annunciati e, accanto, il Museo di Doccia riaperto che accoglie visitatori.
Vorremmo che l’opera delle donne e degli uomini, che sono intenti a tenere viva la tradizione che ha accompagnato Sesto Fiorentino nella sua storia, non fosse mortificata. Che la sirena “del Ginori”, che scandisce il lavoro, continui a scandire il tempo della comunità sestese come campana laica del tempo delle opere dell’uomo, e che il Museo riapra i battenti a testimoniare cosa il sapere e il lavoro di questa comunità hanno saputo lasciare e possono ancora lasciare di sublime all’umanità. Uno accanto all’altro perché sono due facce della stessa medaglia. Uno accanto all’altro, perché il museo sarebbe incredibilmente più ricco di fascino e di possibilità di rilancio e sviluppo se se ospitasse le iniziative di un percorso ancora non interrotto e vivo della manifattura; la manifattura perché il marchio, che le è legato, sarebbe sensibilmente più forte per la storia che immediatamente racconterebbe con i propri prodotti sul mercato.
Scusate la semplicità. Noi ragioniamo con la semplicità e la linearità che le questioni di bene comune richiedono. In queste due vicende della collocazione della fabbrica e della riapertura del museo abbiamo vari attori.
Una azienda, dei creditori, dei lavoratori, le realtà del territorio attive per la rinascita del museo, i cittadini sestesi. Per tutti questi soggetti che la fabbrica rimanga dove è oggi e il museo riapra dovrebbe essere l’unico scenario conveniente. Per l’azienda significherebbe acquisire i terreni e far rimanere la fabbricazione nel territorio di Sesto Fiorentino per massimizzare il valore che il marchio trarrebbe dal legame con la sua storia. Per i lavoratori significherebbe la permanenza definitiva della fabbrica lì dove è, consentendo di vedere attuati quegli investimenti strutturali indispensabili al rilancio e a ridare sicurezza per il proprio futuro. Per gli istituti di credito significherebbe realizzare il recupero parziale di un credito che altrimenti non realizzeranno mai per un area ad uso industriale. Per tutti i soggetti che si battono per la riapertura del museo consoliderebbe in maniera chiara la prospettiva di una riapertura di un museo vivificato e unico al mondo perché prossimo alla fabbrica. Per i cittadini sestesi significherebbe non vedersi strappare, non solo un simbolo orgoglioso della propria storia, ma una possibilità di sviluppo lavoro e cultura nel loro territorio.
Noi ragioniamo con semplicità. Ma altre logiche, a parte quelle citate, non sono comprensibili, non sono ammissibili.
Non rientrano in ciò che i soggetti citati possono legittimamente perseguire.
La fabbrica deve restare lì dove è oggi, il museo deve riaprire lì dove è oggi. Chiediamo a tutti di contribuire a questo disegno organico per la propria parte.
Questa è il nostro piccolo sogno, la nostra piccola, ma preziosa battaglia di civiltà. In guardia chi pensi di far valere logiche e interessi scritti sulla carta e non sui valori reali delle cose. Valori certo economici, ma anche culturali e morali.