di Nicoletta Bourbaki *
INDICE
[La prima puntata di quest’inchiesta (paragrafi 1-4) si trova qui]5. Nazifascismo, Resistenza e dopoguerra: diffamare, diffamare, diffamare
5a. Franco Basaglia
5b. Nuto Revelli
5c. Massimo Mila
5d. Anna Frank
6. Un limite strutturale del progetto Wikipedia
7. Prima di tutto, un nome: José Antonio Primo de Rivera
Post Scriptum 1. Diffidate delle imitazioni!
Post Scriptum 2. A proposito, che fine ha fatto Presbite?
Post Scriptum 3. Sulle nostre inchieste, dalla rivista storica «Passato e Presente»
5. Nazifascismo, Resistenza e primo dopoguerra: diffamare, diffamare, diffamare
Il «trattamento speciale» che Piero Calamandrei subisce per mano di Jose Antonio ci conduce all’analisi di una parte assai cospicua dell’attività di questo utente. Egli infatti non si limita a incensare e celebrare acriticamente i fascisti, ma, ogni volta che può, non manca di calunniare gli antifascisti. Vediamo alcuni casi emblematici.
5a. Franco Basaglia
Franco Basaglia, 1924 – 1980. Per la sua attività antifascista clandestina all’Università di Venezia, nel 1944 è arrestato e resta in carcere sei mesi, fino alla Liberazione. È un’esperienza che influenzerà la sua critica radicale all’istituzione del manicomio, e Basaglia ne parlerà più volte. Il fatto è riportato in tutte le sue biografie. Per il “foibologo” di ultradestra Pirina, invece, nello stesso periodo Basaglia era un milite repubblichino. Il falso storico finisce senza alcun filtro in un libro di Bruno Vespa, e da lì, grazie al lavorìo di Jose Antonio, TheIrrules e Presbite (non certo ignari del suo essere un falso), arriva su Wikipedia.
Abbiamo già avuto modo di puntare il riflettore sull’episodio ignominioso in cui si arrivò a riportare in it.wiki il falso storico di Franco Basaglia arruolato nelle fila repubblichine.
Il cono di luce con cui abbiamo illuminato la vicenda ha permesso di portare allo scoperto gli utenti che, muovendosi in maniera chiaramente coordinata, si sono adoperati per diffondere su it.wiki la calunnia a danno dello psichiatra veneziano: TheIrrules, Presbite e, appunto, Jose Antonio.
È utile però tornare sul luogo del misfatto, sia per la gravità della maldicenza, sia perché, continuando a puntare il riflettore su quella vicenda, se ne scoprono nuovi aspetti.
Se, nella nostra prima ricostruzione, a Jose Antonio veniva conferito un ruolo da comprimario, per come giocò quella sporca partita oggi ci sembra più corretto indicarlo come co-protagonista nella regia dell’operazione, a pari demerito con TheIrrules e con l’uomo che si fa chiamare Presbite. Rendiamogli giustizia, dunque, e raccontiamo nuovamente questa faccenda sporchissima, tenendo lo sguardo fisso sulle sue mosse.
Come avevamo scritto nella prima ricostruzione, le prove generali di questa infamia ai danni di Basaglia avvennero nella voce dedicata all’Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli – alla cui stesura avevano alacremente collaborato Presbite, TheIrrules e Demiurgo, con qualche comparsata di Jose Antonio.
Brevemente: nell’agosto del 2011 TheIrrules annuncia nella talk di Presbite di essere in possesso di un’«info secondaria ma interessante» che presenta poche ore dopo nella pagina di discussione della voce («Altre info, altre fonti»), con proposta d’inserire nella voce vera e propria «la mini-info sulla sorte di Basaglia come componente della colonna Morsero».
La fonte di questa informazione è Vincitori e vinti di Bruno Vespa. Forse perché già da alcuni mesi le intenzioni di Presbite (spalleggiato da TheIrrules) sono quelle di candidare la voce a «voce di qualità», più miti valutazioni spingono i Nostri a lasciar perdere e dalla pagina di discussione lo schizzo di fango non arriva nella voce. Jose Antonio è già un frequentatore di questa voce, come si evince dalla cronologia degli edit, e risulta difficile immaginare che la citazione dal volume Vincitori e vinti riportata da TheIrrules sia passata a lui inosservata.
Passano alcuni mesi e, il 4 novembre 2011, il falso storico che vuole Franco Basaglia repubblichino appare per la prima volta in una voce di it.wiki, proprio quella dedicata alla sua biografia, per mano di Jose Antonio spalleggiato dal sempre fido TheIrrules. Quest’ultimo poche ore dopo l’edit del sodale, interviene nella voce per precisare le due fonti utilizzate a sostegno dell’informazione inserita: il già citato libro di Bruno Vespa e – con link a Google Books – il riferimento a quanto riportato dal “foibologo” di estrema destra Marco Pirina nel suo libercolo 1945-1947. Guerra civile: la rivoluzione rossa, a cui lo stesso Vespa aveva a suo tempo attinto.
Sì, si tratta di quel Pirina, l’uomo dedito a cogliere sussurri. Il suo libercolo, pubblicato nel 2004, è edito dal famigerato Centro studi e ricerche storiche «Silentes loquimur», molto attivo nell’invenzione della pseudo-foiba del Bus de la Lum e, più in generale, della “foibologia”.
L’edit, riportato nelle prime righe della voce, è lapidario:
«Inquadrato in un reparto della Repubblica Sociale Italiana [Franco Basaglia] nel 1945 fu arrestato ed incarcerato nel campo sportivo di Novara».
Dura però meno di 24 ore. Il giorno dopo, l’utente Piero Montesacro cancella l’edit e contestualmente solleva un problema di conflitto di fonti a proposito dell’appartenenza alla RSI attribuita al giovane Basaglia, così come sostenuto da Pirina e Vespa, con un intervento nella pagina di discussione della voce.
Dopo questo uno-due Jose Antonio-TheIrrules va segnalato lo scambio di cordialità nelle rispettive talk, dove il secondo si complimenta col primo per la puntualità delle sue modifiche e Jose Antonio risponde facendo riferimento ad «antiche discussioni sull’argomento» a proposito del libro Vincitori e vinti e di Basaglia.
Il 1° maggio 2012 TheIrrules torna alla carica nella voce Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli e vi riporta che «tra le truppe fasciste c’era il giovane Basaglia», non prima di aver annotato nella pagina di discussione che «passati mesi mi sono preso l’onere di inserire la notazione in voce, essendo peraltro già presente nella biografia di Basaglia».
Scrive «onere», ma va letto senza timor di smentita onore.
Si noti pure il falso nel falso: la notazione non era affatto «già presente nella biografia di Basaglia». Infatti, come abbiamo visto, nella voce Franco Basaglia lo schizzo di fango è rimasto meno di 24 ore, circa sei mesi prima. TheIrrules lo sa benissimo, e come lui lo sanno l’uomo che si fa chiamare Presbite e, soprattutto, Jose Antonio, che si guarda bene dall’intervenire: eppure è attivo da tempo nella scrittura della voce Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli e ha scritto di «antiche discussioni sull’argomento» nel cameratesco scambio di apprezzamenti con TheIrrules riportato poco sopra, ma soprattutto suo era l’edit annullato da Piero Montesacro nella voce Franco Basaglia. La nota sul «conflitto di fonti» che aveva accompagnato il revert non poteva essergli sfuggita. Ma a volte è meglio fingere di non sapere, di non ricordare: anche questo fa parte del repertorio d’azione della strategia del ratto.
5b. Nuto Revelli
Nuto Revelli, 1919 – 2004
La voce Nuto Revelli è stata creata nella primavera del 2005. Come è fisiologico per Wikipedia, inizialmente la voce dedicata al partigiano e scrittore è solo un abbozzo, che viene via via integrato dagli utenti. Jose Antonio compare per la prima volta nella cronologia degli edit di questa voce l’8 novembre 2009, aggiungendo al paragrafo dedicato agli anni giovanili di Revelli che durante i due anni in cui frequentò l’Accademia dell’Esercito di Modena raggiunse «il grado di capomanipolo della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale» [link].
La Milizia volontaria di sicurezza nazionale fu costituita nel dicembre 1922 per dare un inquadramento ufficiale alle squadre d’azione fasciste (le «camicie nere») nel quadro del processo di fascistizzazione dello stato. Dal 1924 quando per decreto divenne «parte delle Forze Armate dello Stato», perse sempre di più la caratterizzazione di milizia a uso esclusivo del PNF, venendo assimilata all’esercito. Su questa ambiguità di fondo MVSN-esercito gioca l’edit di Jose Antonio. L’informazione è inserita da lui senza essere accompagnata da una fonte. Rimarrà presente per quasi due anni, fino a quando un utente non registrato la correggerà riportando il grado acquisito da Revelli nell’esercito regio.
Una prima incursione, una cosa di poco conto, se non fosse che Jose Antonio tornerà successivamente a editare in questa voce, confermando fuori da ogni dubbio l’intenzione che già questo primo intervento tradiva: instillare in chi legge il dubbio sulla buona fede di Nuto Revelli e sul suo antifascismo; insinuare l’esistenza di un “peccato originale” occultato, alla luce del quale infangare tutta la sua esperienza partigiana e, per estensione, la resistenza nel suo complesso.
Jose Antonio sa attendere e valutare l’opportunità d’intervenire, anche sulla base delle carte che tiene in mano e può giocarsi, così come tiene conto degli utenti che in un dato momento sono attivi in una voce. Torna alla carica nell’ottobre 2013, e in poco più di 24 ore segna numerosi edit nella cronologia della voce dedicata a Revelli.
La tattica consiste nel confondere modifiche di sostanza tra edit che paiono essere di innocuo riordino della voce, ed è così che in un colpo solo Revelli viene rappresentato come un opportunista e un sanguinario serial killer: con un edit dal sapore malizioso viene infatti riportato che si unì alla resistenza «a seguito dello sbarco di Anzio», dopodiché viene descritto come un redivivo Torquemada dedito a infliggere torture prima di passare per le armi giovani rei di essere confluiti nelle formazioni partigiane al solo scopo di evitare l’arruolamento nelle truppe repubblichine:
«Revelli era solito condannare a morte anche per reati minimi giovani partigiani che si erano recati in montagna per sfuggire all’arruolamento nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana. La metodologia seguita implicava la punizione del palo, cui seguiva la preparazione della fossa e la fucilazione» [link].
Su cosa si basa un’accusa tanto grave? In termini di consequenzialità ce lo suggerisce l’edit immediatamente precedente di Jose Antonio, che riporta:
«Mentre dopo aver assunto la guida della brigata Giustizia e Libertà gli altri partigiani del suo reparto gli dedicarono alcune strofe della Canzone di Paralup “Ora abbiamo un capitano che è buono come il pane è Dio in terra. Ha solo una fissazione palo, fossa e fucilazione per tutti quanti”» [link].
Una canzone scritta e cantata dagli stessi partigiani che combattevano al fianco di Revelli, diventa una prova sufficiente per riportare nella voce l’accusa che vuole Revelli aguzzino e fucilatore a cuor leggero.
Aldo Alessandro Mola
Stavolta però Jose Antonio è forte di una fonte da citare a sostegno dei suoi edit: fresco di stampa nel numero di ottobre 2013 della già menzionata rivista Storia in rete, un articolo a firma di Aldo Alessandro Mola dal titolo Le molte morti del partigiano Scagliosi.
Prima di entrare nel merito di questo articolo, presentando brevemente il suo autore e la rivista su cui è stato pubblicato, va detto che qui Jose Antonio si fa forte del semplice fatto di poter citare una fonte, senza che necessariamente questa sia attendibile, tantomeno autorevole. È un limite di it.wiki che nel suo lavoro d’inchiesta Nicoletta Bourbaki ha già avuto modo di evidenziare, in modo particolare nelle voci dedicate al fascismo e al fiorire di “eccidi” per mano partigiana che sono rubricate nella versione in italiano dell’Enciclopedia libera.
A dispetto di quanto indicato nelle linee guida sulle Fonti attendibili, nella pratica quello che conta è riportare una fonte qualunque per “blindare” un edit. Le regole di it.wiki prevedono che l’eliminazione di un testo che rimandi a una fonte citata, sia considerato vandalismo a meno che non si porti una fonte diversa che nello specifico contraddica quanto affermato dalla prima.
Come scritto, l’articolo di Aldo A. Mola è pubblicato su Storia in rete, rivista di divulgazione storica che, lo abbiamo visto, ha tra i principali collaboratori Emanuele Mastrangelo, già noto per essere stato espulso a vita («ban infinito») da it.wiki nel 2011 e per essere uno dei due autori del libro Wikipedia, già recensito su Giap da Salvatore Talia nel post Fascinazione Wikipedia. Il mito della «cricca» e il conflitto reale.
Roberto Giacobbo, tra i role model dei «divulgatori» di Storia in rete.
In una battuta possiamo dire che Storia in rete vorrebbe stare alla divulgazione storica come Focus sta alla divulgazione scientifica, ma più correttamente, se si guarda alle sue copertine, titoli e sommari, il paragone più corretto è con Voyager Magazine, la rivista dell’omonima trasmissione televisiva ideata da Roberto Giacobbo che punta tutto su presunti misteri insoluti in vari campi e pseudoscienze in generale.
Lo stesso Mola – che, tra le altre cose, è membro del comitato scientifico di Storia in rete – con Giacobbo ha rapporti di collaborazione di lunga data, da lui così sintetizzati in un’intervista:
«Ho la fortuna di collaborare con Roberto da almeno quindici anni. Sono intervenuto in molte sue trasmissioni su temi storici, dai Templari a Napoleone, dal Risorgimento all’Antico Egitto. Insieme abbiamo realizzato due approfondimenti su Giosuè Carducci e su Giuseppe Mazzini. Insieme parlammo di massoneria esplorando la sede della Gran Loggia d’Italia a Palazzo Vitelleschi in Roma. Roberto è un professionista rigoroso ed è anzitutto uno studioso appassionato. Quando affronta un tema lo studia in tutti i suoi aspetti. E poi si pone dal punto di vista di chi se lo troverà davanti per la prima volta e si porrà tante domande».
Queste parole sono un’ottima sintesi dei temi e dell’approccio che è anche di Storia in rete, che si caratterizza però anche per l’ampio risalto dato al giustificazionismo nei confronti del fascismo e in cui si trovano spesso articoli di puro discredito della resistenza, mentre si tessono le lodi di chi si schierò con la repubblica fantoccio di Salò. In sintesi, vi si trova il peggio della vulgata revisionista e sciovinista italiana, resa pop probabilmente per ragioni commerciali.
Aldo A. Mola è però anche altro: convinto monarchico è presidente della Consulta dei senatori del regno (una delle associazioni che si bisticcia ancora oggi il primato di fedelissimi della monarchia sabauda), anticomunista e studioso della massoneria; così è generalmente presentato, a volte in qualità di «storico», altre più genericamente come «saggista», sempre come «prof.»
Passando all’articolo di Mola che Jose Antonio utilizza come fonte per gli interventi nella voce biografica di Nuto Revelli, in generale si presenta come una disamina di un episodio singolo – quello appunto del partigiano Scagliosi già citato nel titolo – attraverso il confronto tra testi di memorie partigiane (Dante Livio Bianco, Aldo Sacchetti, lo stesso Nuto Revelli), alla ricerca di contraddizioni che possano giustificare la tesi di una ricostruzione dell’episodio che occulti la verità, perché per l’autore è noto che
«La fiaba della Guerra Partigiana punta sulla disinformazione. Ne è un esempio l’osanna che ha salutato il “Villaggio della libertà” a Paraloup, in un valloncello laterale della Valle Stura, ove, secondo il mito si raccolsero Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco, Dino Giacosa, Leo Scamuzzi. “A loro – è stato scritto nel 70° del luglio-settembre 1943, foriero appunto di nuove leggende – si unì Nuto Revelli, reduce dal fronte russo”.»
Mola è forte di alcune certezze, come ad esempio quella secondo cui «tutto sommato i cattolici osservanti erano meno sanguinari di socialcomunisti e azionisti e non potevano nascondere a se stessi il ventennale sostegno dalla Chiesa dato a Mussolini». A proposito di Revelli, è lapidario nel sostenere:
«Nelle fila di Giustizia e Libertà, Revelli entrò dopo lo sbarco angloamericano ad Anzio, quando cioè fu chiaro che gli Alleati avevano davvero deciso di avanzare verso nord: lento pede, però, contrariamente a quanto molti si illudevano fossero intenzionati a fare per togliere loro le castagne dal fuoco…».
Come si può leggere, Jose Antonio non ha fatto altro che scopiazzare il passaggio, lasciando che sia il lettore della voce Nuto Revelli a trarre la conclusione, suggerita ma non esplicitata, che la scelta di Revelli fosse dettata da opportunismo.
Il punto è che sia Mola sia Jose Antonio, nell’insinuare questa conclusione, omettono che Nuto Revelli, prima di entrare nelle formazioni di Giustizia e Libertà, con altri reduci dalla disfatta sul fronte russo costituì la formazione Compagnia Rivendicazione Caduti. Era il 5 ottobre 1943. Allo sbarco di Anzio mancavano più di tre mesi. È lo stesso Revelli a riportarlo nel suo La guerra dei poveri, e lo conferma indirettamente Santo Peli nel suo La Resistenza in Italia (Einaudi, Torino 2004) quando, affrontando il peso della disfatta della Campagna italiana di Russia nel determinare la scelta di molti di unirsi alle formazioni partigiane in montagna, cita lo stesso Revelli: «Per molti di loro è qui, nella steppa russa, che “pietà l’è morta” come proclamerà il più famoso canto partigiano, scritto appunto da Nuto Revelli» (p. 32).
Ed è interessante quanto scrive Peli, perché ci dà un’indicazione delle possibili ragioni che spingono il monarchico Mola e Jose Antonio ad avanzare insinuazioni tanto infamanti nei confronti di Revelli, che non smise mai di condannare per la loro ignavia criminosa Mussolini e il regime, senza fare sconti nemmeno alla monarchia e ai Savoia per le loro responsabilità:
«Andavo a migliaia di chilometri da casa mia, ad ammazzare o a farmi ammazzare, ma per che cosa? Per la “Patria”. Quale “Patria”? Quella del fascismo, della monarchia, dei Savoia?» (Discorso per il conferimento della laurea honoris causa, ottobre 1999)
«Io la responsabilità la do sempre a quell’uomo – Mussolini – ma anche al regime, ai vertici militari, al potere economico, alla monarchia. Anche quel re piccolo piccolo sapeva tutto» (Conversazione con Loris Campetti, pubblicata sul supplemento de il manifesto “Ricordate quel 25 aprile?”, 1995)
E le accuse di sevizie? Come abbiamo visto, sembrano fondarsi sul testo di una canzone scritta e cantata dagli stessi partigiani. E su cosa le basa l’articolo di Mola così prezioso per Jose Antonio? Ecco l’estratto:
«Che la guerra partigiana fosse dura, Nuto Revelli lo fece capire ai propri subalterni appena prese il comando della IV banda giellista in Valle Stura. Una canzone lo ricorda come il “Dio eterno” ma con una “fissazione”: “Pal, tampa e fusiliasiun per tuti quanti”, cioè punizione del palo, scavarsi la fossa e fucilazione. In effetti – è documentato – nella sua “banda” vennero fucilati ragazzotti che in montagna erano andati per sottrarsi alla precettazione della RSI e si erano resi colpevoli di piccoli reati. […] Nelle “bande” […] furono inventati e applicati codici di pace e di guerra come se lo Stato di diritto, i codici vigenti, non esistessero più. Un brutto precedente…»
Al netto di quel «è documentato» – a cui però non segue indicazione sul dove, come e da chi -, anche Mola si basa sul testo della Canzone di Paralup, interpretato alla lettera, senza dare spazio a un’interpretazione figurativa, ironica e autoironica. Ma basta ascoltare la canzone e leggerne i versi per capire il vero mood: «Ci facevamo le tagliatelle con il tritolooo […] / E Alberto, per risparmiare, / ci faceva persino mangiare / il pane di merdaaa…»
Il testo della canzone venne composto collettivamente dagli stessi partigiani che combattevano nella formazione guidata da Revelli nel marzo 1944, durante le operazioni di abbandono della borgata Paralup (nel comune di Rittana, tra le valli Stura e Grana) dove nell’autunno dell’anno precedente, alla guida di Duccio Galimberti, si formò e operò la banda «Italia Libera», che poi dette vita alla Prima e Terza divisione di Giustizia e Libertà. La strofa completa in cui si fa riferimento a Revelli – tradotta in italiano – recita: «Ora abbiamo un capitano / che è buono come il pane / è Dio in terra. / Ha solo una fissazione / palo, fossa e fucilazione / per tutti quanti.»
Claudio Pavone, 1920 – 2016
Chi ha letto l’imprescindibile opera di Claudio Pavone Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza sa con quanto equilibrio lo storico piemontese abbia trattato la difficile questione della giustizia partigiana. La giustizia sommaria e la pena di morte sembravano porsi in contrasto con gli ideali stessi per cui lottavano i partigiani; d’altro canto, le stesse condizioni di fatto che impedivano la costituzione di tribunali regolari e precludevano la possibilità di ricorrere a pene detentive, imponevano l’adozione di una ferrea autodisciplina e di metodi punitivi drastici non solo per i traditori e le spie, ma anche per chi, nelle file della resistenza, anziché lottare contro i fascisti e i nazisti si abbandonasse ad azioni di criminalità comune (rapinatori, grassatori, ladri ecc.).
Opportunamente, Pavone cita un passo del diario di Nuto Revelli:
«Il fenomeno del banditismo si sta allargando […] Tanti ne pescheremo, tanti ne fucileremo. Se vorremo evitare che i tedeschi e i fascisti facciano di ogni erba fascio, speculandoci su per diffamarci, non dovremo perdonare.»
Ancora nel 1990, in un’intervista rilasciata a Emma Mana, Revelli si assumeva il peso della responsabilità derivante dal dover garantire, come comandante, la reciproca affidabilità tra i componenti di una banda:
«Noi eravamo severissimi con chi sgarrava. C’era un patto ben preciso che era questo: chi scappa, chi non spara, chi si nasconde, chi non si comporta come dovrebbe comportarsi, frega gli altri. […] Nessuno deve vivere di rendita, […] nessuno deve fare il lavativo».
C’era al contempo da garantire buoni rapporti con la popolazione delle aree dove le bande operavano, tenuto anche conto che i partigiani si trovano a riempire sovente un vuoto istituzionale, «che li porta a esercitare una funzione di supplenza, amministrativa e di polizia» (Peli, p. 244).
Altro che «brutto precedente», come scrive Mola, dimentico che il vuoto istituzionale derivò in primo luogo dalla «fuga ingloriosa» di Badoglio, di Vittorio Emanuele III e di tutta la sua corte «verso terre sicure», all’alba del 9 settembre 1943.
Come abbiamo visto, la complessità di questa materia, con tutti i suoi i dilemmi etici difficili e dolorosi per chi li visse, non ha certo impedito a Jose Antonio di attuare una drastica semplificazione. Lo stesso utente che abbiamo visto procedere con passo felpato e con ovattata delicatezza nello sfumare le responsabilità di Giuseppe Solaro e di altri fascisti, non manifesta invece dubbio alcuno quando si tratta di Nuto Revelli, il quale viene presentato tout court come un fucilatore.
Tornando alla voce Nuto Revelli e agli infamanti edit di Jose Antonio dell’ottobre 2013, questi vengono spazzati via nel luglio 2015 dall’utente Amok 21 che così commenta la cancellazione: «Fonte inesistente e contenuto incoerente visto che Revelli era egli stesso partigiano».
Ma Jose Antonio non si dà per vinto, sa attendere. Il 22 maggio 2016 torna alla voce e riporta nuovamente l’accusa a Revelli di essere un aguzzino dalla fucilazione facile, stavolta tralasciando l’opportunismo di una sua tarda adesione alla resistenza, anche perché nei giorni precedenti l’utente Lucio.monaco ha ripulito la sezione «Gioventù» precisando la data di nascita della «Formazione rivendicazione caduti» e commentando:
«Tutta la sezione “Gioventù”, che si basava su un’unica fonte priva di riferimenti bibliografico-documentari e con diversi errori (per esempio che Revelli fosse stato ferito al volto in Russia) o affermazioni prive di riscontro».
Da qui uno scontro al limite di una edit war, con Lucio.monaco che cassa anche la parte basata sul testo della Canzone di Paralup e Jose Antonio che la inserisce nuovamente. Un braccio di ferro a colpi di revert, fino a quando, ai primi di giugno, la questione è portata nella pagina di discussione della voce, uno spazio in cui Jose Antonio sa che è meglio non esporsi oltre, dove è più difficile riproporre i suoi edit, commentando «Aldo Alessandro Mola è uno storico riconosciuto». E infatti, chiamato direttamente in causa, veste come se nulla fosse i panni dello scrupoloso utente wikipediano ligio alle regole interne, riposizionando la sua condotta nell’alveo del dispositivo Wikipedia.
La partita, ad oggi, è ancora in corso. Jose Antonio sta operando una ritirata strategica. Noi ci auguriamo che sia l’ultima, e per nulla strategica. Cantiamogli in coro questa strofa, lo dobbiamo a Nuto Revelli:
«T’ l’as mail dit parei,
t’ l’as mai fait parei,
t’ l’as mai dit, t’ l’as mai fait,
t’ l’as mai dit parei,
t’ l’as mai dilu: sì sì
t’ l’as mai falu: no no
tutto questo salvarti non può.»
5c. Massimo Mila
Il futuro autore della Breve storia della musica, arrestato nel maggio 1935 in una retata che coinvolse l’intero gruppo torinese di Giustizia e Libertà, fu condannato a una pesante pena detentiva in uno dei tanti processi-farsa celebrati dal tribunale speciale fascista.
Questo sopruso, di cui fu oggetto l’illustre musicologo così come tante altre vittime di un regime liberticida, nell’interpretazione di Jose Antonio diventa incredibilmente una macchia sulla reputazione dello studioso. Difatti Jose Antonio, basandosi su una fonte evidentemente faziosa e di scarsa qualità storiografica (un libro edito dalle Edizioni Ares, un editore di estrema destra), con due edit del maggio 2013 imputa a Mila di aver ceduto alle pressioni dei suoi persecutori:
«[…] il 15 maggio del 1935, subisce per la seconda volta l’arresto insieme ad Einaudi, Foa, Ginzburg, Antonicelli, Bobbio, Pavese, Carlo Levi e Luigi Salvatorelli. Durante il processo testimoniò contro Vittorio Foa, ma ciò nonostante fu condannato dal Tribunale Speciale a sette anni di reclusione, insieme tra l’altro a Riccardo Bauer e Ernesto Rossi, che sconta nel carcere di Regina Coeli a Roma. Nel tentativo di ottenere la libertà scrisse inoltre una lettera diretta a Mussolini: “Mai più mi permetterò di fare o esprimere qualche cosa che possa essere, direttamente o indirettamente, comunque ostile, o contrario, o dannoso al Regime» [link].
L’edit di Jose Antonio è un buon esempio di quell’atteggiamento da sempre molto in voga presso i nostri revisionisti, che Norberto Bobbio – in un intervento pubblicato sul Corriere della Sera del 13 agosto 1995 – definì «mettersi dalla parte del dittatore». Esso consiste nel
«deplorare gli stratagemmi con cui in regime di dittatura ci si difende dalla prepotenza […] Ci si mette dal punto di vista del dittatore quando non si pronuncia una sola parola per condannare l’imposizione arbitraria, ma si levano alte grida per denunciare chi cerca di cavarsela con i soli mezzi che la dittatura concede.»
Per quelli come Jose Antonio l’antifascista deve pagare fino in fondo le conseguenze della sua scelta, accettando serenamente tutto quanto: arresto, detenzione arbitraria, tortura, processo-farsa e condanna, senza mai tentare di sottrarsi alla “giusta” punizione; ogni suo cedimento è una colpa, mentre ogni abuso da parte dei suoi persecutori viene dato per scontato e implicitamente giustificato.
5d. Anna Frank
Anna Frank, 1929 – 1945
All’inizio del 2016 una banale disputa legale su questioni di diritti d’autore offre a Jose Antonio il destro per insinuare dubbi sull’autenticità del Diario di Anna Frank.
Attribuendo, di passata, al negazionista Robert Faurisson l’immeritata qualifica di storico, Jose Antonio scrive:
«Il 1° gennaio 2016, alla scadenza dei diritti d’autore, il professore Olivier Ertzscheid e la parlamentare Isabelle Attard pubblicarono online il testo dei diari scatenando le proteste della fondazione “Anne Frank Fonds”, secondo cui il copyright sui diari sarebbe scaduto in realtà solo nel 2050 in quanto il padre di Anna indicato inizialmente solo come curatore dei Diari a partire dal 2016 avrebbe dovuto essere considerato anche coautore dell’opera».
In realtà il ruolo di Otto Frank nella compilazione della prima edizione del Diario è ben noto da almeno trent’anni e non costituisce affatto un’obiezione all’autenticità del testo, ma questo non impedisce a Jose Antonio di sottolineare la propria bravata in pagina di discussione, stigmatizzando la pretesa della Fondazione Anne Frank di «prolungare i diritti per vil denaro». È certamente casuale e non voluta, in questo intervento di Jose Antonio, ogni allusione all’odioso cliché antisemita dell’ebreo avido di denaro.
6. Un limite strutturale del progetto Wikipedia
La macchina sparacalunnie anti-antifascista allestita da Jose Antonio, così come il medagliere “nostalgico” da lui confezionato, suscitano alcune riflessioni sul progetto Wikipedia e sulle sue regole. È normale che un’enciclopedia possa diventare veicolo di un programma propagandistico così smaccato come quello portato avanti – non senza sostegni e complicità – da questo utente?
Uno degli slogan di Wikipedia recita:
«Con i tuoi interessi e le tue conoscenze puoi far crescere il sapere libero e l’enciclopedia. Scrivi nuove voci, traducile, amplia quelle già esistenti: il tuo contributo è prezioso!»
Orbene, come già riportato in precedenza, l’elenco dei “contributi” di Jose Antonio è imponente. Non c’è dubbio che, da un punto di vista meramente quantitativo, Jose Antonio abbia fatto crescere l’Enciclopedia, nello stesso senso in cui si può dire che le spese militari facciano crescere il PIL di una nazione. Da questo punto di vista Jose Antonio è anzi un utente benemerito, perché è uno che lavora sodo, assiduamente e instancabilmente, scrive molto e crea parecchie voci, contribuendo a colmare il dislivello quantitativo fra it.wiki e le altre wiki più importanti. Nella logica di Wikipedia, la qualità delle voci da lui redatte non è un problema, perché una voce su un argomento enciclopedico, per quanto possa essere scritta male, è in ogni caso meglio di niente, dal momento che offre comunque alcune informazioni e costituisce una base per futuri miglioramenti.
Miguel Gotor
Se però usciamo dall’ottica di Wikipedia e delle sue regole interne, troviamo che nessuna vera enciclopedia funziona secondo tali criteri.
Sono degne d’attenzione le critiche formulate dallo storico Miguel Gotor, quando riscontra nel progetto Wikipedia «un’erronea e fuorviante sovrapposizione dei concetti di informazione e di conoscenza».
Secondo Gotor, un’enciclopedia propriamente detta «si assume l’onere […] di istituire proporzioni e tassonomie che in Wikipedia scompaiono in favore di un principio di auto-organizzazione puramente quantitativo»; in Wikipedia si realizzerebbe piuttosto, per Gotor, «una struttura cumulativa-compulsiva» basata su «una pedagogia collaborativa improntata all’ottimismo antropologico» e su di «un ideale collettivista di ispirazione anarcoide-liberista» che punta ad «una continua e progressiva frammentazione del sapere e delle informazioni» assimilate ad una sorta di «libero mercato parcellizzato» delle notizie che devono essere messe, nella maggiore quantità possibile, a disposizione degli utenti-consumatori. L’ingenuo ottimismo antropologico di Wikipedia la renderebbe in realtà, secondo Gotor, vulnerabile all’attività di «disinformazione» operata da «sette, negazionismi e revisionismi vari» i quali «approfittano del disinteresse che anima il wikipediano ordinario per agire strumentalmente su Wikipedia» operando una vera e propria «manipolazione propagandistica» delle voci (cfr. M. Gotor, L’isola di Wikipedia. Una fonte elettronica, in AA.VV. (a cura di Sergio Luzzatto) Prima lezione di metodo storico, Laterza, Roma-Bari 2010).
Alla luce delle critiche formulate da Gotor, pressoché tutti i contributi di Jose Antonio risultano improntati a questa confusione tra informazione e conoscenza. Che Massimo Mila non abbia resistito al terzo grado della polizia fascista, o che Brasillach sia morto gridando «Vive la France!», sono tutte «informazioni» che corrispondono, entro certi limiti, a fatti veri e documentati. Sono però informazioni che contribuiscono ben poco alla conoscenza dei rispettivi argomenti, e che appaiono scelte secondo un criterio di propaganda politica, a scapito di altre informazioni più pertinenti all’oggetto, che però in voce non compaiono in quanto non utili all’obiettivo propagandistico perseguito dal nostro utente. Di più: voci d’enciclopedia che fanno di Nuto Revelli un aguzzino e di Giuseppe Solaro un benefattore dell’umanità, di Massimo Mila un delatore e di Robert Brasillach un eroe, dal punto di vista della conoscenza non sono solamente inutili ma sono dannose perché gravemente fuorvianti. Per ciascuno di questi argomenti, in realtà,piuttosto che avere delle voci così male impostate, sarebbe meglio che non ci fosse nessuna voce.
Alle critiche di Gotor un buon wikipediano risponderebbe menzionando i meccanismi di autocorrezione insiti nelle regole del Progetto. Ogni voce di Wikipedia, arguirebbe, purché abbia a oggetto un argomento meritevole di essere compreso nell’Enciclopedia, una volta che sia stata creata può solamente migliorare. Il contributo di un singolo utente che non rispetti la regola del «punto di vista neutrale» verrà infallibilmente corretto allorché in voce interverranno altri utenti, che espungeranno le informazioni false e integreranno tutte le informazioni vere e pertinenti di cui la voce ha bisogno.
Il nostro wikipediano ortodosso farebbe poi notare che, di tutte le voci che abbiamo preso a esempio, quasi nessuna è rimasta nelle condizioni in cui l’aveva lasciata Jose Antonio: il che dimostra, concluderebbe, che il Progetto è sano e che le regole funzionano.
L’ottimismo antropologico del nostro buon wikipediano si scontra però con alcune considerazioni di fatto.
Cosa succede quando le ipotetiche frotte di utenti sempre pronte a correggere ogni voce, previste dalla teoria del laissez faire wikipediano, in realtà non si fanno vive? Può infatti accadere che una voce, magari su un argomento molto settoriale e poco conosciuto, come può essere ad esempio la biografia dei gerarchi fascisti, rimanga “sbagliata” anche per mesi o anni prima che qualcuno se ne accorga e ci metta una pezza.
Lorenzo Berti, leader di Casapound Pistoia, «chiama alle armi» i camerati
E cosa succede quando l’interesse casuale e disperso di una moltitudine di utenti deve porre rimedio all’azione sistematica di un utente che ha una propria agenda propagandistica e la porta avanti con metodo e con determinazione?
Peggio ancora: cosa succede quando, anziché un utente singolo, ci si trova di fronte a un gruppo organizzato di utenti, che si spalleggiano l’un l’altro e fanno muro ai tentativi di ostacolare la loro azione?
Forse non tutti sanno che su Wikipedia è stata attiva per anni una task-force di militanti di Casapound che bloccava le informazioni sgradite al loro partitino. È stata smascherata nel giugno 2016, ma non certo grazie ai meccanismi di autovigilanza e autocorrezione di Wikipedia. Anche in quel caso, come oggi, ci è voluta un’inchiesta esterna.
Quanti altri gruppi del genere sono attivi in questo momento? Come agire quando iniziative simili mandano in tilt la logica interna di it.wiki?
Lasciamo aperti questi interrogativi, che secondo noi non possono essere risolti nella teoria ma solamente nella prassi.
7. Prima di tutto, un nome: José Antonio Primo de Rivera
All’inizio di questo post, introducendo l’utente Jose Antonio, abbiamo indicato come illuminante la scelta del suo username (l’elemento che consente di identificare in modo univoco un utente di Wikipedia), essendo questo un chiaro omaggio al fondatore e capo della Falange Española: José Antonio Primo de Rivera.
Abbiamo anche anticipato che Jose Antonio è stato molto attivo nella scrittura di un micro- cluster di voci che comprende quella biografica di José Antonio Primo de Rivera e le voci dedicate alla Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista e – anche se in modalità differente – alla Falange Española Tradicionalista y de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista.
La prima fu il partito fondato nel 1933 proprio da José Antonio Primo de Rivera, il cui obiettivo era l’individuazione della «via spagnola al fascismo» e i suoi capisaldi erano un acceso nazionalismo, il tradizionalismo, la religiosità, nonché l’esaltazione della violenza e dell’azione. Nell’ottobre 1934, a sancire la fusione con la Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista, José Antonio Primo de Rivera venne nominato capo unico del partito che adottò il saluto romano e, come divisa, la camisa azul.
La seconda è invece il partito fondato da Francisco Franco nel 1937, in cui confluirono i diversi movimenti nazionalisti, come appunto quello fondato da José Antonio Primo de Rivera e che, entro due anni, diventò il partito unico franchista (Movimiento Nacional), perno del totalitarismo spagnolo, che ha rappresentato fino alla caduta del franchismo l’unico canale di partecipazione alla vita pubblica spagnola. Su it.wiki la voce relativa a quest’ultima è stata derivata dalla voce dedicata alla Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista; l’iniziativa è stata presa dall’utente Civa61 che, in precedenza, aveva editato anche nelle altre due voci, facendo da spalla a Jose Antonio. Nel settembre 2015, nella pagina di discussione della voce si svolge il seguente scambio tra i due utenti:
«Civa61: Vorrei dividere la voce FE de las JONS e FET y de las JONS, creando la voce Falange Española Tradicionalista y de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista (come anche in tutte le wiki). Si attendono pareri.
Jose Antonio: Penso sia doveroso. Avevo anche io pensato in passato di separare le voci ma poi mi era passato di mente.»
Meno di un’ora e viene creata una nuova voce, praticamente priva di fonti.
Il ruolo di Jose Antonio ha tutt’altro peso nelle voci José Antonio Primo de Rivera e Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista, di cui è il principale contributore. Ha iniziato a lavorarci nel 2010, inserendo fra l’altro lunghe e numerose citazioni da scritti e discorsi dello stesso De Rivera, utilizzate in modo acritico e senza la minima contestualizzazione. In pratica, la voce enciclopedica su de Rivera e sul partito da lui fondato e diretto appare basata principalmente su ciò che de Rivera diceva di se stesso e del suo operato.
In queste voci le fonti storiografiche vere e proprie sono utilizzate in modo assai selettivo, un uso manipolatorio tipico di Jose Antonio: si cita solo ciò che non nuoce alla reputazione del personaggio biografato, e si tace il resto.
Ad esempio, viene utilizzata come fonte La guerra civile spagnola 1936-1939 di Paul Preston (Mondadori, Milano 1999), ma ci si guarda bene dal menzionare i passi in cui lo storico inglese sottolinea la natura reazionaria della Falange, il suo «vandalismo politico» e il «culto della violenza» di cui Primo de Rivera diede prova fin dall’inizio.
[Da notare che nella voce la casa editrice e la sua sede vengono erroneamente indicate come «Oscar, Cles (TN)»: ovviamente Oscar è la collana, mentre Cles è il luogo ove si trovano le tipografie della Mondadori.]
Parimenti, Jose Antonio, adopera Preston per raccontare il tentativo di procurare l’evasione di de Rivera dal carcere di Alicante, nel settembre 1936; ma dimentica di precisare che Preston attribuisce il fallimento di tale tentativo anche allo scarso entusiasmo dimostrato al riguardo da Francisco Franco, che considerava de Rivera un pericoloso rivale e che, in privato, non si dimostrò troppo scontento della sua morte .
Lo stesso avviene con un’altra fonte, il volume Storia della guerra civile spagnola di Hugh Thomas – un classico della storiografia sulla guerra civile spagnola, anche se piuttosto datato (pubblicato nel 1961, è vincitore nel 1967 del Somerset Maugham Award) – sia nella voce José Antonio Primo de Rivera che in quella Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista.
Prima di portare alcuni esempi dell’uso manipolatorio e selettivo del libro di Thomas, è necessario precisare che la voce José Primo de Rivera su it.wiki è stata, di fatto, completamente riscritta da Jose Antonio nel 2012 (era già intervenuto con alcuni edit nel gennaio del 2010 e nell’agosto del 2011).
Per rendere l’idea di quale sia la direzione seguita nella radicale modifica della voce, si prenda ad esempio la prima parte della sezione «Biografia» della voce al 15 agosto 2012, il momento in cui Jose Antonio inizia a intervenire pesantemente e sistematicamente con un assedio – senza assediati, se non l’inerme voce – che terminerà l’8 settembre successivo:
«José Antonio Primo de Rivera, marchese di Estella e Grande di Spagna, fu primogenito del generale Miguel Primo de Rivera, che aveva esercitato la dittatura in Spagna dal 1923 al 1930, anno in cui morì in esilio a Parigi.
José Antonio divenne avvocato nel 1925 ed editore del giornale fascista El Fascio e del periodico Diario ABC S.L.. In un primo momento si dedicò alla celebrazione della vita e del ricordo del padre, operando come intellettuale conservatore e facendo la vita mondana dei giovani señoritos».
Questa che segue è invece la versione “a immagine e somiglianza” di Jose Antonio:
«José Antonio Primo de Rivera, nell’ottobre 1922, dopo aver seguito il padre a Barcellona, dove era stato nominato Capitano Generale della Catalogna, assolse il servizio militare nei Dragoni di Santiago. Nel 1925 divenne avvocato e nel 1928 fu insignito dell’Ordine di Santiago. Dopo la morte del padre a Parigi si dedicò sempre alla difesa del suo ricordo, operando come intellettuale conservatore».
Vale la pena segnalare alcuni edit che hanno contribuito alla mutazione di queste poche righe.
Innanzitutto, la «celebrazione della vita e del ricordo della vita del padre» diviene, tout court, la difesa della sua memoria, con una modifica che si fa forte del rimando al volume di Hugh Thomas. Le parole utilizzate dallo storico inglese hanno però un senso più chiaro e forte:
«José Antonio era sempre pronto a battersi contro chiunque osasse criticare suo padre, e in pratica tutta la sua attività, sotto certi aspetti, non fu altro che un tentativo di riabilitare il vecchio dittatore.»
A seguire, Jose Antonio:
– toglie il riferimento alla morte in esilio di Miguel Primo de Rivera;
– sposta nella voce il riferimento al giornale El Fascio modificandone la descrizione da «giornale fascista» a «periodico di carattere politico»;
– derubrica il ruolo di José Antonio Primo de Rivera che, da editore, risulta poi abbia solamente scritto sul periodico Diario ABC S.L. che, tra l’altro, JA utilizzerà anche come fonte.
Ora che abbiamo dimostrato la marca ideologica del lavoro di Jose Antonio su it.wiki, e abbiamo verificato, fonti alla mano, che il suo contributo è ben lungi dall’avere di mira la verità storica, ribadiamo che a fare un lavoro così smaccatamente ideologico può essere solo uno che quell’ideologia la condivide. Un fascista.
Non ci stupisce che un fascista intervenga e sia intervenuto nelle voci “spingendo” il proprio POV: il nostro gruppo d’inchiesta ha fin dalle sue primissime uscite pubbliche problematizzato e indicato i limiti della «ricerca del punto di vista neutrale» (NPOV) su cui si basa Wikipedia.
Jose Antonio è però un utente esperto e di lungo corso, capace di muoversi nelle zone di grigio tra il permesso e il non consentito dalle regole dell’Enciclopedia libera, oltreché in grado di far fruttare il credito implicito che la comunità wikipediana gli riconosce per il suo contributo alla crescita quantitativa del progetto.
Mostrare il suo modus operandi è stato l’obiettivo perseguito in questo post.
Quelli che riportiamo a seguire sono invece alcuni casi in cui Jose Antonio falsifica in modo netto quanto riportato in una fonte – in particolare proprio Hugh Thomas – mostrandosi per quello che è: fascista, certo, ma anche un utente scorretto dell’Enciclopedia libera.
Un episodio in particolare, l’uccisione del falangista Matías Montero nel 1934, che è riportato sia nella voce José Antonio Primo de Rivera che in quella Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista, è stato oggetto di varie modifiche da parte di Jose Antonio, modifiche che hanno portato a versioni differenti dello stesso episodio e che, in entrambi i casi, pur riportando come fonte il testo di Thomas, risultano diverse da quanto scritto dallo storico inglese.
L’episodio è inserito per la prima volta nelle voci dallo stesso Jose Antonio, che lavora in contemporanea nelle due voci e procede a colpi di copia/incolla: il falangista risulta prima ucciso da un militante “izquierdista”; tempo mezz’ora e il responsabile dell’omicidio si sdoppia diventando «due militanti», identificati come membri del Partido Socialista Obrero Español (PSOE). Alcuni giorni dopo Jose Antonio inserisce una nota che rimanda a Thomas, a dotare di fonte il passaggio. Peccato che Thomas scriva, a proposito del falangista ucciso, di «un membro di questo partito [la Falange, ucciso] da un giovane della FUE». La FUE era la Federación Universitaria Escolar, «sindacato studentesco controllato da elementi di sinistra».
«Nei territori conquistati dall’esercito nazionalista», si legge nella voce José Antonio Primo de Rivera, «molti falangisti costituirono reparti combattenti con i quali si recarono al fronte (circa il 54% delle milizie nazionaliste e il 19% dell’intero esercito franchista) mentre altri costituirono improvvisate polizie politiche».
Jose Antonio con questo edit tiene a precisare che le «improvvisate polizie politiche […] si occupavano di fermare i sospetti alla ricerca di simpatizzanti comunisti», indicando come fonte la pagina 190 del volume di Thomas; ma quanto riportato a quella pagina è assai diverso:
«Pattuglie di falangisti battevano senza posa le strade della Spagna nazionalista, fermavano le persone sospette, chiedevano i documenti e gridavano “¡Arriba España!” ad ogni occasione. Tutte le automobili private e tutti i taxi e autobus furono sequestrati».
Anche a proposito dei dissidi tra José Antonio Primo de Rivera e Ramiro Ledesma Ramos – altro noto esponente del fascismo spagnolo, fondatore della Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista, gruppo politico che, come già visto, si fonderà con quello di de Rivera – l’utente Jose Antonio, per offrire una migliore esposizione al suo beniamino, non si fa scrupolo di falsificare quanto scritto da Thomas: riduce lo scontro fra i due a una questione di personalità inconciliabili, scrive che Ledesma uscì nel 1935 dal gruppo politico e che in seguito attaccò de Rivera con una serie di articoli in cui lo accusava di essere «strumento della reazione». In sintesi, inverte la temporalità di quanto accaduto, stando a quanto riporta Thomas:
«Quest’ultimo [Ledesma] aveva sempre considerato José Antonio nient’altro che un señorito, criticandolo aspramente per i suoi legami con la Chiesa e le classi alte. Alla fine, dopo avere scritto una serie di articoli in cui denunciava José Antonio come “strumento della reazione” Ledesma fu espulso dalla Falange».
Chiudiamo questa rassegna con un passaggio inserito da Jose Antonio nel paragrafo «La vittoria del Fronte popolare», da lui stesso creato. Si fa riferimento a un contesto, quello del febbraio 1936, effettivamente segnato da grande confusione, con scontri che non coinvolgono solo soggetti politici collocati in schieramenti opposti. Ma non è questa la sede per entrare nel merito di quanto accadde in Spagna durante quelle giornate.
Quel che ci interessa è che in un primo edit Jose Antonio scrive di «vetture guidate da falangisti [che] cominciarono a mostrarsi con le armi ostentate»; aggiunge poi che «molto spesso però si trattava di militanti anarchici del FAI o della CNT passati alla Falange interessati ad aumentare il caos», chiosando con «costoro erano spregiativamente chiamati dai socialisti “FAI-lange”». In ognuno di questi singoli edit si fa riferimento al testo di Thomas. Riportiamo quanto scrive lo storico inglese, parole che da sole rendono la scorrettezza di questo utente:
«Scorrazzando su automobili armate di mitragliatrici, i señoritos della Falange cercarono di aumentare il caos con ogni mezzo, dall’attentato contro l’autore della Costituzione della Repubblica […], agli incendi di chiese, che essi attribuivano poi agli anarchici. I militanti della FAI e della CNT continuavano a tenersi lontani dal regime. Continuavano a credere che con un’enciclopedia e una pistola sarebbero stati liberi – liberi da ogni costrizione politica. Guardavano al declino della Repubblica con la stessa torbida soddisfazione dei falangisti. E i loro pistoleros [della Falange, della FAI e della CNT] seguitarono a lavorare in comune – soprattutto contro i socialisti, i quali, quando parlavano della Falange, la chiamavano con dispregio “FAI-lange”.»
I «militanti anarchici passati alla Falange», come si vede, nel testo di Thomas non ci sono.
Ci sono invece, tra le altre cose, chiese incendiate dai falangisti per poi dare la colpa agli anarchici. Guardacaso JA, citando da questo brano del libro, ha espunto quel dettaglio.
Per concludere, ci chiediamo ancora una volta: com’è possibile che un inquinatore seriale di voci come Jose Antonio abbia da anni campo libero nell’Enciclopedia libera?
Come può costui continuare con metodica scorrettezza a sporcare le voci dei protagonisti della resistenza?
Qual è il suo merito agli occhi della comunità di it.wiki che ne accetta la condotta, purché le voci crescano di numero?
Comunità che, da una parte, si attiva con progetti come Biografie/ANPI, e dall’altra si rifiuta di prendere atto che nei sotterranei dell’Enciclopedia libera ha preso forma una “enciclopedia repubblichina” costituita da voci apologetiche dedicate ad aguzzini e servi dei servi dei nazisti.
⁂
Post Scriptum 1. Diffidate delle imitazioni!
Cogliamo l’occasione per segnalare che fra il marzo e l’aprile dello scorso anno sono comparse due Nicolette Bourbaki fasulle, una su Wikipedia e l’altra (ma quasi certamente la stessa) su Facebook.
La falsa Nicoletta, mentre su Facebook è rimasta pressoché inattiva limitandosi a qualche facezia di dubbio gusto per poi scomparire dal più noto social network, su Wikipedia ha effettuato fra marzo e aprile 2016 una serie di edit tendenziosi nella voce enciclopedica Luther Blissett (pseudonimo). Gli edit riguardano Wu Ming 1, della cui voce l’utente ha anche abbozzato una riscrittura nella propria sandbox (la “scatola della sabbia” che talvolta gli utenti esperti di Wikipedia utilizzano per creare e modificare le bozze delle voci).
Proprio l’uso della sandbox – uno strumento inconsueto per i neoutenti – da parte della falsa Nicoletta ci dà da pensare. Non si tratterà di qualche vecchio utente che, per meglio vandalizzare la voce Wu Ming 1, ha pensato bene di crearsi una nuova identità ad hoc?
Mettendo insieme i vari indizi offertici dalla falsa Nicoletta, otteniamo il profilo di un utente esperto di Wikipedia, ossessionato dai Wu Ming, e dotato di un senso dell’umorismo alquanto grossolano. Chi potrà mai essere?
Non crediamo che si tratti di Jose Antonio, e pensiamo anzi che quest’ultimo non c’entri per nulla nella strana vicenda della falsa Nicoletta. Peraltro, Jose Antonio non è il solo utente “esperto” che abbia avuto da ridire con Nicoletta…
Post Scriptum 2. A proposito, che fine ha fatto Presbite?
Dopo la sua prima apparizione su Giap, nel maggio 2014, questo utente ha stipulato una curiosa scommessa con se stesso, dichiarando poi per ben due volte di averla vinta:
«Ho scommesso che in un anno le voci da me create rimarranno sostanzialmente uguali.
AGGIORNAMENTO: Ovviamente ho vinto la scommessa. E rilancio: scommetto che le voci da me create rimarranno sostanzialmente uguali anche per il secondo anno.
AGGIORNAMENTO: Ovviamente ho vinto la scommessa. E rilancio: scommetto che le voci da me create rimarranno sostanzialmente uguali anche per il terzo anno.»
In realtà Presbite la scommessa – quella sulla sua credibilità – non con se stesso ma con gli utenti e i contributori di Wikipedia, l’ha persa e lo sa benissimo.
Ecco un elenco parziale delle sconfitte subite e delle ritirate a cui Presbite è stato costretto su it.wiki.
1. La riscrittura quasi completa della voce sul TIGR. La voce era stata presidiata con le armi perché restasse nello stato penoso in cui l’aveva ridotta l’utente AleR, col TIGR trasformato in un’accozzaglia di tagliagole simili all’ISIS. Ora perlomeno c’è un inquadramento storico quasi decente e il TIGR viene sostanzialmente presentato per quel che fu: un movimento rivoluzionario antifascista di autodifesa degli sloveni e dei croati della “Venezia Giulia”.
2. La riscrittura di quella voce, a cui Presbite ha opposto il solito ostruzionismo coadiuvato dal suo sodale AleR, ha avuto come effetto collaterale il ban infinito per quest’ultimo. Nella fase di riscrittura è emersa l’inesistenza del libro Assassini nella storia citato ripetutamente come fonte da AleR. Nella discussione sul ban per AleR, Presbite ha cercato in tutti i modi di difendere il suo sodale, sfidando il senso del ridicolo. Alla fine ha dovuto appellarsi alla “clemenza della corte”, senza ottenerla.
3. La riscrittura parziale della voce sul Narodni dom. Inizialmente basata su fonti improponibili, quali le opere del fascistissimo Attilio Tamaro e gli articoli della stampa locale dell’epoca, già in odore (o tanfo) di fascismo, ora la voce si presenta un po’ più equilibrata. Sono state utilizzate e citate fonti più serie e la ricostruzione dei fatti, pur ottenuta attraverso una serie di mediazioni al ribasso con Presbite e i suoi soci, si avvicina a uno standard di quasi decenza.
4. La riscrittura della voce sul campo profughi di Wagna, voce poi smembrata da Bramfab per un penoso atto di ripicca. La relativa pagina di discussione è quella che più di tutte ci ha permesso di studiare ed esporre in modo analitico le tattiche di ostruzionismo di Presbite e la rete di complicità su cui si appoggiano. La voce è rimasta incompiuta, ma la vulgata nazionalpatriottica su Wagna è stata sgretolata. Si veda: «Come la nonna di Tuco divenne irredentista a sua insaputa. Storia di un campo profughi», capitolo della nostra inchiesta La storia deturpata su Wikipedia: il caso Presbite.
5. La voce su Porzûs è quella a cui Presbite tiene di più. Su Giap abbiamo mostrato su quali omissioni e manipolazioni fosse stata costruita. Immediatamente dopo la pubblicazione del nostro post alcuni contributori di it.wiki sono intervenuti in modo maldestro per emendarla. Successivamente altri contributori più esperti sono riusciti a inserire nella voce quell’evento secondario e insignificante, quella sciocchezzuola che fu l’invasione della Jugoslavia da parte di Italia e Germania nel 1941.
Dopo qualche settimana, si è arrivati al nocciolo della questione: i rapporti della Osoppo con la X MAS. Rapporti talmente imbarazzanti, che Presbite aveva fatto di tutto per nasconderli sotto il tappeto, a costo di confinarli in una voce a parte, che tanto nessuno avrebbe letto. Ora la ricostruzione di quei rapporti è parte integrante della voce. Presbite, credendo di fare un portento, ha opposto alla ricostruzione di Tranfaglia e Cereghino una serie di ricostruzioni alternative infarcite di excusationes non petitae, rafforzando così involontariamente il frame della Osoppo che si muove in modo torbido nell’inverno 1944-1945.
6. Commentando su Giap il post su Presbite, a un certo punto si è fatto notare come nella voce sull’invasione della Jugoslavia costui avesse fatto passare la resistenza jugoslava contro le forze di occupazione e i loro collaborazionisti per una «guerriglia che contrapponeva le varie etnie presenti sul territorio». Praticamente in diretta, Presbite – che è un nostro ossessivo lettore e sta leggendo anche queste righe – si è precipitato su quella voce per darle una raddrizzata.
7. Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli: espunto il riferimento calunnioso ai presunti trascorsi repubblichini di Franco Basaglia. La storia l’abbiamo raccontata qui sopra e, precedentemente, qui.
8. Nella voce Giorno del ricordo sono stati inseriti vari riferimenti alla storiografia critica o molto critica nei confronti della legge istitutiva: Fogar, Collotti, Del Boca, D’Orsi, Focardi, ecc. In precedenza la voce faceva falsamente intendere che a criticare la legge sul Giorno del ricordo fossero solamente il PRC e alcuni sparuti gruppuscoli di estremisti di sinistra. Nella pagina di discussione Presbite ha dato il peggio di sé, giungendo a chiedere una meta-fonte che attestasse l’esistenza di un dibattito sul Giorno del ricordo, giacché l’elenco di una serie di prese di posizione diverse e/o divergenti non sarebbe stato secondo lui sufficiente a dimostrare che sul tema esistono posizioni diverse e/o contrastanti. La cosa più divertente è che nel corso della discussione è emerso che Napolitano nel suo famigerato discorso del 2007 manipolò una frase di Raoul Pupo, con grandi arrampicate sugli specchi di Presbite per dimostrare che ciò non era vero.
9. Il colpo più duro per Presbite dev’essere stato il debunking storiografico della leggenda secondo cui Milovan Gilas nel 1946 avrebbe organizzato insieme a Edvard Kardelj una campagna volta a espellere gli italiani dall’Istria. La storica Nevenka Troha ha dimostrato che l’autodelazione di Gilas (pronunciata in un’intervista del 1991) è un falso, perché nel 1946 Gilas non mise piede in Istria. Si tratta di un debunking che certamente Presbite conosceva bene, visto che era stato ripreso persino da uno storico da lui molto apprezzato (Raoul Pupo). Ma il nostro Teppichfresser si era guardato bene dal menzionarlo, perché quella frase di Gilas negli ambienti nazionalpatriottici vicini al mondo degli esuli è utilizzata come arma-fine-di-mondo per stabilire, con un’ulteriore forzatura, un legame tra foibe ed esodo. Ora quella frase è stata espunta da (quasi) tutte le voci che trattano del “confine orientale”.
Commento su Nicoletta Bourbaki apparso in calce a un appello “foibologico” e nazional-patriottico su Facebook. [Nell’ultima frase si allude a questa vicenda.
Mentre questo accadeva all’interno di Wikipedia, noi ci occupavamo di Presbite su Giap: il suo modo scorretto di muoversi nell’Enciclopedia, le sue falsificazioni, la sua arroganza sono state sezionate e divulgate al pubblico. Non solo: la sua agenda politica è stata svelata e spiegata nei minimi dettagli ed è stato dimostrato che coincide con quella delle associazioni nazionaliste, che attraverso il Giorno del ricordo, si infiltrano nelle scuole per propagandare la loro lettura revanscista della storia del “confine orientale”. La sua supposta neutralità è finita a pezzi.
Chiudiamo ricordando una voce creata da Presbite che è rimasta «sostanzialmente uguale» dal maggio 2014: quella sui Bombardamenti di Zara. All’epoca versava in condizioni penose (costellata di segnalazioni di mancanza di fonti) e ad oggi è ancora nelle medesime condizioni, in attesa che la comunità dei wikipediani si decida a cancellarla definitivamente. Aspettando che qualcuno prenda questa saggia decisione, magari qualcun altro potrebbe controllare cosa c’è scritto veramente nell’articolo citato nella nota 29 e verificare se coincide con quanto riportato da Presbite.
Noi la risposta la sappiamo, ma non vogliamo rovinare la sorpresa.
Post Scriptum 3. Sulle nostre inchieste, dalla rivista storica «Passato e Presente»
[Chiudiamo con una segnalazione: sull’ultimo numero della rivista di storia contemporanea «Passato e Presente», dell’editore Franco Angeli, è apparso un saggio di Roberto Bianchi e Gilda Zazzara intitolato La storia formattata. Wikipedia tra creazione, uso e consumo. Nel paragrafo «Wiki-fascismo vs. Wiki-antifascismo», si parla diffusamente di noi. Proponiamo qui la parte che ci riguarda. Il testo completo si può scaricare in pdf qui.Non è la prima volta che una rivista accademica e peer-reviewedsi occupa del nostro lavoro e riprende le nostre inchieste. Più avanti proporremo una rassegna.] […] Salvatore Talia […] sul blog Giap della Fondazione Wu Ming ha dedicato un primo studio al modus operandi di alcuni utenti particolarmente attivi sui temi del fascismo e della guerra civile del 1943-45. Esaminando le cronologie di voci come Squadrismo, Fascismo e Attentato di via Rasella ha evidenziato non solo la legittimazione di una storiografia di dubbia scientificità, ma anche lo stravolgimento, oppure l’uso ambiguo e decontestualizzato, della più recente storiografia accademica. In calce ai post si sviluppano lunghe discussioni con centinaia di interventi e l’apertura di nuove inchieste. Altri blogger segnalano voci problematiche e vere e proprie deformazioni della realtà: a Battaglia di Tarnova – una serie di scontri tra repubblichini e partigiani jugoslavi nei pressi di Gorizia avvenuti nel 1945 – è attribuito un peso che non ha riscontri nella storiografia né italiana né in lingua slava, ma ne ha molto nella memorialistica neofascista; Franco Basaglia diventa repubblichino in una voce minore (Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli, che tra l’altro guadagna la stella di “Voce di qualità”), e qualcuno segnala che la strada di questa clamorosa falsa notizia sia un libro di Bruno Vespa, a sua volta basato su affermazioni del “foibologo” Marco Pirina.
Dall’esperienza di discussione su queste pagine calde nasce il gruppo d’inchiesta Nicoletta Bourbaki (pseudonimo ispirato a un collettivo di matematici francesi nato negli anni ’30), che dedica un accurato esame all’attività neoirredentista dell’utente Presbite, che interviene sull’enciclopedia non solo per la scrittura e riscrittura di episodi o eventi ma anche, più sottilmente, per l’italianizzazione di toponimi minori, allo scopo di «dimostrare che tutto l’Adriatico orientale […] è storicamente italiano, delegittimare storicamente la presenza sul territorio di chi vi abita oggi, e rendere familiari ai lettori queste denominazioni obsolete». Gli ultimi interventi ospitati da Giap sul tema storia e Wikipedia si sono infine concentrati sulle edit wars delle voci Attentato di via Rasella e Storia del Trentino.
I “giappisti”, tuttavia, che come Talia sono spesso anche utenti attivi sull’enciclopedia, non giungono affatto a una sconfessione del progetto wikipediano, a una snobistica presa di distanza, attribuita invece alla “cultura ufficiale” […] Essendo Wikipedia non solo un progetto di classificazione, ma soprattutto di socializzazione della conoscenza e dell’informazione, è inevitabile che in essa si riversino e si combattano i conflitti di memoria del mondo non virtuale. Il grido di battaglia è netto: «Ritengo in ogni caso auspicabile che tutti noi antifascisti, wikipediani e non, esercitiamo una doverosa attività di vigilanza sulle pagine dell’enciclopedia libera. La quale è una piazza, ancorché virtuale: e, come tutte le piazze, perché le camicie nere non se ne impossessino ha bisogno della nostra presenza». Si tratta di una sorta di antifascismo militante che presidia le piazze e gli spazi pubblici online.
* Nicoletta Bourbaki è un gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico in rete e sulle false notizie a tema storico, nato nel 2012 durante una discussione su Giap, il blog di Wu Ming. Ne fanno parte storici, ricercatori di varie discipline, scrittori, attivisti e semplici appassionati di storia. Il nome allude al collettivo di matematici noto con lo pseudonimo collettivo «Nicolas Bourbaki» attivo in Francia dagli anni Trenta agli anni Ottanta del ventesimo secolo.
Il gruppo di lavoro ha all’attivo diverse inchieste – pubblicate su Giap – sulle manipolazioni neofasciste della Wikipedia in lingua italiana e sui falsi storici in tema di foibe.
Per l’edizione on line della rivista Internazionale, in occasione del Giorno del Ricordo 2017, Nicoletta Bourbaki ha curato lo speciale La storia intorno alle foibe. Sul n.39 della rivista di studi storici Zapruder (gennaio-aprile 2016), in collaborazione con Lorenzo Filipaz, ha pubblicato l’articolo Wi Chi? Battaglie per il sapere in rete.
Nicoletta Bourbaki è anche su Facebook.