L’arte della guerra.
Perché nessuno ha proposto di usare per le zone terremotate il «jackpot» della spesa militare italiana? Un tesoretto che, secondo i dati ufficiali della Nato, ammonta a circa 20 miliardi di euro nel 2016, 2,3 miliardi più del 2015: in media 55 milioni di euro al giorno
di Manlio Dinucci
«Solo macerie, come se ci fosse stato un bombardamento», ha detto la presidente della Camera Boldrini visitando i luoghi terremotati. Parole su cui riflettere al di là dell’immagine. Di fronte alle scene strazianti dei bambini morti sotto le macerie del terremoto, come non pensare a tutti quei bambini (che la tv non ci ha mai mostrato) morti sotto le macerie dei bombardamenti ai quali, dalla Jugoslavia alla Libia, ha partecipato anche l’Italia? «Sembra di essere in guerra», racconta uno dei tanti volontari. In guerra, quella vera, l’Italia in effetti c’è già, bruciando risorse vitali che dovrebbero essere destinate a proteggere la popolazione del nostro paese dai terremoti, dalle frane e alluvioni che provocano sempre più vittime e distruzioni.
Politici di aree diverse hanno proposto, in un impeto di generosità, di destinare alle zone terremotate il jackpot del Superenalotto, 130 milioni di euro. Nessuno ha proposto però di usare a tal fine il «jackpot» della spesa militare italiana ammontante, secondo i dati ufficiali della Nato, a circa 20 miliardi di euro nel 2016, 2,3 miliardi più del 2015: in media 55 milioni di euro al giorno, cifra in realtà più alta, includendo le spese extra budget della difesa addebitate ad altri ministeri. Stando comunque ai dati della Nato, l’Italia spende in un solo giorno per il militare più di quanto ha destinato il governo per l’emergenza terremoto (50 milioni di euro), cinque volte più di quanto è stato finora raccolto con gli sms solidali. Mentre mancano i fondi per la ricostruzione e la messa in sicurezza degli edifici con reali sistemi antisismici, per un piano a lungo termine contro i terremoti e il dissesto idrogeologico. Mentre i vigili del fuoco, di cui in queste occasioni si riconoscono formalmente i meriti, hanno organici, stipendi e mezzi del tutto inadeguati all’opera che svolgono, spesso a rischio della vita, non solo nelle emergenze quotidiane, ma nei sempre più frequenti disastri «naturali» (le cui catastrofiche conseguenze sono in gran parte dovute a responsabilità umane).
Non mancano invece i finanziamenti e i mezzi per le forze speciali italiane che operano nella nuova guerra in Libia. A Pisa, dove due anni fa è stato costituito il Comando delle forze speciali dell’esercito (Comfose), si sono intensificati da mesi i voli dei C-130J che partono per ignote destinazioni carichi di armi e rifornimenti. Tali operazioni sono segretamente autorizzate dal presidente Renzi scavalcando il parlamento.
L’articolo 7 bis della legge n. 198/2015 sulla proroga delle missioni militari all’estero conferisce al presidente del consiglio facoltà di adottare «misure di intelligence di contrasto, in situazioni di crisi, con la cooperazione di forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto della Difesa stessa», col solo obbligo di riferirne formalmente al «Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica». In altre parole, il presidente del consiglio ha in mano forze speciali e servizi di intelligence da usare in operazioni segrete, con il supporto dell’intero apparato militare. Un potere personale anticostituzionale, potenzialmente pericoloso anche sul piano interno. Mentre ostenta commozione al funerale delle vittime del terremoto, elargendo promesse sulla ricostruzione, il presidente del consiglio Renzi, nel quadro della strategia Usa/Nato, porta l’Italia in altre guerre e a una crescente spesa militare a scapito delle esigenze vitali del paese. Spesa a cui si aggiunge quella segreta per le operazioni militari segrete da lui ordinate. Mentre, sulla promessa ricostruzione delle zone terremotate, Renzi assicura la «massima trasparenza».
6 settembre 2016