Con l’avvento delle privatizzazioni e delle partecipate, dirigenti e managers pubblici hanno accumulato ingenti fortune; i loro stipendi sono cresciuti del 1000% e i premi di risultato sono legati ai guadagni in borsa, all’avanzamento dei titoli, agli utili prodotti con svendita del patrimonio pubblico.
Molte società sono pubbliche solo sulla carta; in realtà a tutti gli effetti sono private sia sotto il profilo della gestione del personale, che per il tipo di gestione, con l’accresciuto costo dei servizi che gravano sulla cittadinanza attraverso le tariffe o, di riflesso, con l’ imposizione tributaria.
Chi poi ha nominato managers e dirigenti non sono certo cittadini e lavoratori ma gli stessi politici (dal Pd al Pdl), che considerano le società pubbliche come una cosa di proprietà che fa solo gli interessi di chi governa, anche se oggi si ergono a moralizzatori e riformatori della Pubblica Amministrazione.
Se guardiamo alle prime manovre annunciate del Governo Renzi, si evince che la precarizzazione del lavoro è ancora uno dei principi guida, come se, in questi anni, la troppa precarietà, introdotta con il pacchetto Treu, avesse portato benefici. Non è un caso che tra 20 anni, proprio a causa dei contratti precari, avremo assegni previdenziali da fame e la generazione precaria avrà una vecchiaia ancora più problematica, se pensiamo che i servizi, oggi ancora -per poco- semi\gratuiti, saranno a pagamento, per cui non garantiti e accessibili a tutti.
L’altro caposaldo è lo smantellamento della Pubblica Amministrazione e la privatizzazione della stessa, per guadagnare consenso. D’altronde ci aveva già pensato Bassanini (altro bell’ esempio di ministro) che, con la scusa della semplificazione amministrativa, aveva fatto abolire ogni sistema di controllo, con il risultato di aumentare le scorribande di potere in funzione di clientele e ricerca di facile consenso.
Oggi si scoprono gli elevati stipendi dei managers per abbassare i quali basterebbe un decreto legge di una sola pagina, che determini tetti salariali per gli stipendi elevati, recuperando risorse da investire per rafforzare il potere di acquisto di chi da anni attende un rinnovo contrattuale (come appunto lavoratori e lavoratrici pubblici).
Non è un caso che tutto questo si e verificato, in termini di allargamento della forbice salariale, da quando i contratti della dirigenza dei comparti pubblici sono stati separati da quelli del restante personale, facendo perdere ogni controllo attraverso un’ equa parametrizzazione dei livelli salariali.
Non basta più alle oligarchie del potere, intreccio fra politica e capitalismo finanziario, che da sei anni i salari pubblici siano bloccati per disposizioni di legge attraverso il blocco della contrattazione collettiva e decentrata. Ora vogliono di più! Attaccano i settori pubblici, nascondendosi ad arte dietro la riduzione degli stipendi dei managers, che spesso e volentieri provengono dalle stesse fila dei moralizzatori dell’ultima ora.
Il Governo Renzi vuole tagliare migliaia di posti di lavoro (poi ci verranno a dire che le spese dell’Inps saranno insostenibili), mandarci in pensione prima del tempo (con pensioni ridotte e decurtazioni) ma lo svecchiamento della Pa non determina assunzione dei giovani precari che vengono, invece, sbattuti per strada perchè le normative viegenti ne impediscono la stabilizzazione.
Per raggiungere questi obiettivi (già sperimentati con la Thatcher e Reagan con risultati devastanti e costi sociali elevatissimi) è iniziata la seconda fase della denigrazione dei dipendenti pubblici (da fannulloni a privilegiati), dimenticando che PUBBLICO significa SANITA’, SERVIZI AL CITTADINO, SERVIZI EDUCATIVI, in sostanza risposte ai bisogni delle persone riconoscendo i loro diritti.
Del resto basterebbe guardare allo smantellamento delle Province, annunciato come risparmio economico dimenticando che (dati alla mano) la spesa delle province è la più bassa del settore pubblico, dimenticando che importanti funzioni (dalla manutenzione del territorio alla edilizia scolastica, dall’ambiente alla formazione\orientamento in ambito lavorativo) saranno smantellati senza che Comuni e Regioni siano nelle condizioni di assumerne gli oneri.
Eppure questi enti non hanno esistato a buttarsi sulle preda della “ex attribuzioni delle province” alimentando un cannibalismo politico istituzionale, già iniziato con la riforma del titolo quinto della Costituzione e l’istituzione della città metropolitane; processo proseguito poi attraverso le incentivazioni agli accorpamenti tramite unioni e fusioni di comuni, al fine di diminuire ogni forma di partecipazione democratica alla vita pubblica dei cittadini.
Anche in questo caso la demagogia e la disinformazione hanno prodotto il loro effetto.
Vogliamo continuare a credere alle storielle di Renzi oppure ad opporci con tutte le forze a questi processi strumentalmente antidemocratici, irrazionali e costosi di smantellamento della Pubblica amministrazione?
COBAS PUBBLICO IMPIEGO
28 marzo 2014