di Lorenzo Battisti – dipartimento Esteri PCI
Dodici manifestazioni nazionali, milioni di lavoratori in piazza, duri scontri tra la polizia e i sindacati, con continue provocazioni e arresti arbitrari. Questo ha provocato la legge di riforma del codice del lavoro fatta dai socialisti. Con questa il Ps ha voluto inaugurare il suo ultimo anno alla guida delle Francia. Difficile non fare il confronto con la reazione nulla che i sindacati italiani ebbero quando il loro governo approvò prima la riforma Fornero e poi il Jobs Act di Renzi. A questo si aggiunge il ruolo sempre più importante giocato dalla Francia all’interno della Nato.
La legge sul lavoro: la distruzione del codice del lavoro francese
Proprio nelle settimane che hanno preceduto la presentazione della riforma del lavoro, tra censure più o meno esplicite, è uscito in Francia un documentario (sul genere di quelli di Michael Moore) che si chiama “Merci, Patron” (Grazie Padrone), dove si racconta la storia di una coppia che perde il lavoro a causa di una delocalizzazione in Polonia. Il documentario offre uno spaccato della Francia odierna e del dramma del lavoro al tempo della crisi capitalistica.
Vista dall’Italia, la situazione del lavoro in Francia appariva fino ad oggi molto migliore. I contratti attualmente sono solo quelli a tempo determinato (CDD) e a tempo indeterminato (CDI), a cui si aggiungono quelli tramite agenzie interinali (Interim) e quelli a partita Iva.
Un numero molto inferiore a quello del nostro paese. Inoltre vi sono una serie di tutele da noi sconosciute, a partire dalle 35 ore settimanali, limiti agli straordinari, la presenza di consigli di impresa (beneficiari di una parte dei profitti e gestiti da rappresentati dei lavoratori), chiusure festive per il commercio, un salario minimo e un reddito di solidarietà.
Ormai da tempo però le condizioni di lavoro stanno peggiorando. Da una parte le imprese hanno aumentato i ritmi di lavoro per compensare la riduzione di orario settimanale. Diverse riforme della destra hanno anche indebolito le 35 ore. Inoltre, dall’inizio della crisi, c’è stata l’esplosione dei contratti a termine (1). Questa è la forma che la precarietà ha preso in Francia. Una precarietà estremamente diversa rispetto a quella italiana; da un certo punto di vista meno dura, poiché anche il contratto a tempo determinato resta in tutto e per tutto uguale nelle tutele e nelle regolamentazioni a quello a tempo indeterminato e in caso di non rinnovo viene corrisposta una maggiorazione di salario tale da renderlo economicamente svantaggioso per l’impresa.
Già nel 2002 e poi nel 2006 la destra aveva cercato di modificare le regole del mercato del lavoro, attraverso la riforma che introduceva il Contratto di Primo Impiego (CPE) per i giovani e il Contratto Nuovo Impiego (CNE), che permettevano il licenziamento entro due anni senza giustificazione e notificato per raccomandata. I sindacati e i lavoratori francesi si mobilitarono per settimane e riuscirono a bloccare la legge.
Oggi è il governo Hollande che cerca di fare la propria contro-riforma del mercato del lavoro. Il ricatto è quello di sempre: se si vuole diminuire la disoccupazione, bisogna diminuire le tutele.
Ma cosa contiene questa legge? Per riassumerla, si può dire che rappresenta una riscrittura completa del codice del lavoro francese. Un codice che sicuramente è molto voluminoso, frutto di decenni di lotte e di leggi, ma che appunto nasce a tutela del lavoratore. Sotto la bandiera della semplificazione, di fatto si limitano diritti dei lavoratori. Le misure sono tante; ne cito alcune che possono dare l’idea della profondità e della direzione della riforma. Non ci sarà più il diritto di almeno 11 ore tra un lavoro e l’altro, così come il divieto di lavorare più di 10 ore al giorno; la durata massima di una settimana lavorativa resta a 48 ore, ma sarà calcolata sulla media di più mesi, con la possibilità di arrivare a 60 ore settimana; la remunerazione degli straordinari è abbassata; le 35 ore settimanali potranno essere una media su più settimane o addirittura all’interno dell’anno (2). Il tutto verrà demandato ad accordi collettivi o d’impresa (così come la durata del congedo per lutto!). Ma come saranno approvati questi accordi? Anche in questo caso si indeboliscono i diritti dei sindacati, soprattutto di quelli combattivi (come la CGT) che fino ad oggi potevano opporsi alla sottoscrizione degli accordi in forza del sostegno avuto alle elezioni. Ora gli accordi sottoscritti da sindacati che hanno avuto almeno il 30% dei consensi possono essere validi e sottoposti a referendum d’impresa. E gli accordi a livello di impresa potranno raggirare quanto deciso dagli accordi nazionali e addirittura derogare a quanto disposto dalle stesse leggi. Ma la riforma più importante riguarda i licenziamenti. Da una parte si “chiariscono” quali sono i licenziamenti per ragioni economiche, facendo pendere la bilancia dalla parte delle imprese. Dall’altra si fissa per legge un limite all’indennizzo per licenziamento ingiusto che finora era deciso da una corte composta per metà da eletti dei lavoratori e per metà da rappresentanti dell’impresa.
Appare molto significativo il nome di questo progetto di legge: “Progetto di legge finalizzato a istituire nuove libertà e nuove protezioni per le imprese e per gli attivi”. Mancano le parole “lavoro” o “lavoratori”.
Da una parte la CGT, Force Ouvrière la CFE-CGC (3), i sindacati di base e l’UNEF (il sindacato degli studenti), dall’altra la CFDT, la Confindustria francese (il MEDEF) che ha benedetto la legge stimando che va “nel senso giusto”. Con la maggioranza parlamentare che esplode: da una parte il Front de Gauche, i Verdi e la destra gollista di Debout la France che chiedono il ritiro puro e semplice del progetto di legge, una destra che si oppone poiché la ritiene troppo timida (tra di essi anche il Front National (4), che chiede ancora maggiori libertà soprattutto per le piccole imprese), dall’altra una maggioranza che perde pezzi, con i deputati socialisti ribelli che minacciano di votare contro.
Le reazioni alla proposta di legge sono arrivate prima ancora che fosse depositata. Il giorno dell’annuncio è stato lanciata su internet una raccolta di firme contro la riforma, che in 2 settimane è arrivata a 1 milione di adesioni.
Da Marzo in poi si sono succedute dodici giornate nazionali di mobilitazione. Scioperi che hanno coinvolto milioni di lavoratori, che hanno percorso ogni città della Francia e che hanno dato vita a manifestazioni sempre più lunghe. Una mobilitazione imponente, come non si vedeva da tempo in Francia. Ad ogni passaggio parlamentare della legge, i sindacati hanno risposto con mobilitazioni, e con manifestazioni al sabato per fare manifestare chi non poteva durante la settimana. Per mesi, alcuni settori importanti della Francia sono stati bloccati da scioperi ad oltranza: 4 raffinerie su 8 sono state occupate dai lavoratori, così come le centrali elettriche che sono state portate al minimo obbligando a scollegare dalla rete interi quartieri delle città francesi. O ancora i blocchi nei porti di Le Havre o a Marsiglia. Così come l’occupazione di licei e di università.
Una mobilitazione enorme a cui il governo socialista ha reagito come già prima avevano fatto in occasioni simili i governi di destra. La polizia è stata mandata a rompere gli scioperi e le occupazioni dei lavoratori e degli studenti. I blocchi stradali hanno fatto alcuni feriti e un morto, investito da un camionista che cercava di rompere il blocco. E tutte le manifestazioni sono state accompagnate dall’intervento di casseurs mascherati che attaccavano i cortei sindacali o mettevano a ferro e fuoco le città per gettare discredito sulle manifestazioni dei lavoratori. Anche la stampa è stata costretta a riconoscere e pubblicare foto dove si mostra la vicinanza di alcuni di questi con la polizia. Inoltre ci sono state continue provocazioni, cariche improvvise contro le manifestazioni dei sindacati, cortei bloccati fino al divieto di manifestare rivolto ai sindacati, per la prima volta dalla guerra di Algeria. Un divieto a cui i sindacati hanno risposto confermando la propria manifestazione, e obbligando il governo a tornare sui propri passi. Per limitare le manifestazioni si è anche giunti all’arresto preventivo di chi si recava ai cortei così come alle incriminazioni dei lavoratori che costituivano il servizio d’ordine della CGT e che difendevano i cortei dai casseurs lasciati liberi di agire dalla polizia.
I socialisti, nonostante i tanti tentativi di fare passare questa riforma come una riforma di sinistra e nonostante l’appoggio della CFDT (il secondo sindacato del paese), sono stati costretti ad approvare la legge senza il voto parlamentare: grazie all’articolo 49-3 della Costituzione, sempre criticato dagli stessi socialisti in quanto antidemocratico, il governo Valls ha approvato la legge senza alcuna discussione, senza possibilità di proporre emendamenti e senza la possibilità che il parlamento si pronunciasse. Una legge scritta e approvata dal governo. Una legge, in sostanza, che altrimenti non sarebbe stata approvata neanche dalla maggioranza socialista. E in ogni caso, sono dovuti giungere a ricattare i loro stessi parlamentari. Infatti l’unica arma che gli oppositori avevano era quella di chiedere la sfiducia al governo: per farlo era necessario raccogliere 60 firme. Ma anche questo non è stato possibile, poiché qualsiasi deputato socialista che avesse firmato (solo firmato, non si parlava di togliere la fiducia ancora) sarebbe stato messo fuori automaticamente dal partito.
Ora la legge è approvata, ma il Ps sta già pagando il prezzo: tutti gli eventi pubblici del partito sono stati annullati, per il rischio di continue contestazioni che potrebbero finire fuori controllo. Così come sedi del Ps sono state attaccate in diverse parti della Francia.
Come mai questa ostinazione nel voler approvare una legge così impopolare? L’obiettivo di fondo è quello di abbassare il costo del lavoro francese, che è troppo alto rispetto a quello degli altri paesi. All’interno dell’Unione Europea i trattati impongono una concorrenza al ribasso sul costo del lavoro e sulle tasse per le imprese. O si decide di uscirne (ma i socialisti francesi non ci pensano minimamente), oppure si è costretti a partecipare alla corsa: se i tedeschi abbassano il costo del lavoro con la riforma Hartz e gli italiani con il Jobs Act, la Francia non può essere da meno. Pena un deterioramento della bilancia commerciale e quindi del bilancio e del debito pubblici.
La Nuit Debout: sostegno alle lotte, o manovra per indebolirle?
Un fenomeno che è stato ampiamente pubblicizzato anche in Italia è quello della “Nuit Debout”: dopo la manifestazione del 31 Marzo, migliaia di giovani hanno occupato giorno e notte Place de la République a Parigi. Inizialmente il centro della mobilitazione era la legge sul lavoro, ma in breve è diventata una richiesta di una maggiore democrazia, soprattutto diretta, unita al rifiuto dei partiti e dei sindacati, e all’utilizzo della tecnologia per scardinare un sistema ritenuto corrotto e contrario agli interessi dei giovani (5).
Questa forma nuova di manifestazione, in teoria auto organizzata dal basso (6), ha ricevuto il sostegno sostanziale di tutta la stampa e di tutti i mezzi di comunicazione. Un fatto che ha permesso al fenomeno di diffondersi in molte altre piazze francesi. In breve tempo la piazza era dotata di tutti i mezzi di comunicazione, dagli account twitter, a una radio del movimento. Sebbene si sostenesse l’accesso libero e l’orizzontalità del movimento, in realtà l’accesso ai microfoni e l’organizzazione erano ben custoditi da un piccolo gruppo di giovani esperti di comunicazione che hanno indirizzato la piazza secondo il proprio orientamento.
Innanzitutto nessun sindacalista o militante politico ha potuto parlare, rifiutandolo come parte stessa del “sistema”. Alcuni sono anche stati allontanati in malo modo. Inoltre questa mobilitazione non ha mai invitato a sostenere gli scioperi e le manifestazioni del sindacato, o i tentativi dei parlamentari francesi di bloccare e ritirare la legge. In sostanza la Nuit Debout si è configurata come alternativa alle mobilitazioni dei sindacati. Appare chiaro quindi che questo fenomeno ha cercato di indebolire queste manifestazioni, cercando di separare i giovani dai sindacati. Non si può ignorare che il modo in cui è nato, gli strumenti utilizzati, il sostegno e la pubblicità ricevuta dai grandi media, la gestione e la linea politica, così come il profilo dei suoi promotori, fanno pensare a un ennesimo tentativo di sviluppare una piccola “rivoluzione colorata” sullo stile di quelle teorizzate e organizzate da Gene Sharp, ma questa volta contro il sindacato. Un tentativo che è fallito in breve tempo, per la risolutezza dei sindacati e per la consapevolezza dei giovani sull’importanza della lotta.
A queste politiche regressive si aggiunge la politica estera e militare del governo socialista. In particolare i socialisti francesi hanno continuato nella strada di un progressivo impegno nella Nato.
La Francia è stata uno dei membri fondatori della Nato, ma si è poi progressivamente allontanata, a partire dal ritorno al potere di De Gaulle nel 1958. In particolare questa era incompatibile con la politica di indipendenza del Presidente francese, che rifiutava il controllo esclusivo sull’organizzazione da parte degli Usa e della Gran Bretagna e i limiti alla politica estera che questi imponevano. La crisi politica durò quasi un decennio e terminò con l’uscita dalla Francia dal comando integrato, il ritiro forzato di tutte le truppe straniere dal paese e l’inizio del programma nucleare autonomo francese (la force de frappe).
La Francia è rientrata nel comando integrato durante la presidenza di Sarkozy, il presidente più “americano” della storia repubblicana francese. Ma è con Hollande che le truppe Nato rientrano a pieno titolo nel paese. E vi rientrano anche le basi militari, i carri armati americani e in un futuro, anche le bombe atomiche. Così come truppe e armi francesi torneranno ad essere controllate dalla catena di comando Nato che parte da Washington e arriva direttamente alle basi: un giorno, come succede già per l’Italia, bombe nucleari potranno partire dalla Francia senza che il Presidente francese sia interpellato; basterà un comando dagli Usa, e le bombe partiranno.
Il governo Hollande si è preoccupato di aderire al protocollo giuridico che regola lo stato di queste truppe straniere sul suolo francese. Quello statuto che di fatto ne garantisce l’immunità giuridica, tale per cui, qualsiasi cosa facciano, saranno giudicate negli Stati Uniti. I socialisti in questo mostrano una certa coerenza: già negli anni ’60 si erano opposti alla politica di De Gaulle.
A questa deriva atlantista si sono opposti i deputati comunisti (7) e quelli del Front de Gauche (8), insieme a quelli del partito gollista Debout la France (9).
La crisi dei socialisti
Nel fare un bilancio oggi della presidenza Hollande, sembra davvero incredibile che tante speranze, dentro e fuori la Francia, possano essere state riposte in lui (10). Speranze evidentemente mal riposte, come abbiamo mostrato fin dall’inizio su Marx 21.
Fin dalle prime settimane dopo la sua elezione, Hollande e il Partito Socialista sono passati dall’avere la finanza come principale nemico (11) all’essere i migliori esecutori dei voleri delle imprese. Una delle prime decisioni dopo le elezioni fu di creare un Credito d’Imposta per la Competitività delle Imprese (CICE) di 40 Miliardi, a fondo perduto, senza alcuna contropartita in termini di investimenti, ricerca o di impiego. Il cambio di governo, in seguito alla sconfitta alle elezioni municipale del 2014, ha spostato ancora più a destra l’asse del governo: al centrista Ayrault succede Manuel Valls (un “Renzi” francese, sostenitore da anni della trasformazione del Ps in Pd francese), con Manuel Macron come responsabile dell’Economia: grande sostenitore del liberismo più sfrenato, giovane milionario, è stato banchiere associato alla Banca d’affari Rotschild. Nel mentre il governo socialista perde l’appoggio dei Verdi (solo una minoranza continuerà a sostenerlo) e l’opposizione continua di una parte dei deputati socialisti, soprannominati i “frondisti”: il punto di disaccordo principale è proprio l’economia e la passività alle richieste europee.
In questi mesi stiamo forse assistendo alla fine del Partito Socialista francese per l’esaurimento del suo ruolo storico all’interno del quadro politico francese.
Il Ps è nato da una scissione di minoranza del congresso di Tours del 1920, dove la SFIO (Sezione Francese dell’Internazionale Operaia) decise l’adesione alla Terza Internazionale. Questo partito, che conserverà questo nome fino agli anni ’70, è rimasto marginale fino all’arrivo di Mitterand, un uomo che non veniva dagli ambienti socialisti, ma che aveva avuto un passato di collaborazione con il regime di Vichy e che aveva avuto posizioni contrarie all’indipendenza dell’Algeria (12). Con l’arrivo di Mitterand lo Sfio viene rinominato Ps e gli viene attribuito il ruolo di contendere ai comunisti l’egemonia a sinistra. Infatti con la fine e poi la morte del Generale De Gaulle il sistema politico francese si sblocca: era impossibile sostituire il padre della Quinta Repubblica, figura carismatica, che aveva guidato la Francia alla Liberazione durante la Seconda Guerra Mondiale e che aveva costruito una destra anti atlantica capace di resistere all’ascesa del Pcf. Dopo la sua fine il governo diventava possibile per i comunisti (che allora erano il secondo partito del paese). Il Ps e Mitterand riuscirono a evitare questo e, quando la sinistra arriverà al potere, l’egemonia sarà socialista (13).
Oggi quel ruolo storico si è ormai esaurito e il nome “socialista” rappresenta adesso un peso per il partito. Quel nome rimanda ogni volta alle radici popolari e a un’idea di società alternativa a quella capitalista, una cosa che cozza fortemente con le politiche effettivamente portate avanti, e che obbliga i segretari socialisti a barcamenarsi con poco convincenti tentativi di giustificare il supposto eguaglitarismo con manovre anti sociali. In molti, a partire da Hollande stesso, pensano che sia quindi venuto il momento di cambiare nome e di tagliare definitivamente qualsiasi legame, anche simbolico, con una visione di società classista e con la rappresentanza di una sola di queste. In sostanza, il prossimo passo sarà, dopo la sconfitta elettorale dell’anno prossimo, quello di avviare la creazione di un Partito Democratico francese (con forse il Partito Socialdemocratico come tappa intermedia), finalmente libero (come quello italiano) di applicare tutti i voleri della finanza e del padronato francese, senza dovesi giustificare ogni volta (14). In sostanza si cercherà di applicare anche alla Francia quel monopartitismo competitivo tipico della politica americana, che permetterebbe di tagliare fuori i lavoratori dalla rappresentanza politica, al costo (per loro marginale) di una forte restrizione della partecipazione elettorale.
Mentre la sorte del Ps sembra ormai scontata, non è così per questa trasformazione della politica francese. La grandissima maggioranza dei francesi continua ad opporsi alla legge sul lavoro, così come alle politiche del governo Hollande. La Cgt non fermerà le mobilitazioni, e il Pcf sta cercando di costruire una candidatura comune della sinistra alle prossime elezioni, per contendere la presidenza ai socialisti, alla destra e al Front National.
Note
(1) È esemplare un titolo del giornale Le Monde, che solo 3 anni fa, titolava in prima pagina lo stupore per i trentenni francesi che non avevano ancora un contratto a tempo indeterminato. A 30 ans, ils n’ont jamais connu de CDI http://www.lemonde.fr/societe/article/2013/11/21/j-ai-l-impression-d-etre-une-variable-d-ajustement_3518083_3224.html
(2) La cosa appare ancora più sorprendente se si considera che fu proprio un governo socialista, quello di Jospin, a ridurre a 35 ore la durata della settimana lavorativa.
(3) Inizialmente questo sindacato dei quadri d’azienda aveva tenuto aperto il dialogo per una modifica della legge, ma dopo il congresso di fine Maggio si è posizionato contro il progetto di legge, chiedendo il ritiro.
(4) Maréchal-Le Pen, Mme Plus du Medef http://www.humanite.fr/marechal-le-pen-mme-plus-du-medef-601700
(5) Un report molto favorevole fatto dalla rete Transform Rising up Together http://www.transform-network.net/index.php?id=391&L=0&tx_newstransform_newstransform[controller]=Blog&tx_newstransform_newstransform[action]=detail&tx_newstransform_newstransform[newsItem]=6301&cHash=a98f99f11c2dbbd463a7dbc763d39e85
(6) Sulla spontaneità del movimento, anche il quotidiano conservatore Le Figaro ha molti dubbi. Nuit debout : genèse d’un mouvement pas si spontané http://www.lefigaro.fr/actualite-france/2016/04/07/01016-20160407ARTFIG00102-nuit-debout-genese-d-un-mouvement-pas-si-spontane.php
(7) Una proposta di legge del PCF per fare uscire la Francia dalla Nato http://www.marx21.it/index.php/internazionale/pace-e-guerra/26545-una-proposta-di-legge-del-pcf-per-fare-uscire-la-francia-dalla-nato
(8) L’OTAN, instrument militaire d’une politique agressive http://groupe-crc.org/activite-des-senateurs/la-discussion-et-le-vote-de-la-loi/affaires-etrangeres-et-defense/article/l-otan-instrument-militaire-d-une-politique-agressive
(9) Sulla posizione sulla Nato: Nicolas Dupont-Aignan: une realpolitik à la française https://fr.sputniknews.com/points_de_vue/201603181023492593-nicolas-dupont-aignan-france/
(10) Come mostra questo video, la finanza aveva riposto molte speranze in Hollande. Anzi, le previsioni della finanza sembrano essere molto più giuste di quelle fatte dai militanti di sinistra italiani o francesi. https://www.facebook.com/onvautmieuxqueca/videos/1122463977785886/
(11) Hollande : “Je veux installer la gauche dans la durée” http://www.lemonde.fr/election-presidentielle-2012/article/2012/01/22/epreuve-de-verite-pour-francois-hollande-au-bourget_1632933_1471069.html
(12) In questo percorso Mitterand ha anche conosciuto personalmente Jean Marie Le Pen, il fondatore (negli anni ’70) del Front National. Una parte del successo di questo partito è dovuto anche all’aiuto fornito da Mitterand negli anni ’80, quando da Presidente della Repubblica obbligò la televisione francese a seguire il congresso del Fn, che allora rappresentava meno dell’1% degli elettori. Ieri come oggi, si cercò di utilizzare e di fare crescere elettoralmente il Front National per dividere la destra.
(13) Come spiegherà a Geroges Bush (allora direttore della Cia), il suo obiettivo era stringersi così forte ai comunisti da strangolarli.
(14) Questa posizione fu sostenuta dall’attuale Manuel Valls alle primarie socialiste del 2010, ma raccolse il 5% dei voti. Il fatto che nel 2014 Hollande abbia scelto lui come Primo Ministro mostra l’adesione di quest’ultimo a questo progetto. D’altra parte l’aver reso vincente una posizione che era stata largamente rifiutata dalla base ha portato a una emorragia di iscritti e militanti (le cifre parlano di un calo dai 120’000 a meno di 90’000 oggi).