di Franco Astengo
E’ sicuramente prematuro prevedere gli effetti concreti che si avranno, sul piano culturale e politico. dall’impatto dell’enciclica papale “Laudato sì” sul cui testo si stanno esercitando una moltitudine di esegeti e opinionisti a tutti i livelli.
Una prima valutazione forse si può già comunque avanzare: si tratta dell’enciclica papale più “secolare” dal tempo della “Rerum Novarum” di Leone XIII sulla base della quale si sviluppò la dottrina sociale delle Chiesa nel tempo della prima rivoluzione industriale.
Un’enciclica che fornì la base teorica per partiti e sindacati d’ispirazione cattolica che poi animarono il dibattito politico e culturale per l’intero ‘900, fronteggiando le dottrine socialiste e comuniste sorte sulla base dell’analisi della contraddizione di classe e sull’idea dell’eguaglianza sociale.
In “Laudato sì” si compie, prima di tutto, un’operazione di recupero della storia, attribuendo all’emergenza del sorgere della contraddizione ambientale (quale frutto non univocamente attribuito all’industrialismo) l’origine del fenomeno delle diseguaglianze planetarie che molti economisti pongono alla base delle difficoltà emergenti nell’affrontare la crisi “nello sviluppo” che si sta affrontando ormai a dimensione globale.
Un messaggio che tiene in conto la complessità nell’origine e nel propagarsi delle diseguaglianze e, insieme, dell’evidenziarsi del fenomeno del degrado dell’ambiente, degli errori enormi commessi nel sostenere un processo di antropizzazione che si sta rivelando del tutto distruttivo.
Le cause d’origine di questi negativi fenomeni, giudicati esiziali per il prosieguo della vita dell’umanità sul pianeta, così come sono individuati nel testo dell’enciclica rappresentano davvero il segno dell’impostazione “secolarizzante” che questo testo presenta; la finanziarizzazione dell’economia, il predominio politico dei banchieri, il lascito (pesantissimo) del colonialismo.
Giudizi che appaiono frutto dell’elaborazione dei promotori dell’ecologia e degli economisti di scuola anti-liberista e quindi (più o meno volontariamente) fautori di un allineamento della Chiesa su posizioni più propriamente “politiche”, senza alcuna concessione a un ruolo di “moral suasion” mondiale, come molti stanno invece interpretando questo passaggio: si sta scrivendo, infatti, come di un testo “rivolto a tutti”, quasi di recupero e rilancio dell’ecumenismo in tempi di fondamentalismi feroci.
Il punto sul quale soffermarsi, almeno dal nostro punto di vista, è allora quello di una proposta che possa essere ritenuta praticabile nell’intreccio tra le contraddizioni evocate e quelle operanti nella realtà, laddove le diseguaglianze si procurano e si esaltano nello sfruttamento del lavoro umano, nella coercizione dei singoli e delle grandi masse, dell’emarginazione materiale di popoli interi come verifichiamo oggi in una molteplicità di fenomeni che tengono insieme, ad esempio di aspetti emergenti nell’attualità, la tragedia dei migranti , quella del soffocamento delle rivendicazioni d’eguaglianza economica e sociale, dell’espropriazione delle fonti di vita per interi popoli.
Insomma: quali soggetti debbono costruire la loro sacrosanta ribellione verso questo stato di cose? Con quali obiettivi? Per costruire quale nuovo ordine politico e sociale?
E’ ovvio che il quesito rimane, all’interno del testo della “Laudato sì” del tutto inevaso.
Così come resta intatto il tema, da non banalizzare nei singoli aspetti specifici, della “sacralità” nell’origine della vita: una potente barriera che la Chiesa ancora mantiene per fronteggiare la concretizzazione di una diversa dimensione nelle relazioni umane a tutti i livelli, tra le classi, tra i generi, tra le generazioni.
Non si possono banalizzare momenti di questo genere: ma l’idea che ci si trovi di fronte, come in altri momenti di vero e proprio “passaggio storico”, a un tentativo di assimilazione della modernità non può essere abbandonata o rinchiusa all’interno del recinto di facili entusiasmi esternati da chi forse coltiva la soddisfazione di verificare l’assunzione a così alto livello di elaborati e lungo misconosciuti e relegati nella minorità.
Nel persistere (necessaria) di una visione della materialità del processo storico la questione centrale rimane quella del capitalismo, della sua natura, del suo perverso sviluppo, dell’esigenza ineludibile del suo superamento e della nuova costruzione di una società superiore, non legata ad alcuna intrinseca “sacralità”.
Rimane questo il punto di confronto vero a livello globale: nell’apprezzamento per accenti inediti perché provenienti dal Magistero della Chiesa e nell’ineluttabilità di un’esigenza di dialogo rimangono intatte le grandi coordinate di trasformazione del mondo indicate dalla filosofia politica dell’eguaglianza e del superamento del concetto e della relativa pratica dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Soltanto ripartendo da lì e rifiutando qualsiasi “conglobamento” della storia in una visione escatologica potrà svilupparsi la capacità collettiva dell’affrontamento delle contraddizioni della modernità.