Le loro capacità di stoccaggio di carbonio stanno diminuendo rapidamente. Uno gigantesco studio internazionale al quale hanno partecipato università di Firenze e MUSE di Trento
Lo studio “Asynchronous carbon sink saturation in African and Amazonian tropical forests”, pubblicato in copertina su Nature e al quale ha partecipato un foltissimo team di ricercatori di un centinaio di istituzioni scientifiche di tutto il mondo – compresa l’università di Firenze e il Museo delle Scienze di Trento (MUSE) – ha lanciato un preoccupato allarme: «Le foreste pluviali dell’America latina e dell’Africa, polmoni verdi del nostro pianeta, sono in affanno. Assorbono minor quantità di anidride carbonica (CO2) presente nell’atmosfera – circa 1/3 di meno rispetto agli anni ’90 – e per questo non riescono più a rallentare i cambiamenti climatici».
Il team di ricercatori guidato da Wannes Hubau e Simon Lewis della School of geography dell’università di Leeds, ha analizzato i dati di accrescimento e mortalità di 300.000 alberi, in 565 aree di foresta pluviale in Africa e Amazzonia, tracciati nel complesso per oltre 30 anni e raccolti da una rete imponente di ricercatori. Uno di loro, Francesco Rovero, del Dipartimento di biologia dell’università di Firenze e collaboratore di ricerca del MUSE, spiega che «Gli alberi delle foreste del globo, come noto, tramite la fotosintesi stoccano l’anidride carbonica rimuovendola dall’atmosfera e immagazzinandola nella loro biomassa – spiega -. Per questo le rilevazioni che abbiamo ottenuto misurando gli alberi in moltissime aree forniscono dati importanti che, elaborati attraverso modelli, documentano una progressiva perdita di CO2 immagazzinata dalle foreste pluviali, con un calo, dagli anni ’90 alla decade 2010-2020, di circa un terzo».
Rovero, che ha contribuito allo studio con i dati di un programma di ricerca e monitoraggio della biodiversità che ha coordinato in Tanzania, specifica che «In dettaglio, le foreste pluviali intatte rimuovevano il 17% delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’uomo, quota ridotta al 6% negli ultimi dieci anni, con un calo stimato del 33%».
Hubau, che ora lavora per il Musée royal de l’Afrique centrale in Belgio, ha detto: «Abbiamo dimostrato che il picco di assorbimento di carbonio nelle foreste tropicali intatte si è verificato negli anni ’90. Combinando i dati provenienti dall’Africa e dall’Amazzonia abbiamo iniziato a capire perché queste foreste stanno cambiando. I livelli di CO2, la temperatura, la siccità e la dinamica interna delle foreste sono dei fattori fondamentali. L’anidride carbonica extra stimola la crescita degli alberi, ma ogni anno questo effetto viene sempre più contrastato dagli impatti negativi delle temperature più elevate e della siccità che rallentano la crescita degli alberi e possono anche ucciderli. Creando dei modelli sulla base di tutti questi fattori, abbiamo dimostrato che il pozzo di carbonio delle foreste africane diminuirà a lungo termine, mentre quello delle foreste amazzoniche diminuisce molto più rapidamente. L’Amazzonia diventerà una fonte di carbonio già entro gli anni 2030».
All’università di Firenze sottolineano che «La minore capacità di assorbire carbonio è dovuta a un progressivo rallentamento della crescita e a un aumento della mortalità degli alberi, processi causati principalmente dalle crescenti temperature e siccità. Ma un altro motivo del minor stoccaggio del carbonio risiede nella diminuzione drastica delle aree tropicali di foresta intatta (in media del 19%), per via della deforestazione e frammentazione incessanti».
Lewis è molto preoccupato: «Le foreste tropicali intatte restano un pozzo di carbonio importante, ma il nostro studio dimostra che, se non verranno messe in opera rapidamente delle politiche ambientali importanti per stabilizzare il clima, le foreste tropicali non potranno presto più assorbire il carbonio. Uno dei timori maggiori per il futuro dell’umanità è che si raggiunga un punto di non ritorno, a partire dal quale la natura accelera il riscaldamento climatico invece che frenarlo. Dopo anni di ricerca sul terreno in Africa e in Amazzonia, abbiamo scoperto che queste conseguenze pericolose del cambiamento climatico sono già cominciate e questo diverse decine di anni prima di quel che avevano predetto i modelli più pessimistici. Non abbiamo quindi più tempo da perdere».
Rovero concorda e aggiunge: «Nel frattempo, sappiamo che le emissioni globali di CO2 prodotte dall’uomo sono balzate in alto del 46%. In conclusione, lo studio ha rivelato che, in particolare, la foresta amazzonica ha raggiunto la soglia di saturazione negli anni ’90, pareggiando la quantità di anidride carbonica immagazzinata con quella emessa, e le foreste africane ci arriveranno intorno al 2030. La sfida del cambiamento climatico e la necessità di contrastarlo sono pertanto sempre più urgenti».
Hubau evidenzia che «La capacità delle foreste di rallentare il cambiamento climatico è un elemento cruciale nella nostra comprensione del funzionamento del sistema Terra, in particolare la quantità di carbonio assorbita dalla superficie terrestre e quella rilasciata nell’atmosfera. Il monitoraggio delle foreste intatte è essenziale, se vogliamo poter sopravvivere agli effetti del cambiamento climatico. Questo lavoro è più che mai necessario perché le foreste tropicali sono sempre più minacciate».
Gli autori dello studio sottolineano anche che «Se queste foreste non cattureranno ben presto più CO2, è importante conservarle. In effetti le foreste tropicali restano delle riserve gigantesche. Solo nei loro alberi, stoccano 250 miliardi di tonnellate di carbonio. Questa massa equivale a 90 anni di emissioni di combustibili fossili al livello attuale».
Un altro autore dello studio, Emmanuel Kasongo Yakusu dell’Université de Kisangani della Repubblica democratica del Congo, spiega a sua volta che «La velocità e il livello dell’evoluzione di queste foreste suggeriscono che l’impatto del cambiamento climatico potrebbe essere maggiore di quel che si pensasse. I Paesi africani e la comunità internazionale devono investire in maniera importante nella preparazione al cambiamento climatico».
Se queste foreste sequestreranno meno carbonio di quanto credessimo e sperassimo, dovremo rivedere i carbon budget e gli obiettivi climatici globali.
Lewis conclude: «Le minacce immediate per le foreste tropicali sono la deforestazione, lo sfruttamento e gli incendi. Queste minacce necessitano di azioni urgenti. Inoltre, è importante stabilizzare il clima per mantenere i pozzi di carbonio delle foreste tropicali. Riducendo le nostre emissioni di carbonio più rapidamente del previsto, sarebbe ancora possibile evitare che le foreste tropicali intatte diventino una fonte importante di emissioni di carbonio, Ma questa finestra di azione si sta chiudendo rapidamente».
[5 Marzo 2020]