Foto: Paolo Romeo
Gli interrogatori dell’ex parlamentare. Tra ironie e tentativi di rigettare le accuse: «Le nuove leve dei De Stefano? Non le conosco». Il potere? «Me lo hanno attribuito pm e giornali». Poi sulle logge: «Non ne faccio parte, ma solo pochi furbi ottengono vantaggi»
Pa.Po.
REGGIO CALABRIA I rapporti con il casato mafioso dei De Stefano, la massoneria e il suo ruolo a Reggio, i rapporti con la politica, la rivendicazione di un ruolo sociale. C’è questo e tanto altro nei lunghi interrogatori resi da Paolo Romeo ai magistrati che lo accusano di essere la mente dell’organizzazione criminale che, assemblando ‘ndrangheta, imprenditoria, politica e massoneria deviata ha sempre condizionato la vita economica e sociale in riva allo Stretto e ora mirava alla gestione dei finanziamenti per l’istituenda Città metropolitana.
C’è molta ironia nelle risposte di Romeo ai magistrati e c’è la rivendicazione del ruolo avuto con il suo “Circolo Posidonia” nel progettare l’utilizzo di finanziamenti pubblici e nell’orientare l’attività economica de “La Nuova Perla dello Stretto”. Qualche volta rischia l’autogol, come quando da un lato sminuisce il proprio ruolo e il proprio carisma e, contemporaneamente, rivendica che la sua presenza non solo non ha agevolato infiltrazioni mafiose, ma addirittura le ha ostacolate.
Romeo assicura che le nuove leve non le conosce neppure: «No no, non lo conosco, non li conosco questi. Non conosco nemmeno i giovani dei De Stefano, per la verità, tanto per intenderci… Non ho la conoscenza fisica, se li vedo per strada non so chi sono, ecco. Mentre ho conosciuto suo padre, ho conosciuto suo zio, anche perché dice che abbiamo costituito una super loggia che io ho diretto. Tutti e due parlano con Costanzo, dicendo bugie».
Proprio così, bugie. Quando i De Stefano parlano della superloggia, inconsapevoli di essere registrati dai carabinieri del Ros, raccontano bugie: «…non è che sono fatti prescritti, sono fatti che non sono passati al vaglio di una sentenza e di un processo. Però non solo non c’è scritto, vedete qual è la cosa grave? Io devo difendermi. Volevo chiarire, perché non credo di dovermi difendere, ma di dover chiarire la mia posizione, di essere nelle condizioni di offrirvi argomentazioni o dati, fatti e documenti che aiutano a dare una chiave di lettura ed un’interpretazione diversa ai fatti. Io mi devo difendere da queste carte, poi leggo i giornali o vedo i giornali e quello che raccontano, e mi sembra un altro film. Poi voi parlate di una cosa molto grave qua, perché voi qui fate un processo psicologico: “Romeo veniva percepito”, per cui io nel momento in cui mi relaziono con una persona devo stare attento a come lui mi percepisce. Ma io lo capisco pure tutto questo, perché probabilmente l’idea che le persone hanno di me non è – quelli che non mi hanno frequentato e che non mi conosco – quella che si sono fatti leggendo i giornali, leggendo i processi».
Insomma, il rispetto, l’adesione ai suoi desiderata, le porte delle istituzioni che si spalancano, i parlamentari che firmano le interrogazioni da lui scritte («tu scrivi e manda che io firmo e presento», gli dice ossequioso il senatore Scilipoti), quelli che lo ascoltano “informalmente” in Commissione affari costituzionali; i funzionari comunali, provinciali e regionali che corrono a prendere disposizioni sulle delibere da approntare. Tutto conseguenza della “percezione” sbagliata che la gente ha del suo potere per via di quel che si legge sui giornali o si vede in televisione. E facciano attenzione i magistrati: se qualcuno gli dirà che l’arrivo di Paolo Romeo in carcere è stato accompagnato da mille accortezze e da tanti riguardi a opera della popolazione carceraria. Il fatto è vero ma va ascritto, anche questo, all’artata percezione del suo, in realtà inesistente, potere. Perché loro, i detenuti, «si sanno fare i conti»: «Ma io lo vedo pure qui, quando entro qui, dove sono ospitato grazie a voi, in questi tre giorni, vedo che mi guardano con rispetto. Nel dubbio, dicono loro, che si sanno fare i conti: se è vero quello che dice la televisione e i giornali, mi conviene rispettarlo, figuriamoci all’esterno. Certo, quelli che non sono stati prudenti sono stati tutti questi uomini delle istituzioni che mi hanno dato retta. Io ho avuto antiche relazioni con tutto un mondo politico».
La massoneria? Certo che esiste, anche a Reggio Calabria. Qualche massone lo conosce anche lui, ma fa un solo nome: «Io ne conosco massoni, certo che ne conosco. Ad esempio, so che Benito Sembianza è massone, è iscritto alla loggia massonica». È potente la massoneria, può interferire nella vita politica e nelle scelte della pubblica amministrazione: «Guardi, vuole che le dia la mia idea sulla massoneria? Le dico subito e poi sui personaggi. Premesso che io non sono massone, ma non sono massone culturalmente, per problema culturale, ideologico, poi rispetto le opinioni, i comportamenti di ognuno, io credo che soprattutto a Reggio ci sono persone che aderiscono alla massoneria in buona fede, perché credono a questa visione laica dell’esistenza e quindi ricercano questa verità attraverso cerimonie e cerimoniali di vario tipo. Poi c’è il 90 per cento che sono stupidi che aderiscono o per interesse, perché immaginano che sia un’organizzazione che avendo come principio la solidarietà, possono avere dei vantaggi. Questi sono quelli che abboccano, e poi ci sono i furbi che invece li dirigono che sono i veri fruitori dei vantaggi».
Come non condividere questa definizione. Ma quei pochi “furbi” che potere dispiegano sulla società reggina? Anche in questo Paolo Romeo conferma, se ve ne fosse ancora bisogno, che tutto gli si può negare ma non una forte intelligenza che si accompagna a una sottile diplomazia: «A me capita spesso, proprio per questa nomea che mi hanno dato i vostri predecessori (si riferisce al pubblico ministero Giuseppe Lombardo) – perché con i vostri uffici siamo alla terza generazione con cui interloquisco – di incontrare delle persone che mi salutano e quando mi danno la mano mi fanno segni curiosi col dito… (segno) che io capisco perché non è normale, cioè capisco che è un fatto anormale e quindi capisco che quel soggetto sicuramente è un massone. Ma per fare quel gesto o quel segno al suo interlocutore è perché immagina… Allora avete ragione quando lo scrivete voi che io vengo probabilmente percepito – e me ne do conferma per queste cose che vi racconto – come un uomo… Ma il dottor Mandrillo ha dovuto scrivere per forza nella sua richiesta di autorizzazione a procedere dove non c’era la richiesta di arresto all’epoca, l’ha dovuto scrivere che io per poter dispiegare i poteri che poi mi attribuivano o le azioni che mi si attribuivano dovevo avere un ruolo apicale all’interno di servizi segreti, di massoneria e chi più ne ha più ne metta. Addirittura i collaboratori – che ho letto pure oggi sulla Gazzetta – mi dicono che io abbia fatto parte di Gladio oppure no. Sono riportate sulla Gazzetta oggi. C’è pure qua nell’ordinanza, non è che i giornalisti compiono… Lo so che riportate fatti riferiti, ma non potete riportare fatti che non hanno avuto conferma giudiziaria. Quando voi attraverso questa impostazione date la possibilità ai giornalisti di pubblicare in prima pagina che io ho costituito la superloggia massonica con Freda, figuratevi nel ’79, e nella loro elucubrazione, avrebbero fatto parte di questa superloggia massonica…».
Dai nomi si tiene sempre distante, Paolo Romeo, ma qualche fibrillazione a chi leggerà le sue dichiarazioni non rinuncia a crearla. Come ad esempio quando il pm gli chiede: «Mi dice quali di queste persone massoni oggi riconosce a Reggio come quelle “fruitori di vantaggio”»? La risposta è secca: «Qualche avvocato, qualche giudice… forse».
30 Luglio 2016