È in corso a Pechino la Doppia Sessione, occasione preziosa per conoscere le direttrici della politica cinese. Anche in politica estera. La lunga conferenza stampa del ministro degli esteri cinesi, ci offre anche l’occasione per un esercizio comparativo: paragoniamo le sue parole a quelle del suo omologo americano. Con quali ci sentiamo più in sintonia?
Uno degli appuntamenti più attesi dagli osservatori internazionali che analizzano la Doppia Sessione cinese è, tradizionalmente, la conferenza stampa del Ministro degli esteri. È infatti l’occasione per fare il punto sui dossier più caldi dello scenario mondiale e per misurare l’evoluzione della politica estera, vista con gli occhi di Pechino. Ma non è solo questo.
Personalmente, l’ascolto della lunga conferenza stampa di ieri mi ha spinto ad un’analisi comparata che voglio qui riproporre in maniera molto sintetica perché, a suo modo, è molto istruttiva ed indicativa delle tendenze del nostro tempo. Lo facciamo a partire da due temi caldi della politica estera mondiale: relazioni Cina-Stati Uniti ed il conflitto Israelo-Palestinese.
In merito alle relazioni del suo paese con gli Stati Uniti, Wang Yi ha ribadito quanto segue: «Le relazioni tra Cina e Stati Uniti sono fondamentali per il benessere dei due popoli e per il futuro dell’umanità e del mondo. (…) La nostra posizione si basa sui tre principi proposti dal presidente Xi Jinping: rispetto reciproco, coesistenza pacifica e cooperazione win-win. (…) La sfida per gli Stati Uniti viene da se stessi, non dalla Cina. Se gli Stati Uniti sono ossessionati dall’idea di reprimere la Cina, finiranno per danneggiare se stessi».
Confrontiamolo ora con quanto affermato dal segretario di Stato Americano nel corso di una conferenza stampa a Washington il 20 dicembre scorso: «Continueremo a impegnarci con la Cina da una posizione di forza. Le nostre partnership nell’Indo-Pacifico non sono mai state così forti. (…) Stiamo lavorando con il Regno Unito e l’Australia per produrre sottomarini a propulsione nucleare».
Un’analisi comparata dei due testi ci restituisce subito la cifra della sostanziale differenza nell’approccio dei due leader. Se Wang Yi adotta un tono costruttivo e collaborativo mettendo in evidenza l’importanza del dialogo basato sul rispetto reciproco, Anthony Blinken usa un tono assertivo e competitivo, concentrandosi sulla forza delle partnership degli Stati Uniti e sulla necessità di rapportarsi con la Cina da una posizione di forza. Appare subito evidente che i due discorsi riflettono una visione del futuro profondamente diversa: c’è chi auspica una cooperazione pacifica e reciprocamente vantaggiosa e chi si prepara ad una competizione strategica.
Vediamo come affronta invece la tragedia della guerra a Gaza il segretario di Stato americano: «continueremo a concentrarci intensamente sulle nostre priorità fondamentali: aiutare Israele a garantire che ciò che è accaduto il 7 ottobre non possa mai più accadere, porre fine al conflitto il più rapidamente possibile riducendo al minimo le perdite di vite umane e le sofferenze dei civili, riportare gli ostaggi rimasti a casa dalle loro famiglie, impedire che il conflitto si estenda (…) Siamo più che mai determinati a garantire che da questa orribile tragedia nasca un momento di possibilità per gli israeliani, per i palestinesi e per la regione di vivere in una pace e in una sicurezza durature (…) Verificheremo questa proposta con l’urgenza e la creatività che merita e che gli interessi dell’America richiedono».
Nell’analisi comprata con le prese di posizione della Cina, bisogna però ribadire un concetto ovvio, ma importante: mentre Pechino si adopera sul piano internazionale per contribuire positivamente alla fine della guerra, ma è a tutti gli effetti un soggetto terzo, estraneo al conflitto ed al sistema di guerra, gli Stati Uniti sono concretamente impegnati al fianco di una delle due parti per fornirgli assistenza militare ed armamenti. Nessuna parola viene spesa da Blinken sulle cause della guerra, non viene neanche evocata la possibilità del cessate il fuoco. Si accenna alla possibilità di “vivere in una pace e in una sicurezza durature”, senza specificare in che modo. Soprattutto, si ribadisce il concetto che tale proposta debba garantire gli “interessi americani”.
Wang Yi ha ribadito che: «L’incapacità di porre fine a questo disastro umanitario oggi, nel XXI secolo, è una tragedia per l’umanità e una vergogna per la civiltà. Nulla giustifica il protrarsi del conflitto o l’uccisione della popolazione civile. La comunità internazionale deve agire tempestivamente per promuovere un cessate il fuoco immediato come priorità assoluta e garantire l’assistenza umanitaria come pressante obbligo morale. La popolazione di Gaza ha diritto alla vita in questo mondo (…) la lunga occupazione dei territori palestinesi è un dato di fatto che non deve più essere ignorato e l’aspirazione a lungo coltivata dai palestinesi di avere uno Stato indipendente non deve più essere elusa. (…) Restituire giustizia al popolo palestinese e attuare pienamente la soluzione dei due Stati è l’unico modo per spezzare il circolo vizioso dei conflitti israelo-palestinesi. (…) Sosteniamo la piena adesione della Palestina alle Nazioni Unite ed esortiamo alcuni membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a non porre ostacoli a tale scopo. Chiediamo una conferenza di pace internazionale (…) per elaborare un calendario e una road map per la soluzione dei due Stati».
Se, pertanto, il discorso di Blinken era privo di proposte concrete per porre fine al conflitto, Wang ha proposto il cessate il fuoco immediato, la soluzione dei due Stati ed una conferenza di pace internazionale, tracciando quindi una road map politica e diplomatica per porre termine alla drammatica situazione che si sta svolgendo sotto gli occhi atterriti ed inerti della comunità internazionale.
La conferenza stampa del ministro cinese è stata seguita dai media di tutto il mondo. Prendere consapevolezza del fatto che le parole dei leader delle grandi potenze vengono soppesate sia dalle opinioni pubbliche che dai governi degli altri paesi è importante per comprendere come si è percepiti nel mondo. Per questa ragione, la scelta di un pezzo delle classi dirigenti europee di sposare in pieno la visione e le parole d’ordine della politica statunitense rischia di essere un boomerang politico. Domandiamoci sinceramente: ci sentiamo più in sintonia con chi professa di voler trattare gli altri da una posizione di forza e di muoversi nell’interesse esclusivo dei propri interessi, oppure con chi cerca una soluzione giusta ai grandi temi del mondo contemporaneo, scegliendo la strada del dialogo e della cooperazione?
Rispondere a questo quesito può essere un esercizio utile per tutti, a partire dalle classi dirigenti europee.
L’autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta
2024-03-09