La ruota vista Torre? Un’idea disneyana contraria alla storia
Secondo Salvatore Settis sarebbe una scelta sciagurata. «L’ultimo di una serie devastante di strafalcioni urbanistici» di Salvatore Settis
Pisa non ha fortuna. Città fra le più belle d’Italia, ricca di storia e di monumenti, ha la benedizione e la disgrazia di accogliere un monumento-icona, la Torre pendente, che (risulta da appositi sondaggi) è il nostro monumento più celebre, battendo in fama anche il Colosseo. Pochi si rendono conto che la Torre (il campanile del Duomo), anche se non pendesse, sarebbe comunque ineguagliabile per architettura e sapienza matematica e costruttiva.
Ma dato che la Torre è ormai un’icona, par quasi che tutto quel che importa di questa città piccola e preziosa sia concentrato lì. Anche l’ultima bizzarra invenzione, una ruota panoramica alta fino a 50 metri, è pensata per «far vedere la Torre» dall’alto, in una visione disneyana del mondo che evidentemente si ritiene l’unica possibile. Ma anche senza questo minacciato e grottesco luna park, pochi turisti si allontanano da quello che D’Annunzio chiamò per primo il Prato dei Miracoli, e quanto succede in città resta troppo spesso in sordina. Eppure non mancano monumenti e musei, in un tessuto urbano prezioso anche se in parte devastato dai bombardamenti del 31 agosto 1943. E non mancano i problemi. Qualcosa di indovinato si è visto e si vede in questi anni (il restauro delle mura medievali, la ripavimentazione di alcune strade centrali), ma la lista degli strafalcioni urbanistici e culturali è devastante. Ricordiamone qualcuno.
Lo spostamento della stazione degli autobus, collocata in prossimità della stazione ferroviaria di Pisa centrale, accadde proprio mentre crescevano le esigenze di parcheggi nel centro storico, e i vecchi hangar degli autobus sarebbero stati adattissimi allo scopo. Se ne fece, invece, un centro culturale della Provincia, in gara con quello del Comune alla Leopolda, e a parcheggio fu destinata la centralissima piazza Vittorio Emanuele II. Si abbatterono i pini che la decoravano, si scavò sotto la piazza (incontrando, com’era prevedibile, cospicui resti medievali che rallentarono i lavori, e provocando lesioni nell’adiacente palazzo delle Poste). Risultato: quella che era una piazza alberata è diventato un desolato suk popolato di bancarelle, giostre ed altre amenità, mentre sull’ingresso al parcheggio troneggia, degradato a posteggiatore, un bronzeo Vittorio Emanuele II.
Del resto, chi arriva a Pisa viene accolto da un totem da cui risulta che la città storica è un “centro commerciale naturale”. Scopriamo così che i nostri avi non costruivano città, ma centri commerciali. Che la forma urbana, quella in cui vissero Dante e Giotto, Ariosto e Michelangelo, Leopardi e Canova non fu che l’anticipazione dei centri commerciali all’americana: una perversione che si sta diffondendo, tanto che la Toscana ha pubblicato nel 2010 un Rapporto sull’operatività dei centri commerciali naturali, la Campania vi ha dedicato nel 2009 un’apposita legge.
L’aeroporto di Pisa, il più grande e sicuro della Toscana (espandibile nella pianura) ha intanto abdicato, auspice la Regione presieduta dal pisano Enrico Rossi ma col consenso del Comune, in favore della primogenitura del piccolo e malsicuro aeroporto di Firenze (che ci fosse qualche potente e prepotente fiorentino, dietro questa operazione? Ricchi premi a chi indovina).
Anche il volo Delta Pisa-New York, che a Firenze non può atterrare, è sparito dalla programmazione dei voli; e intanto è stato cancellato il tratto ferroviario per Pisa aeroporto, rarissimo caso in Italia in cui una stazione ferroviaria arriva dentro un aeroporto, portandovi passeggeri da Firenze in meno di un’ora. Ma per indirizzare i passeggeri sullo scalo fiorentino, meglio lasciare inattivi quei pochi chilometri di binario, inventandosi un “Pisa mover”, ridicolo fin dal nome, ma certo scomodissimo per chi arrivasse da Firenze.
Salvatore Settis
Vogliamo spostarci al mondo della ricerca e degli studi? Pisa è giustamente fiera della sua ottima università, della qualità degli allievi della Scuola Normale e della Sant’Anna, e dell’area di ricerca CNR, la maggiore d’Italia. Grande centro di studi, “Oxford sull’Arno”, e così via. Tutto vero.
Ma allora come mai la Biblioteca Universitaria, preziosa raccolta libraria collocata da secoli nel Collegio della Sapienza (sede di rappresentanza dell’Università) è chiusa da anni , ufficialmente a seguito del terremoto dell’Emilia del maggio 2012? A parte questa annessione di Pisa all’Emilia-Romagna e un terremoto che colpisce selettivamente, in tutta la Toscana, solo quell’edificio, come mai gran parte dei libri sono stati deportati a Lucca? Che cosa è stato fatto in questi anni? La Biblioteca Universitaria di Pisa fu classificata (con pochissime altre) “di prima classe” nel 1876 (ministro della Pubblica Istruzione era allora Ruggero Bonghi), ma il divorzio dell’Istruzione e dell’Università dai Beni Culturali (1975) finì con l’assegnare la Sapienza all’Università di Pisa, la Biblioteca al Ministero dei Beni Culturali. Ma è mai possibile che queste alchimie burocratiche finiscano col danneggiare chi vuole studiare?
In questo contesto scoraggiante, la proposta di intervenire sull’ultimo grande rudere dei bombardamenti del 1943, che si trova in posizione visibilissima sul Lungarno, è benvenuta come un sasso nel pantano. Beninteso, la soluzione migliore sarebbe pur sempre di ricostruire il palazzo distrutto dalle bombe e dal fuoco, ma una ferita così cospicua nel cuore della città non è tollerabile più a lungo, dato che tutti gli altri palazzi bombardati (due dei quali adiacenti a questo) sono stati via via ricostruiti. Ma se la proprietà non è interessata a farlo, un memoriale della guerra e delle sue distruzioni potrebbe essere una buona idea.
Chissà che da questo ritorno di memoria i pisani non recuperino quel tanto di orgoglio civico che basta per accorgersi che Pisa non è un centro commerciale naturale, bensì una città.
02 marzo 2017
(*) Salvatore Settis è un archeologo e storico dell’arte italiano. Dal 1999 al 2010 è stato direttore della Normale di Pisa. Il suo ultimo libro è “Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla”, Einaudi, 2016.