Barak Obama e le contraddizioni degli Stati Uniti. Le Nazioni Unite messe all’angolo. Ecco le vere ragioni della guerra.
Dopo quattromila morti, sedicimila feriti, un milione di profughi, e quasi 20 milioni di persone condannate alla fame e – letteralmente – alla sete, dopo 130 giorni di bombardamenti e crimini di guerra (come ha denunciato Human Rigths Watch), una a una crollano le affermazioni propagandate dalla casa reale dei Saud per giustificare l’intervento armato in Yemen.
Nel giro di pochi giorni due “siluri” pesantissimi, non senza palesi contraddizioni, sono stati sganciati sulla politica di aggressione saudita (e dei vari emirati e regni del golfo) dai principali alleati politici e militari della sanguinosa avventura yemenita. L’attacco più pesante e sorprendente è arrivato ai primi di agosto dal più fidato e potente sostenitore di Ryhad: il presidente degli Stati Uniti, impegnato sul piano logistico, di intelligence e nel blocco navale che sta strangolando il Paese, a sostenere l’attacco militare contro lo Yemen.
BARACK OBAMA: L’IRAN NON C’ENTRA
In una conferenza stampa Barack Obama ha infatti demolito la ragione principale dell’esistenza della vasta alleanza (10 Paesi) che ha sostenuto finora le operazioni militari di aggressione allo Yemen.
Il 5 agosto il presidente Usa ha rivelato di aver sempre saputo, fin dall’inizio della guerra civile yemenita, che l’Iran ha cercato in tutti i modi di scoraggiare un’escalation del conflitto tra i guerriglieri Houti (sciiti come gli iraniani) e i sostenitori del dimissionario presidente Hadi, appoggiato economicamente e militarmente dai sauditi, che ospitano il suo governo in esilio.
«Quando gli Houthi nel 2014 hanno cominciato a muoversi», ha detto il Presidente Usa, «non era per ordine di Soleimani (Qasim Soleimani, capo della Guardia rivoluzionaria iraniana, ndr). Quella rivolta era un’espressione del tradizionale antagonismo Houthi verso Sana’a (la capitale, ndr), e delle macchinazioni dell’ex presidente, Ali Abdullah Saleh, che stava facendo causa comune per convenienza con gli Houthi».
Obama ha anche aggiunto che «gli Stati Uniti avevano un posto in prima fila nell’osservare queste macchinazioni».
Crolla così la favole dall’Iran impegnato a destabilizzare il Paese, a insediarsi militarmente nell’area e a minacciare il tracciato dei confini tra Yemen e Arabia Saudita. Non esiste e non è mai esistita la giustificazione per la violenta interferenza straniera nella guerra civile yemenita, e lo Yemen non è mai stato il trampolino di Teheran per un confronto armato diretto tra sciiti e sunniti.
Una dichiarazione inequivoca ma sorprendente se si considera quanto sostenuto il 22 aprile scorso dallo stesso Obama, contestualmente all’invio di una portaerei e altre navi da guerra americane nella regione del Golfo Persico «per garantire la libertà di navigazione»: un messaggio «molto diretto all’Iran» poiché «se ci fossero consegne di armi alle fazioni yemenite, questo potrebbe minacciare la navigazione e sarebbe un problema». Una motivazione, quella della circolazione delle armi, ancor più sorprendente se si considera quanto emerso appena un mese prima secondo le rivelazioni del Washington Post, che citando fonti dell’amministrazione Obama, ha sostenuto che il Pentagono, al momento dell’abbandono della propria base strategica in Yemen, ha perso le tracce di armi e attrezzature militari per 500 milioni di dollari, armi ricomparse nel conflitto yemenita.
HADI NON LO VUOLE NESSUNO
Il vero motivo della carneficina yemenita è uno solo, come hanno rivelato i documenti pubblicati da Wikileaks, sottratti con un’azione di hackeraggio ai danni del ministero degli esteri di Ryhad: occupare il sud dello Yemen alla ricerca di un nuovo sbocco petrolifero nel Mar Arabico.
Dopo il 20 luglio, con la conquista a Sud del più importante e strategico porto del Paese, Aden, il governo saudita ha cercato di ridare fiato alla seconda bufala messa in piedi per dare una parvenza di legittimità all’aggressione militare. Secondo quanto da mesi va dicendo il governo di Ryhad lo scopo della campagna militare era quello di ripristinare l’autorità del legittimo governo dello Yemen, quello dell’ex presidente Hadi, che dopo essersi dimesso ed essere fuggito all’estero, si è ricostituito a Ryhad come governo in esilio. Ma una volta riconquistata Aden l’intenzione di insediare effettivamente il governo Hadi nello Yemen si è scontrata con una realtà politica ben diversa da quella propagandata dai sauditi.
I presunti “ lealisti” che hanno combattuto sanguinosamente in questi mesi l’avanzata del Houti, hanno accettato di buon grado l’aiuto militare saudita, ma non hanno nessuna intenzione di accettare Hadi come presidente e la presenza militare dei sauditi e dei loro alleati sul proprio territorio.
La “loro” guerra non è, e non è mai stata, pro-Hadi o a favore dei sauditi: è una guerra di indipendenza. Le forze anti-houti del sud puntano a costituire un proprio Stato indipendente, lo Yemen del Sud, riportando la configurazione Yemenita al 1990, quando una guerra sancì l’annessione dello Yemen del Sud al Nord, un’operazione voluta dall’allora presidente Saleh (di cui Hadi è stato per molto tempo il vice) e che oggi è il principale alleato degli Houti.
Insomma, viene a galla che i sauditi, dopo mesi di indiscriminati bombardamenti non hanno un solo alleato nel Paese confinante: i presunti “alleati”, se potessero mettere le mani su Hadi e il suo governo fantoccio, passerebbero certamente alle vie di fatto. Ma anche questa “tegola” non sembra aver provocato ripensamenti e la soluzione adottata dai sauditi non è diversa da quella adottata contro gli odiati Houti: nuovi bombardamenti, questa volta sugli ex alleati del Sud.
LA GUERRA DELLE BEFFE
Insomma la monarchia saudita si è fatta, e continua a farsi, beffe della comunità internazionale in un’escalation che sembra fuori controllo e in un contesto che se non fosse tragico apparirebbe oltre il limite del ridicolo. Il più bersagliato in questa politica sembra essere l’Onu.
Le operazioni internazionali di attacco allo Yemen sono iniziate infatti a marzo senza alcun mandato delle Nazioni Unite. Oltre ai bombardamenti dei sauditi e dei loro alleati è stato decretato un blocco navale, un embargo sugli armamenti esteso però a ogni genere di aiuto umanitario creando in breve tempo una catastrofe che secondo le agenzie delle Nazioni Unite mette a rischio la vita di 20 milioni di persone.
Due sono le conferenze di pace indette dall’Onu e, negli ultimi tempi, due le finestre di tregua umanitaria concordate. Queste ultime immediatamente violate dai bombardieri sauditi. In quanto alle conferenze la prima è andata deserta. La seconda, organizzata a Ginevra con la presenza del Segretario Generale, si è conclusa con un nulla di fatto.
Sin dall’inizio del processo di pace si era capito però che l’intenzione dei sauditi, tramite il governo fantoccio di Hadi, era quella di ridicolizzare i tentativi di pacificazione e cessate il fuoco dell’Onu. I colloqui, molto attesi a livello internazionale, iniziano con ritardo. La delegazione Houti infatti non può arrivare a Ginevra in tempo. Il 15 giugno, mentre continuano i bombardamenti, l’aereo dell’Onu su cui viaggia la delegazione Houti viene bloccato a Gibuti: Sudan ed Egitto (alleati dei sauditi) non concedono il sorvolo del proprio spazio aereo. Quando finalmente la situazione si sblocca e possono iniziare i colloqui, si scopre che nella delegazione del governo Hadi siede Abdel-Wahab Humayqani, dal 2013 qualificato dagli Usa come “terrorista globale” e inserito nella lista dei finanziatori di Al Qaeda.
Nonostante le proteste e le richieste degli americani di escluderlo dalle trattative, Humayqani resta al suo posto, una nuova beffa per l’Onu: la foto del “terrorista” che stringe la mano sorridente al Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon fa il giro del mondo.
Ma tant’è, che una settimana dopo, ad Aden, i sauditi bombardano gli uffici locali delle Nazioni Unite. Mentre la guerra delle beffe continua la politica estera italiana rimane ancorata alla «piena comprensione per le preoccupazioni di sicurezza dell’Arabia Saudita», espressa a marzo da Gentiloni, la famiglia reale saudita fa notizia sia in Italia che in Francia: in Sardegna, in Costa Smeralda, tratta l’acquisto di villa Certosa, illustrata all’erede al trono direttamente da Berlusconi. Un affaruccio da 500 milioni di euro. In Costa Azzurra invece il sovrano di Ryhad occupa per le ferie, con un seguito di più di mille persone, un intero tratto di costa requisito e militarizzato per l’occasione. Lussi e vacanze che, beffa delle beffe, fanno notizia assai più delle stragi yemenite.
15/08/2015