Antonio Gramsci *
La storia sta già per sbarrare col catenaccio del fatto compiuto le porte della Conferenza e il trio politico Wilson – Lloyd George – Clemenceau è sul punto di sciogliersi. Però è anche assai probabile che non sia lontano il giorno del disinganno piú amaro per gli uomini che si sono presi l’assunto di mettere la camicia di forza all’Europa, nella speranza forse di guarirla dall’accesso di follia omicida, in cui l’ha gettata la passione nazionalistica che infuria da oltre un secolo, fiancheggiata, spalleggiata ed aizzata da prepotenti ed oculati interessi di predominio economico, nelle classi dirigenti della società europea, o se non nella speranza di guarirla, in quella almeno di metterla nella impossibilità di rinnovare a breve scadenza i suoi disperati atti di strage e di distruzione perpetrati con tanto tristo successo sotto i nostri occhi. È anzi quasi certo, ch’essi cominciano già fin d’ora a guardare con una certa diffidenza la loro opera appena compiuta, e debbono confessare a se medesimi nel segreto delle coscienze, d’aver lavorato invano.
Questo sembra essere appunto lo stato d’animo dei maggiori statisti, che hanno a Versailles gettato sulla carta i fondamenti della Europa novella, e in procinto di separarsi, dando uno sguardo all’edifizio a gran pena costrutto, presentono la precarietà dell’opera e disperano del suo avvenire. Né in verità si può dar loro torto, ché a dimostrazione perentoria dell’inanità dei loro sforzi ricostruttivi, sta soprattutto la situazione orientale. Là è la causa del maggior turbamento, là il punctum pruriens dell’intero organismo, di là nell’ora presente si drizza il piú enimmatico spettro sul sanguigno orizzonte della nostra civiltà. Pretendere di dar pace ed ordine all’Europa, finché non sia pacificato e ordinato l’immenso tratto di terre orientali che dal Baltico al Mar Nero, che dagli Urali alla Vistola e ai Carpazi, abbraccia piú che la metà dell’intero continente, è piú che una illusione, è una sfacciata menzogna. Se è vero, come dicesi, che Clemenceau abbia in un crocchio di intimi pronunciato queste parole: «la questione russa avvelena tutte le mie gioie e mi dà le maggiori preoccupazioni sull’avvenire della Francia», bisogna riconoscere che il vecchio giacobino ha tuttora un intuito finissimo della realtà politica, e non si fa molte illusioni sulla reale portata dei suoi successi diplomatici.
Ed ha ragione, e le sue mortali angoscie di patriota francese, mentre ci commuovono pochissimo, vengono a confermare una tesi, che in questo quarto d’ora storico deve essere massimamente cara a noi tutti socialisti, tesi che nella sua stessa espressione paradossale, contiene una gran somma di verità storica e che può enunciarsi cosí: da oltre due secoli il destino dell’Europa è legato alla situazione politica della Russia, per modo che i maggiori avvenimenti che interessano la nostra storia di popoli occidentali, sono quasi il contraccolpo dei fatti e degli atteggiamenti del grande colosso orientale.
Molto piú che dall’Inghilterra, la quale come suol dirsi comunemente, avendo il sea-power, avrebbe nelle sue mani le sorti del continente, queste invece dipendono dalla enorme massa di terre e di umanità, che lo preme dall’est, e i cui movimenti sian pur lenti, sian pur tardigradi, son quelli che in definitiva determinano i risultati piú imponenti e decisivi nella restante parte delle contrade europee.
Chi tien d’occhio la successione dei fatti verificatisi tra il XVII e il XX secolo nell’assetto generale del continente, vi scopre sempre piú o men chiara, ma comunque decisiva, l’azione russa.
Da quando Pietro il Grande spostò l’asse politico del nord, facendo passare dalla Svezia dei Vasa alla Russia dei Romanoff il primato di quel Mediterraneo settentrionale, che è il Baltico, da quando nel bacino orientale del Mediterraneo classico, e nelle regioni adiacenti dei maggiori fiumi europei, alla possanza indiscussa dell’Islam si contrappose vittoriosa quella dei moscoviti — e i due grandi fatti coincidono press’a poco nel tempo — questa nuova linea di forza, che va dal Baltico al Mar Nero, questa ch’io chiamerei la linea dei mari interni, che sono poi i vitali polmoni del continente, è dominata dall’attività politica ed economica del nuovo corpo sociale della Russia moderna, e quindi tutta la costituzione politica ed economica europea non ha cessato d’allora di sentire l’influsso della nuova formidabile potenza, che agiva e premeva dall’oriente.
Prova ne sia che le maggiori e piú importanti guerre di successione e di equilibrio combattute in Europa negli ultimi secoli, sono state impegnate e decise sotto questa pressione, e il sistema nefasto delle alleanze, che ha scagliato troppo spesso i vari gruppi delle nazioni europee in cosí tragici e micidiali conflitti, è interamente dominato dal prevalente peso della potenza russa. Questo si è massimamente visto due volte nella recente storia d’Europa, nella guerra dei sette anni, che deve la sua soluzione all’atteggiamento definitivo della Russia di Pietro III e di Caterina II, e nella gran lotta franco-inglese dell’età rivoluzionaria ed imperiale, che si chiude in due tempi, sempre per effetto della carta russa, che giuoca il colpo finale della partita, nel 1807 a Tilsit a favore della Francia, e nel 1814-15 a Vienna in pro’ degli inglesi.
E a guardar bene anche la conflagrazione europea del 1914-18 è stata determinata nei suoi momenti fondamentali dalla situazione russa, sebbene scaturisse essenzialmente dalla rivalità economica della Gran Bretagna e della Germania, sulla quale s’era innestata l’inimicizia ereditaria franco-tedesca.
Senza l’alleanza russa l’Inghilterra non avrebbe mai affrontato la lotta, mentre poi solo il crollo russo determinò l’efficace e positivo intervento americano. E terminato il conflitto armato, la rivoluzione russa ha per cosí dire preso il posto della guerra, come fatto caratteristico e dominante dell’attuale situazione europea.
La parte decisiva, che la rivoluzione russa ha avuto sul corso degli ultimi avvenimenti militari e politici, co’ quali si è chiusa la guerra, è già stata messa in rilievo da varie parti. La vittoria definitiva dell’Intesa sugli Imperi centrali è dovuta alla Russia. Lo scoppio della rivoluzione in Germania e nell’Austria-Ungheria non è che il contraccolpo del piú vasto movimento del mondo slavo, messo in convulsione dalla guerra. La strategia diplomatica di Trotzki a Brest-Litowski si e dimostrata superiore a quella militare di Foch. Ludendorff ed Hoffmann hanno riconosciuto la demoralizzazione dell’esercito tedesco, frutto della propaganda bolscevica, come causa prima della disfatta e della caduta dell’Impero germanico.
Ma c’è di piú! Prima di Wilson la rivoluzione russa della fase Kerenski proclamò la revisione degli scopi di guerra compendiata nella formula: né contribuzioni né annessioni, mentre poi Trotzki gettando al vento della pubblicità i trattati segreti dello zarismo, condannava irrimediabilmente la diplomazia tradizionale, causa della tragedia attuale.
Cosicché per una parte la Russia rivoluzionaria contribuiva infinitamente piú che non la tanto celebrata talassocrazia britannica a far precipitare le sorti delle potenze militari del Centro, ma dall’altra la stessa Russia rivoluzionaria molto piú che la conclamata vittoria dell’Intesa è destinata ad influire sull’assestamento generale dell’Europa e sulle nuove direttive della sua vita internazionale.
Il proletariato dei due mondi guarda oggi alla Russia, come ad un faro. Potrebbe anche essere un miraggio, come affermano non soltanto le interessate voci del coro borghese, che commenta, sul metro dei propri desideri e delle proprie paure, il gran dramma umano, che si svolge in quest’ora solenne della storia sul teatro di un continente vasto quanto la metà dell’Europa, ma anche pur troppo non poche Cassandre di parte nostra, che abbondano di saggezza, forse appunto perché difettano di fede. Ma la sollecitudine, che le borghesie dell’occidente mettono a diffamare il moto bolscevico e a soffocarne il focolaio, basterebbe se non altro a dimostrare ch’esse intuiscono chiaramente l’enormità del pericolo che le minaccia.
L’incendio acceso nella Russia è di cosí gran mole, e cosí intenso, e cosí durevole, che non può essere per nulla paragonabile con altri analoghi atti che si possono segnalare nella storia. Tumulto dei Ciompi, jacquerie del Medioevo francese, moti anabattisti di Germania, Comune parigina del ’71 sono innocenti fuochi fatui in suo confronto. Il proletariato dei due mondi ha istintivamente preso coscienza della assoluta novità e dell’importanza decisiva dell’esperimento russo. Il suo destino come classe ne dipende: de re sua agitur. Questo spiega la profonda commozione che pervade l’anima della folla lavoratrice dinanzi alla maggior tragedia sociale della storia.
Accadde qualche cosa di simile negli spiriti delle medie e colte classi europee di fronte agli avvenimenti della Francia rivoluzionaria che segnavano la riscossa del terzo stato contro gli ordini privilegiati e l’assolutismo monarchico.
Perfino nei paesi anglosassoni, perfino nella democrazia nordamericana, le masse operaie staccandosi dal corporativismo tradizionale, accennano a gettarsi nella mischia sociale, sventolando ben altre bandiere di lotta e di rivendicazione. Ciò che nel sistema politico antebellico fu per l’Europa borghese la Russia degli zar, sarà domani per l’Europa proletaria la Russia dei Soviet.
* Non firmato, L’Ordine Nuovo, 1° novembre 1919