di Claudio Forleo
L’inchiesta Dirty Soccer e il coinvolgimento diretto di quella che è ormai da anni la principale organizzazione criminale in Italia (la ‘ndrangheta) può sorprendere nell’immediato, meno se si ragiona a mente fredda. Il calcio è terreno di caccia ideale per le mafie: un business a più zeri che calamita l’interesse (e i consensi) di migliaia di persone. E le organizzazioni criminali sono soprattutto ‘piccioli’ e ‘controllo del consenso’, come certa politica.
“La cooptazione di esponenti della criminalità organizzata alla ricerca di consenso (alcuni dei quali condannati per associazione di tipo mafioso) nelle squadre di calcio costituisce un segnale emblematico….alla stregua della duplice valenza che tali incarichi hanno per l’associazione mafiosa, consentendole da una canto l’accesso ad un canale di riciclaggio dei proventi delle attività illecite attraverso investimenti apparentemente legali mediante le società di calcio stesse e, dall’altro, la costruzione di un’immagine pubblica che ottenga consenso popolare, stante il diffuso interesse agli eventi calcistici”. Lo scrive la Direzione Nazionale Antimafia nella relazione 2014 pubblicata pochi mesi fa.
E’ del 2010 il dossier curato da Libera, Le mafie nel pallone. “Riciclaggio di soldi mediante sponsorizzazioni, partite truccate, scommesse clandestine, presidenti prestanome, il grande affare del mondo ultras, le “mani” sulle scuole calcio. Le mafie sono nel pallone. Dalla Lombardia al Lazio, abbracciando la Campania, la Basilicata, Calabria, toccando la Puglia , con sospetti in Abruzzo e con un radicamento profondo nell’isola siciliana. Più di 30 clan direttamente coinvolti o contigui censiti nelle principali inchieste riguardanti le infiltrazioni mafiose ed i casi di corruzione nel mondo del calcio” si legge nella premessa del dossier.
“Per i clan il calcio è uno strumento straordinario per fare affari e controllare il territorio…Entrando nelle società la mafia riesce ad avvicinare mondi lontani come politica e imprenditoria. Per le scommesse si creano joint venture tra la mafia internazionale e i clan locali”. Lo spiegava nel 2013 Raffaele Cantone, oggi alla guida dell’ANAC, l’Authority Anticorruzione, in questa intervista.
Gli esempi, come sottolineava all’epoca lo stesso Cantone, non sono solo relativi al calcio dilettantistico o cosiddetto ‘minore’. E’ del 2006 l’inchiesta sul tentativo di scalata alla Lazio da parte del clan dei Casalesi. Il pentito Luigi Bonaventura, uno dei mammasantissima dell’omonima cosca del crotonese che rivelò agli inquirenti un piano per uccidere Giulio Cavalli, ha raccontato di partite truccate e di scommesse. Ricorda che “nel 2006 per Crotone-Juventus sugli spalti c’era il gotha della ‘ndrangheta: i Nicosia, gli Arena e altri…Controllare la squadra del proprio paese porta prestigio alle ‘ndrine, crea consenso, getta le basi per il voto di scambio“. Poi ci sono le “carriere da accompagnare”, quelle dei calciatori che finiscono a giocare nelle grandi squadre del Nord.
Gli “interessi economici nel mondo del pallone” emergono anche in Mafia Capitale, con quella che il Messaggero descrive qui come “la rete del business in curva”. Per non parlare dei legami, le amicizie o persino le parentele pericolose che sono emerse in questi anni, da Miccoli (“quel fango di Falcone” dice all’amico Lauricella, figlio del boss della Kalsa) a Sculli, nipote del boss Giuseppe Morabito (“so che sono il suo nipote prediletto e non lo rinnegherò mai. Per me non ha mai fatto nulla di male”) fino a De Rossi, che chiamava Giovanni De Carlo, figura importante dell’inchiesta Mondo di Mezzo, perché “assieme al compagno di squadra Mehdi Benatia, aveva avuto poco prima una discussione in un locale e temendo conseguenze aveva pensato a De Carlo“.
20.05.2015