Gianluca Carmosino
Molti in questi giorni hanno richiamato l’autore di Non è mai troppo tardi, primo grande maestro della scuola a distanza. L’intervento più interessante è stato di Alessandra Falconi (Giocare con la realtà). Qui, invece, raccontiamo l’inizio di un percorso: l’incontro tra la redazione di Comune e i ragazzi e le ragazze delle prime medie della scuola Fratelli Bandiera di Roma, dove Manzi ha insegnato. Due gli obiettivi: far emergere il pensiero di brillante pedagogista critico accanto a quello di abile maestro che insegnò a leggere a milioni di adulti; mostrare come le passioni e le capacità di questo maestro, scrittore, divulgatore scientifico, educatore scout, autore di ottime trasmissioni in radio e tv, abbiano sempre avuto uno scenario di fondo profondamente politico. Pochi, ad esempio, ricordano quello che Manzi per oltre vent’anni fece ogni estate…
Il primo giorno in cui abbiamo incontrato gli insegnanti della scuola Fratelli Bandiera di Roma, per raccontare la nostra idea su come fare un giornale insieme ai ragazzi delle medie, siamo stati accompagnati in una breve visita. La prima tappa al secondo piano: accanto al laboratorio informatico e all’aula video, l’intera area sinistra ospita il laboratorio di scienze, la “Dinosaureria” (un museo che ogni anno si arricchisce di un nuovo plastico, di cartelloni e diorami) e una biblioteca multimediale. In realtà, grazie a un lavoro straordinario curato, in particolare, da Titti Mazzacane (maestra oggi in pensione ma ancora molto impegnata), banchi, pareti e armadi sono parte di una colorata galleria di arte, con plastici, disegni, riproduzioni in carta pesta, diorami, collage, acquarelli… realizzati negli ultimi anni dai tantissimi ragazzi e ragazze, un vero museo interdisciplinare nel quale la scuola diventa quella del fare. La seconda tappa, a cui Paola Balzano, docente di lettere, teneva molto, è stata invece su un terrazzo: “Qui è dove Alberto Manzi trascorreva molte ore con i bambini“.
Già, la Fratelli Bandiera è stata la scuola dove il maestro di Non è mai troppo tardi ha insegnato per molti anni. Qui, tra le molte cose, maturò la sua creativa e ostinata protesta contro l’ossessione dei voti, Fa quel che può, quel che non può non fa. Oggi, è un istituto comprensivo a indirizzo musicale, tra la Stazione Tiburtina e piazza Bologna, che include una scuola primaria e una secondaria di primo grado intorno alla quale è nata una vivace associazione di genitori (la proposta di giornalismo con i ragazzi nasce all’interno del progetto “Scuole aperte e partecipate in rete“, Scappare*).
È stato inevitabile pensare di utilizzare il laboratorio di giornalismo, più esattamente la preparazione (con i ragazzi e le ragazze delle tre prime medie) della pagina Cultura, per fare memoria del lungo passaggio in questa scuola di Alberto Manzi. Del resto, la prima proposta di Manzi giovanissimo insegnante con ragazzi di 9-17 anni fu proprio fare un giornale insieme: è il 1946 quando nel carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma i ragazzi pubblicano La Tradotta, di fatto il primo giornale nato in un carcere (dal lavoro svolto coi ragazzi Manzi rielaborerà in seguito il suo primo romanzo, Grogh, storia di un castoro, poi tradotto in ventotto lingue).
Ma come raccontare Alberto Manzi a dei ragazzi oggi? Quando si vuole parlare di Alberto Manzi ci sono almeno due obiettivi ambiziosi da perseguire: far emergere il pensiero di brillante pedagogista critico accanto a quello di abile maestro che insegnò a leggere e scrivere a milioni di adulti; mostrare come le passioni e le molteplici capacità di questo maestro, scrittore (di racconti ma anche di poesie), divulgatore scientifico, educatore scout, autore di ottime trasmissioni in radio e tv, abbiano sempre avuto uno scenario di fondo profondamente politico. Poche volte, ad esempio, viene ricordato come per oltre vent’anni Alberto Manzi ogni estate trascorreva più di un mese tre le comunità indigene dell’America latina, dove rischiò più volte la vita, per mettere a disposizione i suoi saperi di umile maestro insieme a poveri in lotta per migliorare le proprie condizioni di vita.
Il primo passaggio è stato raccontare gli aspetti principali della vita di Manzi. L’ottima biografia curata dal Centro Alberto Manzi ha semplificato il lavoro.
Il secondo passaggio è stato conoscere meglio insieme alcune sue idee. L’ultima intervista al maestro di Non è mai troppo tardi, messa in rete dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, resta un contributo prezioso su cui poter discutere con grandi e piccoli.
Il terzo passaggio è stato leggere e commentare due brevi testi scritti da Manzi. La lettura è stata introdotta con una piccola sfida tra due squadre, il cui obiettivo era ricostruire nel minor tempo possibile il puzzle con frasi estrapolate dalle due letture. Il primo testo, che abbiamo intitolato Questo mi mette in imbarazzo, è tratto dal libro Il tempo non basta mai, scritto pochi anni fa dalla figlia più piccola, Giulia Manzi, che ha rielaborato una lunga intervista al padre (conservata dalla madre di Giulia).
[…] Dovrei parlare di me e questo mi mette in imbarazzo. Che dire? Che scrivo libri? Che insegno? Che faccio questo e quest’altro?… Ha forse un significato la mia storia? Forse lo hanno più i personaggi dei miei racconti: Grogh, Orzowei, Pedro, El loco… e loro parlano dai loro libri. […] Non so perché scrivo… Forse perché «vivo». […] Perché affronto certi temi? In questo caso la risposta è più facile: voglio far sorgere nei giovani la coscienza dei problemi (coscienza, non solo conoscenza), far sapere loro che esistono certi problemi e che ognuno di noi è chiamato a risolverli. In fondo scrivo perché sono un rivoluzionario, inteso nel senso profondo della parola. Per cambiare, per migliorare, per vivere pensando sempre che l’altro sono io e agendo di conseguenza, occorre essere continuamente in lotta, continuamente in rivolta contro le abitudini che generano la passività, la stupidità, l’egoismo. La rivoluzione è una perpetua sfida alle incrostazioni dell’abitudine, all’insolenza dell’autorità incontestata, alla compiacente idolizzazione di sé e dei miti imposti dai mezzi di informazione. Per questo la rivoluzione deve essere un evento normale, un continuo rinnovamento, un continuo riflettere e fare, discutere e fare. Gli altri sono io. Agire per realizzare questo principio… Così scrivo nel tentativo di tenere questo spirito critico verso tutte le cose, anche verso quelle cose che sembrano già risolte ma che potrebbero essere migliorate. Questa è la mia fede. Il resto… […] Cordialmente… A. M.
Intorno ai concetti di coscienza e conoscenza, la conversazione (di cui proponiamo alcuni stralci) ha subito preso piede.
Emma (1B): “L’obiettivo della scuola dovrebbe essere insegnare, ma anche scoprire cosa accade nel mondo. Ciò che impariamo dovrebbe servire al nostro presente e al nostro futuro”.
Stella (1B): “La coscienza e la conoscenza possono aiutarci a capire la gravità dei problemi del mondo e a immaginare come possiamo intervenire”.
Sofia (1C): “Sono molto d’accordo con quello che scrive il maestro Manzi perché penso che ognuno di noi deve avere una coscienza. Dai problemi si imparano tante cose”.
Simone (1C): “È un testo molto bello”.
Zemka (1C): “Vuole trasmettere non solo cultura ma anche educazione. Vuole un rapporto diverso con gli allievi”.
Viola (1C): “A me è piace, è un invito a non saltare i problemi”.
Eleonora (1C): “Il maestro Manzi vuole far capire che non basta sapere, gli ostacoli si superano con la forza”.
L’altro testo letto è la Lettera di fine anno scolastico, scritta nel 1976 da Alberto Manzi agli alunni della quinta elementare.
Cari ragazzi di quinta, abbiamo camminato insieme per cinque anni. Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti. Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore. Abbiamo cercato di vivere insieme nel modo più felice possibile. È vero che non sempre è stato così, ma ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà. E in fondo in fondo siamo stati felici. Abbiamo vissuto insieme cinque anni sereni (anche quando borbottavamo) e per cinque anni ci siamo sentiti “sangue dello stesso sangue”. Ora dobbiamo salutarci. Io devo salutarvi. Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, ad essere voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o “addomesticare” come vorrebbe. Ora le nostre strade si dividono. Io riprendo il mio consueto viottolo pieno di gioie e di tante mortificazioni, di parole e di fatti, un viottolo che sembra identico e non lo è mai. Voi proseguite e la vostra strada è ampia, immensa, luminosa. È vero che mi dispiace non essere con voi, brontolando, bestemmiando, imprecando; ma solo perché vorrei essere al vostro fianco per darvi una mano al momento necessario. D’altra parte voi non ne avete bisogno. Siete capaci di camminare da soli a testa alta, PERCHÉ NESSUNO DI VOI È INCAPACE DI FARLO. Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi, SE VOI NON LO VOLETE. Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello SEMPRE in funzione; con l’affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo e voi dovete ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa riuscire ad amare, e… amore, amore. Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio. Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi. E ricordatevi: io rimango qui, al solito posto. Ma se qualcuno, qualcosa vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me, e io di voi. Ciao.
Anche in questo caso, dopo la lettura è nata un’appassionata discussione, a cominciare dal significato che viene attribuito all’espressione senso critico.
Emma (1C): “È un messaggio molto bello, è un invito a essere sempre se stessi”.
Riccardo (1C): “Sì, è un messaggio bello perché augura felicità”.
Valentina (1A): “Quelle parole sono un suggerimento: non facciamoci sfruttare”.
Babacar (1A): “Il maestro Manzi dice che non dobbiamo farci comandare, che dobbiamo difendere le nostre idee”.
Paolo (1A): “Già, non dobbiamo farci condizionare”.
Emma (1A): “In poche parole dice di portare nella vita di ogni giorno quanto imparato a scuola insieme”.
Stella (1B): “Senso critico significa che non sempre dobbiamo seguire gli altri”.
Shamit (1B): “Senso critico è non cambiare idee continuamente, non farsi influenzare”.
Tania (1B): “Dobbiamo essere quello che ci piace essere e non cambiare sempre opinione”.
Alina (1A): “Per avere un’opinione nostra dobbiamo prima conoscere molte cose”.
Andrea (1A): “Alberto Manzi forse era più di un maestro, cercava di imparare a vivere, a crescere, a ragionare con la propria testa”.
A questo punto è nata l’esigenza di approfondire e raccogliere testimonianze. Il quarto passaggio, appena cominciato, ha messo insieme l’intervista alla figlia Giulia Manzi (Non smetteva di stupirsi) e quella di Pierpaolo della 1A a sua mamma, alunna di Manzi (Un maestro diverso). Altri articoli saranno preparati nei prossimi mesi, magari accompagnati da incontri pubblici. Alberto Manzi sapeva sostare come pochi tra i pensieri dei più giovani. Per fortuna non ha smesso di farlo.
* Scappare coinvolge tre istituti comprensivi romani (Manin, Fratelli Bandiera, Parco della Vittoria) ed è un progetto selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.